Uccisa in villa a Grosseto: moglie del notaio morta dopo un pestaggio. La figlia in ospedale sotto choc

Si chiamava Giuseppina De Francesco e aveva 76 anni la donna trovata uccisa in una villa di Istia d’Ombrone (Grosseto). Era moglie di un notaio, così come era notaio anche il suocero della vittima, già deceduto nel 2014. Il cadavere della donna, secondo quanto si apprende, è stato trovato accanto ad un armadio.

Cadavere nella villa

Da un primo esame medico legale il corpo della vittima presentava tagli, ecchimosi e tumefazioni di vario tipo; in base a questi primi riscontri, procura e carabinieri ipotizzano che la donna potrebbe essere stata vittima di un pestaggio. Da altri riscontri, pare che nella villa abiti, da sola, la figlia 50enne ma non la madre che vi è stata uccisa. I carabinieri di Grosseto stanno cercando di rintracciare i familiari e i conoscenti della vittima per definire il contesto in cui è maturato l’omicidio. Tra gli elementi da appurare ci sono gli ultimi spostamenti di Giuseppina De Francesco.  A scoprire il corpo senza vita della donna è stata la figlia, Benedetta, 50 anni, che per lo choc è stata trasportata in ospedale. Il sostituto procuratore Giampaolo Melchionna, dopo i primi rilievi nella villa, ha confermato che si tratta di un omicidio.

Chi era la vittima

La vittima abitava in un’altra casa a Grosseto, in città, insieme al marito 81enne, notaio in pensione. La coppia di coniugi da circa un anno era tornata ad abitare a Grosseto, in un appartamento del centro, dopo aver vissuto molti anni a Milano. La coppia ha anche un figlio, 52enne. Inoltre, sempre secondo quanto si apprende, la figlia della vittima, la 50enne che presumibilmente era in casa quando è stata uccisa la madre, ora si trova ricoverata all’ospedale di Grosseto con tagli superficiali alle braccia, come se fossero ferite da difesa. Secondo ambienti investigativi, è comunque prematuro adesso fare un quadro esatto di quello che è successo nella casa di via Circonvallazione, a Istia d’Ombrone.

Massimo Ranieri è malato, rinviate le date dei concerti di Grosseto e Perugia

Massimo Ranieri è costretto a rinviare le date del suo spettacolo ad ottobre per gli appuntamenti di Grosseto e Perugia. A comunicarlo è l’organizzazione che annuncia la malattia del cantante: «A causa di un sopraggiunto forte stato influenzale, le repliche di Grosseto e Perugia, previste per il giorno 27 e 28 maggio 2023, vengono posticipate nel mese di ottobre prossimo». Ecco quando si terranno gli spettacoli.

Massimo Ranieri, la figlia Cristiana Calone (riconosciuta a 24 anni): «Avrei voluto un padre, dei soldi non mi è mai importato»

 

Massimo Ranieri, spettacolo rinviato per malattia

Le date dello spettacolo di Massimo Ranieri al Teatro Moralcchi di Perugia e al Teatro Moderno di Grosseto sono rinviate a ottobre. Lo comunica l’organizzazione e anche il cantante stesso.

Ranieri, infatti, è stato colpito da una forte afonia che non gli consente di portare a termine, come meriterebbe, il suo spettacolo previsto proprio questa sera a Perugia. Lo stato influenzale, infatti, gli ha fatto perdere la voce. L’afonia, risolvibile in una settimana, però, costringe il cantante a rinviare lo spettacolo, dopo la stagione estiva. 

Per questo motivo, le date saranno spostate, rispettivamente, a Perugia il 24 ottobre 2023 e a Grosseto 25 ottobre 2023. Per entrambi gli spettacoli rimangono validi i biglietti acquistati in precedenza rispettando settore e posto. In caso di rimborso è possibile richiederlo entro e non oltre il giorno 30 luglio 2023.

Si ubriaca e insulta i passanti in orario di lavoro: la follia della dottoressa

Aveva evidentemente deciso di recarsi alla festa del paese, incurante del fatto che proprio in quel momento avrebbe dovuto essere a lavoro nell’ambulatorio della guardia medica presso cui prestava servizio. Non solo: oltre a lasciare (di fatto) l’utenza locale priva di medico di guardia, avrebbe alzato il gomito sino ad insultare pesantemente i partecipanti all’evento. Ed è quindi stata denunciata dalle forze dell’ordine. Protagonista della vicenda surreale che arriva dalla Maremma è una dottoressa, la quale dovrà adesso rispondere dell’accusa di interruzione di pubblico servizio. Stando a quanto riportato dal quotidino Il Tirreno, l’episodio concretizzatosi nelle scorse ore sarebbe avvenuto a Magliano in Toscana, un piccolo paese maremmano situato nella provincia di Grosseto. Proprio in questi giorni, un’associazione del posto ha (ri)organizzato una manifestazione particolarmente apprezzata dai residenti più giovani.

Si trattava a quanto pare di un appuntamento fisso del pre-Covid, tornato per la prima volta (in pianta stabile) quest’anno dopo le restrizioni imposte fra il 2020 e il 2022 dal contrasto alla pandemia. Una tentazione alla quale nemmeno la dottoressa è riuscita a resistere, pur essendo in quell’occasione di turno a lavoro. Sulla base delle ricostruzioni degli inquirenti, la donna avrebbe in teoria dovuto attendere in ambulatorio le chiamate di eventuali pazienti. In pratica, però, se sarebbe totalmente disinteressata decidendo di recarsi all’evento paesano. Di più: non si sarebbe limitata ad abbandonare il posto di lavoro, ma una volta giunta alla festa si sarebbe ubriacata al punto da risultare molesta. La presumibile alterazione da alcol l’avrebbe portata infatti ad avere un comportamento non consono al ruolo di medico. E non adeguato neppure alle norme della buona educazione di qualunque cittadino, in realtà: la donna avrebbe rivolto insulti ripetuti ai passanti, senza alcun motivo apparente.

Avrebbe inoltre preso a male parole anche altre donne presenti con i rispettivi bambini. E dulcis in fundo, avrebbe persino ruttato in faccia ad alcune persone. Il tutto davanti agli occhi attoniti dei numerosi presenti, alcuni dei quali hanno pensato bene di avvertire i carabinieri. Una volta giunti sul posto, i militari dell’Arma hanno cercato di calmare la dottoressa, la quale appariva sempre più fuori di sè. E ironia della sorte, considerando le condizioni in cui si trovava quest’ultima, si è reso necessario anche l’intervento di un’ambulanza della Croce Rossa, con i sanitari che hanno portato la donna all’ospedale della vicina Orbetello per accertamenti. Tutto ciò non è tuttavia bastato per evitarle la denuncia per interruzione di pubblico servizio. E a breve potrebbero esserci ulteriori sviluppi.

Crede di essere sterile, ma resta incinta: Asl condannata a mantenere la figlia

Aveva fatto causa ad Asl per una gravidanza indesiderata, in quanto concretizzatasi pochi mesi dopo l’intervento di contraccezione chirurgica alla quale si sottopose. E nelle scorse ore, il tribunale di Arezzo si è espresso: l’azienda sanitaria dovrà corrisponderle a titolo di mantenimento 450 euro al mese fin quando la figlia nata a seguito di quell’operazione non avrà compiuto 25 anni, per un totale di circa 135mila euro. Protagonista della bizzarra vicenda che arriva dalla Toscana è una donna di 37 anni, per una storia iniziata oltre un decennio fa. Stando a quanto riportato dalla stampa locale, era infatti il 2011 quando l’allora venticinquenne fu operata presso l’ospedale di Grosseto: aveva già partorito tre volte ed aveva deciso di sottoporsi ad un intervento di legatura delle tube di Falloppio per essere sicura di evitare ulteriori gravidanze.

Un’iniziativa che non le ha tuttavia consentito di assecondare la sua volontà, visto che due anni dopo essere finita sotto i ferri è rimasta incinta per la quarta volta. Decise di non abortire (la bimba adesso ha quasi dieci anni) ma al tempo stesso le venne il forte sospetto che la gravidanza potesse essere ascrivibile ad una procedura errata seguita dai medici che la operarono all’epoca. E, supportata dal marito, citò in giudizio l’azienda sanitaria, poi rinominata Asl Toscana Sud Est dopo l’ultima riforma regionale (con sede ad Arezzo). Tramite il proprio legale, la coppia aveva chiesto quasi 300mila euro: nel dettaglio, 70mila per il mantenimento ed altri 50mila per la violazione della libertà di autodeterminazione per ciascuno genitore, in aggiunta a 30mila euro da corrispondere alla madre per violazione del consenso informato ed altri 25mila euro per il danno da invalidità, in relazione al danno sofferto.

Una richiesta che il giudice ha con tutta probabilità giudicato eccessiva sul piano economico, a giudicare perlomeno dal ridimensionamento finale. Ha però riconosciuto le ragioni dei coniugi, riconoscendo come si legge nella sentenza “un incontrovertibile nesso di causalità tra l’erronea esecuzione dell’intervento e i lamentati danni essendo stata eseguita la stilizzazione tubarica con una tecnica insicura e obsoleta (…) senza l’asportazione di un tratto di tuba”. Secondo il magistrato, dunque, l’operazione non sarebbe stata eseguita nel migliore dei modi e ha quindi quantificato l’indennizzo in un assegno mensile che Asl dovrà corrisponderle a quanto pare sino al 2038. Anche se l’azienda sanitaria ha fatto sapere in una nota di valutare al momento la possibilità di ricorrere in Appello. A breve potrebbero quindi esserci ulteriori novità.

Lite choc a cena, 14enne accoltella il nuovo fidanzato della madre (carabiniere) e lo colpisce con un casco: è grave

Un ragazzo di 14 anni ha aggredito il nuovo compagno della madre, colpendolo al torace con un coltello e infierendo poi con un casco da motociclista. L’uomo, un carabiniere di 56 anni, è stato salvato dall’intervento dei vicini che hanno evitato guai peggiori, ma si trova adesso ricoverato in gravi condizioni. È successo vicino Grosseto.

Putin non riesce a tenere ferme le gambe, nuove le voci sulla malattia: «Sintomo del Parkinson» VIDEO

Incinta di 9 mesi, prova a fermare il fidanzato durante una rissa e lui la uccide per errore. Il figlio salvato dai medici

La ricostruzione

L’aggressione è avvenuta giovedì intorno alle 20, in un agriturismo alle porte della città toscana, dove l’uomo e la compagna vivono da alcuni mesi, riporta Il Tirreno. Il figlio 14enne, che vive con il padre e non è in buoni rapporti con la madre, si era fermato per cena. Quando la donna si è allontanata, il giovane e il 56enne hanno cominciato a discutere. Prima con toni pacati, poi più animatamente.

Lo scontro, che nel frattempo da dentro a casa si è spostato in giardino, è divampato quando il 14enne si è scaraventato contro il carabiniere. A quel punto sarebbe cominciata la mattanza. In pochi minuti, oltre all’intervento dei vicini, arrivano carabinieri e ambulanza. L’uomo è stato trasportato all’ospedale in codice rosso ed è attualmente in prognosi riservata, ma non in pericolo di vita. Il ragazzino, affidato alla Procura dei minori di Firenze, è stato arrestato e accusato di tentato omicidio. Sempre secondo alcune ricostruzioni, alla base della vicenda ci sarebbero rapporti familiari difficili, tra cui la separazione dei genitori, da cui il minore è stato molto provato.

Il suo cognome usato come insulto. E la cittadina minaccia causa al Comune

Può un video promozionale girato per una buona causa che ha per protagonista una fava “umanizzata” alla guida di un automobile essere causa di polemica, al punto da indurre una residente ad attaccare il Comune dopo essersi offesa? In diciannove regioni su venti, probabilmente no. Se però lo spot in questione è stato realizzato e distribuito in Toscana, dove il termine è usato in più accezioni (e non tutte positive, anzi) può succedere eccome. Ed è quel che è successo a Grosseto, dove una cittadina che vive in provincia, tale Angela Fava, non ha affatto gradito l’iniziativa del Comune e dopo averlo fatto presente pubblicamente, non è escluso che possa adire le vie legali.

Andiamo per ordine: tutto è iniziato nei giorni scorsi, quando il capoluogo della Maremma ha lanciato il progetto “Torna al tuo posto”, la campagna di comunicazione per sensibilizzare i cittadini al rispetto dei parcheggi gialli e rosa destinati alle categorie protette promossa dal Comune e realizzata dall’agenzia studio Kalimero Comunicazione & Marketing. Protagonista dello spot è un baccello “umanizzato” che posteggia la propria auto in uno stallo destinato ai disabili, per indurre lo spettatore a stigmatizzare tale comportamento. E lo slogan coniato dall’agenzia è particolare: “Non fare la fava!”. Si tratta di un gioco di parole: nel vernacolo toscano, la parola “fava” non indica solo il noto legume, ma viene utilizzata anche per indicare l’apparato genitale maschile e (come in questo caso) come sinonimo di “stupido” o “idiota”.

“L’idea di attivare questa iniziativa nasce dall’esigenza di riflettere su un tema molto delicato, su cui proprio in queste settimane si è tornati a dibattere: la tutela e la protezione di chi si vede privato di un diritto da parte di qualcuno che, incivilmente crede di poterne disporre – ha spiegato il sindaco di centrodestra Antonfrancesco Vivarelli Colonna – un motto accattivante e simpatico che attirerà sicuramente l’attenzione. E, ed è quello che speriamo, innescherà una vera riflessione e presa di coscienza”. Il calcolo del primo cittadino si è rivelato esatto: la campagna sta facendo parlare molto a livello provinciale e regionale e va detto che numerosi utenti del web l’hanno accolta con favore e con un sorriso. Tanti, ma non tutti a quanto pare: fra chi non ha apprezzato c’è proprio la signora Angela Fava, che ha manifestato tutto il proprio disappunto in una lettera aperta inviata al quotidiano online MaremmaOggi. Una lunga lettera nella quale la sessantenne bolognese ha ricordato gli episodi di bullismo che subì da bambina quando si trasferì in Toscana, proprio a causa del suo cognome. E non ha risparmiato un duro attacco ai promotori della campagna.

La lettera di protesta

“Mi chiamo Angela Fava e sono nata a Bologna dove, come nel resto d’Italia, il mio cognome significa solo ed esclusivamente ciò che riporta il vocabolario della lingua italiana: “erba annua della famiglia delle leguminose”. Poi mi sono trasferita in Toscana durante l’infanzia e da subito sono iniziati i vari sfottò, dato che solo in questa regione il termine assume più che altro l’appellativo di organo genitale maschile o di persona che tende a fare sciocchezze – si legge – a volte, quando nell’ufficio le impiegate devono chiamarmi lo fanno chiamandomi per nome, mai per cognome. Ma io sono orgogliosa di portarlo. A distanza di anni potrei affermare di esser stata bullizzata e vi assicuro che all’inizio non è stato facile. Per fortuna sia io che la mia famiglia abbiamo sempre deciso di lasciar perdere le persone che ne traevano piacere. Oggi però alla soglia dei sessant’anni apprendo con disappunto che una nota agenzia di pubblicità incaricata dal Comune di Grosseto per una campagna di sensibilizzazione tappezzerà la città con manifesti che usano tale cognome per far sentire le persone che parcheggiano in determinati stalli “delle fave”. Chi mi conosce sa bene che ora io sono la prima ad ironizzare, ma penso che potrebbero esserci ancora bambini o bambine con il mio cognome. Buongusto e rispetto, questi sconosciuti”.