Arriva la tempesta solare cannibale: cos’è e cosa rischiamo

È prevista per oggi, venerdì 1° dicembre, una forte tempesta solare con conseguenze dirette anche sul nostro Pianeta: gli esperti della Nasa spiegano che si tratta di un “G3” (tempesta forte) dell’indice Kp che misura l’attività geomagnetica globale. Quest’oggi, però, sarà molto più intensa di tante altre occasioni del recente passato.

Cosa accadrà

Nel dettaglio, nel Sole avverrà un’espulsione di massa coronale (Cme), ossia l’espulsione del plasma che può raggiungere notevoli velocità come durante questo evento tanto da essere chiamato “cannibale” con velocità che possono arrivare fino a 20mila km al secondo. “Un singolo evento mediamente è in grado di espellere decine di miliardi di tonnellate di plasma solare nello spazio circostante”, spiegano gli esperti di Ingv-Ambiente. Le Cme si associano all’attività solare quando si raggiunge un periodo che corrisponde ai suoi massimi con frequenti espulsioni giornaliere, mentre durante i periodi in cui il Sole si trova al “minimo” questi eventi si verificano mediamente ogni 4-5 giorni e non con l’intensità di queste ultime ore.

Il concetto di “cannibalismo” sta a significare che l’espulsione odierna di massa coronale sarà così potente e veloce da poter raggiungere e fondersi anche con l’ultima, o le ultime, espulsioni avvenute nei giorni precedenti fino a “fondersi” con loro. Nei periodi di maggiore attività si possono verificare anche diverse Cme ogni giorno ma non tutte sono dirette verso il nostro pianeta come in questo caso.

Quali conseguenze

Innanzitutto, bisogna rassicurare dal fatto che non ci saranno conseguenze negative sugli essere umani. Le problematiche, semmai, si verificheranno sui dispositivi Gps, a rischio anche la rete elettrica così come i satelliti e i cavi in fibra: tutti questi elementi potrebbero smettere di funzionare per qualche ora o avere dei disturbi. Gli esperti della Nasa spiegano che “potrebbero essere necessarie correzioni di tensione e verificarsi falsi allarmi di protezione” ma anche problemi nello Spazio per “un accumulo di carica superficiale sui componenti dei satelliti, la resistenza potrebbe aumentare sui satelliti in orbita terrestre bassa e potrebbero essere necessarie correzioni per problemi di orientamento” .

L’effetto più bello e visibile di una tempesta solare di questa intensità, come abbiamo già visto nel recente passato, sarà l’abbassamento di latitudine dell’aurora boreale: dai territori del Nord Europa potrebbe essere visibile molto più a sud arrivando anche sui cieli dell’Europa centrale e meridionale. Quasi un mese fa è stata osservata anche sulle Alpi appena dopo il tramonto del Sole con uno spettacolo meraviglioso immortalato dalle webcam e da migliaia di contributi in rete e sui social.

Digitale Terrestre, dal 2024 i canali Rai non si vedranno: ecco per chi e cosa fare

Nel 2024 tornerà ad avanzare la migrazione al nuovo digitale terrestre già iniziata nel 2023 che porterà i canali tv dall’attuale tecnologia DVB-T alla DVB-T2. Nel dettaglio, dovrà avvenire lo switch al Mux, abbreviazione di Multiplex, ossia la tecnica utilizzata per trasmettere i segnali (radiofonici e televisivi) del digitale terrestre.

Cosa accadrà alla Rai

La data per l’inizio di questo nuovo percorso è fissata nel 10 gennaio 2024 ma, per adesso, non si conosce l’esatto numero dei canali Rai che passeranno al DVB-T2: di sicuro, almeno un canale dovrà possedere questa nuova tecnologia come aveva specificato durante l’estate il ministro per le Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, spiegando che il passaggio DVB-T2 del digitale terrestre è previsto da una bozza del contratto di servizio tra Mimit e Rai per il quinquiennio 2023-2028. “La richiesta è contenuta nell’articolo 15 della bozza ed è il primo atto concreto da tutti i broadcaster per il pericolo di lasciare senza segnale le famiglie che non sono dotate di TV o decoder in grado di ricevere la nuova tecnologia”, aveva dichiarato Urso, spiegando che la roadmap vedrà un passaggio graduale che inizierà a gennaio.

I canali a rischio

Secondo le prime indiscrezioni, però, i canali indiziati per questo passaggio sarebbero Rai 1 HD, Rai 2 HD, Rai 3 HD oltre a Rai 4, Rai 5, Rai Scuola, Rai Premium HD, Rai Gulp HD, Rai Yoyo HD, Rai Storia HD e subito dopo toccherà anche agli altri come viene spiegato da Everyeye Tech. Ciò significa che, se il proprio televisore non sarà in grado di supportare la nuova tecnologia, i canali appena elencati non saranno più visibili. Gli esperti spiegano anche che, almeno in una prima fase, “i tre canali generalisti potranno comunque essere agganciati attraverso i mux regionali nel formato DVB-T MPEG-4”, ossia la tecnologia attualmente vigente con la quale sono visibili al grande pubblico. Non c’è ancora una data, invece, per il passaggio dei canali Mediaset e delle altre emittenti.

Cosa fare

Per capire se il proprio televisore è compatibile con quanto accadrà da gennaio, con il passaggio alla DVB-T2 bisognerà sintonizzare il dispositivo sui canali 100 o 200 ma anche sintonizzarsi con qualsiasi canale Rai (o Mediaset) tra quelli in Hd (alta definizione): se saranno visibili continueranno a esserlo anche dopo questo passaggio, altrimenti si dovrà innanzitutto fare una sintonizzazione (manuale o automatica) dei canali tv, una sorta di reset. Se anche dopo questo processo non saranno visibili bisognerà acquistare un decoder per poter mantenere in vita il proprio televisore altrimenti l’unica soluzione sarà la sostituzione con l’acquisto di uno nuovo che supporta la nuova tecnologia (ovviamente tutti quelli già presenti in commercio).

Secondo gli esperti di D-Day, la data del 10 gennaio 2024 sarà quella di un percorso che porterà gradualmente, “ragionevolmente in qualche anno, il digitale terrestre italiano verso la completa migrazione da DVB-T a DVB-T2”.

Cervello e neuroscienze. A Roma 600 ricercatori

Demenza, neuro oncologia, sclerosi multipla, disordini dell’età evolutiva. Saranno questi i principali temi affrontati al meeting delle Neuroscienze e della Neuroriabilitazione, organizzato dall’Irccs San Raffaele a Roma per oggi e domani all’Angelicum Centro Congressi di Roma.

«Un momento di estremo interesse scientifico per gli specialisti del settore» spiega Massimo Fini, presidente del congresso e Direttore Scientifico del San Raffaele. «Un momento di discussione e confronto sulle principali tematiche di ricerca e di assistenza inerenti le patologie neurologiche, con lo scopo, come nella mission degli Irccs, di identificare innovative strategie immediatamente trasferibili nella pratica clinica».

Sarà il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, ad aprire la due giorni di lavoro per la quale sono attesi a Roma oltre seicento tra ricercatori e clinici. Si discuterà degli studi e delle scoperte legate alle principali malattie neurologiche, alle demenze, alle malattie cerebrovascolari e rare, alla neuro-oncologia, all’epilessia, alla sclerosi multipla e ai disordini dell’età evolutiva. Patologie che, nel loro complesso, rappresentano la principale causa di deficit acuti e di disabilità permanenti o progressive a livello globale e si qualificano come un vero e proprio problema di salute pubblica, in crescita esponenziale, con un forte impatto per il sistema sanitario, sociale ed economico nazionale.

Una delle sfide dei prossimi anni sono le malattie neurodegenerative. Nel nostro Paese si stimano oggi circa 1,2 milioni di diagnosi ogni anno e con un tasso di crescita destinato a crescere significativamente nei prossimi anni a causa del progressivo invecchiamento demografico. L’Alzheimer, che conta 700mila casi in Italia, si attesta come terza causa di morte tra gli over 65 in Europa occidentale e una delle principali cause di disabilità nella popolazione over 60 a livello mondiale.

«Il numero di iscritti e di abstract sottomessi, anche dal punto di vista qualitativo – ha sottolineato il presidente Rin Raffaele Lodi – confermano la grande attenzione della comunità scientifica alla nostra organizzazione. D’altra parte lo stesso Ministro della Salute ne ha riconosciuto il ruolo di infrastruttura permanente al servizio del Paese nello studio e nel trattamento del disturbo cognitivo nelle malattie neurodegenerative con metodologia diagnosticoterapeutica condivisa tra gli Irccs associati che, in questi anni, hanno armonizzato i propri protocolli clinici, sviluppato piattaforme tecnologiche comuni con cui svolgere esami strumentali e di laboratorio e creato data base in cui vengono raccolti e condivisi permanentemente i dati. Un patrimonio – ha concluso Lodi – che ci consente di affrontare i diversi aspetti della patologia con gli stessi strumenti clinici». Il Presidente della RIN, entrata a far parte del gruppo Interparlamentare delle Neuroscienze, ha ricordato anche che in Italia la Rete ha individuato markers genetici, biologici e di neuroimaging sempre più precoci del deficit cognitivo nelle malattie neurodegenerative e, in attesa di trattamenti farmacologici, si sta occupando, con strumenti comuni agli Irccs, di terapie basate sulla neuromodulazione, sul trattamento cognitivo e sulla teleriabilitazione del deficit cognitivo, validando, proprio su quest’ultimo versante, protocolli applicati a livello nazionale dai centri aderenti.

“Attaccato al suo collo”. Scoperto il virus vampiro: ecco cosa fa

Un virus attaccato come parassita a un altro virus, tanto da essere stato soprannominato virus vampiro. Questa l’incredibile scoperta compiuta da un gruppo di ricercatori della facoltà di Scienze Naturali e Matematiche dell’università del Maryland (Baltimora) in collaborazione con gli scienziati della Washington University di St. Louis.

Virus che parassitano altri virus

Il team di studiosi, guidato dalla professoressa Tagide deCarvalho, ha potuto osservare qualcosa che, fino ai giorni nostri, era stato soltanto ipotezzato. Parliamo dell’esistenza di virus che parassitano altri patogeni. Basti sapere che già dal 1973 alcuni ricercatori stavano cercando quello che all’epoca veniva chiamato virus satellite, studiando il batteriofago P2, ossia un virus che infetta il batterio intestinale Escherichia coli. In alcuni casi, quel genere di infezione portava alla nascita di due diversi generi di virus, il fago P2 e il fago P4

Studiando vari tipi di terreno di coltura prelevati nel Maryland e nel Missouri, il gruppo della professoressa deCarvalho ha finalmente trovato ciò che per anni è stato cercato senza esito. È stato infatti osservato al microscopio un virus satellite, chiamato MiniFlayer, strettamente connesso a un altro virus fago, denominato invece MindFlayer, noto per infettare il batterio Streptomyces. I due patogeni, insomma, erano connessi fra loro. Ma non finisce qui.

Il gruppo di ricercatori ha notato che MiniFlayer non si comportava come un normale satellite. Al microscopio, infatti, è stato visto come il piccolo virus rotondo, di colore viola, fosse attaccato alla base del virus più grande. In sostanza, MiniFlayer si trovava letteralmente attaccato al collo di MindFlayer. Da qui il soprannome “virus vampiro”.

Come funziona il virus vampiro

Questa situazione, del tutto straordinaria, è spiegabile con il fatto che MiniFlayer non è un virus che resta dormiente in attesa che il suo compagno infetti un batterio. Invece di rimanere in attesa, questo piccolo virus vampiro si è evoluto, sviluppando un’appendice che gli consente di attaccarsi al collo dell’altro virus, sottomettendolo. Non sappiamo se col tempo MindFlayer, la “vittima” di questo connubio, svilupperà un modo per tutelarsi.

“Quando l’ho visto, ho pensato: ‘Non posso crederci’. Nessuno ha mai visto un batteriofago attaccarsi a un altro virus”, ha dichiarato la professoressa Tagide deCarvalho al Washington Post. “Non sappiamo se il satellite (MiniFlayer) sta iniettando o meno il suo Dna nell’aiutante o se si sta solo facendo dare un passaggio per poi cadere. Speriamo che qualcun altro porti avanti questo lavoro per rispondere a questa domanda davvero interessante”.

Lo studio è stato recentemente pubblicato sul Journal of the International Society for Microbial Ecology.

Bill Gates: “L’intelligenza artificiale potrebbe rendere possibile una settimana lavorativa di tre giorni”

“Se alla fine si crea una società in cui si deve lavorare solo tre giorni a settimana, probabilmente va bene”, ha aggiunto Gates, stando a Business Insider, che ha riportato le dichiarazioni del fondatore di Microsoft. 

 

Gates era già intervenuto sul tema a luglio, dichiarando: “Non credo che l’impatto dell’intelligenza artificiale sarà così drammatico come quello della rivoluzione industriale, ma sicuramente sarà grande quanto quello dell’introduzione del PC. Le applicazioni di elaborazione testi non hanno eliminato il lavoro d’ufficio, ma lo hanno cambiato per sempre. I datori di lavoro e i dipendenti hanno dovuto adattarsi e lo hanno fatto”. 

 

Anche Jamie Dimon, CEO di JPMorgan, aveva affermato che la prossima generazione di lavoratori avrà una settimana lavorativa più breve grazie all’intelligenza artificiale: secondo la sua previsione, si lavorerà 3,5 giorni a settimana.

Secondo Bill Gates, grazie all’intelligenza artificiale, la settimana lavorativa potrebbe essere ridotta a soli tre giorni. Ospite del podcast “What Now?” di Trevor Noah, il fondatore di Microsoft, ha risposto a una domanda sui possibili rischi dell’AI in relazione al mondo del lavoro dicendo che in futuro gli uomini potrebbero non dover “lavorare duramente” perché potrebbe esistere un mondo in cui “le macchine producono il cibo e tutto il resto”.

“Minaccia all’umanità”. La scoperta choc del fondatore di ChatGpt

Il caso Altman fa riflettere su quanto l’intelligenza artificiale possa essere pericolosa se usata nel modo sbagliato. Il consiglio di amministrazione di OpenAI avrebbe infatti segnalato una scoperta del CEO e fondatore che avrebbe potuto minacciare l’umanità. Lo segnalano alcune fonti anonime Reuters. La questione potrebbe rientrare tra i fattori che hanno portato al licenziamento di Sam Altman. Ecco cosa è accaduto.

La segnalazione

In merito al caso ci sono alcune preoccupazioni specifiche. Infatti i ricercatori dell’azienda nella lettera al cda avrebbero parlato di una “minaccia per l’umanità”. Oltre a questo si presenta anche il timore di una commercializzazione dei progressi riguardanti all’algoritmo di AI prima di comprenderne le conseguenze. Il consiglio di amministrazione dovrà ora esaminare un nuovo board composto da nove persone al massimo che, come richiesto da Altman, comprenderà anche Microsoft, questo comprenderà Bret Taylor, Larry Summers e Adam D’Angelo, superstite del cda. Il reintegro del CEO è stato messo in atto poiché più di 700 dipendenti avrebbero minacciato di licenziarsi e unirsi al numero uno di OpenAi in Microsoft.

Il progetto Q-Star

Il progetto citato nella lettera presentata dal cda è chiamato “Q*” e si pronuncia “Q-Star”. Questo rappresenterebbe una svolta nella ricerca della startup che si occupa della super intelligenza AGI, acronimo di artificial general intelligence. Mira Murati, la dirigente nominata CEO nominata dopo il temporaneo allontanamento di Altman, avrebbe raccontato del progetto ai dipendenti confermando l’esistenza della lettera inviata al consiglio prima dell’accaduto. I ricercatori avrebbero inoltre segnalato il pericolo rappresentato dalle macchine molto intelligenti nel caso in cui decidessero di distruggere l’umanità per il loro interesse e segnalato poi le loro preoccupazioni a un team di scienziati che si occupano di AI. Il progetto del gruppo sarebbe finalizzato a ottimizzare i modelli di intelligenza artificiale per migliorare sempre di più i processi di ragionamento e svolgere successivamente lavori scientifici.

Le capacità dell’AI

Attualmente i ricercatori ritengono la matematica una vera e propria frontiera specifica per sviluppare l’AI generativa che è capace di tradurre e comporre testi. Inoltre l’intelligenza artificiale può prevedere la parola successiva e fornire risposte diverse alle medesime domande. Le capacità matematiche consentirebbero di fornire una sola risposta, è quindi necessario “educare” il software a una maggiore capacità di ragionamento più affine all’intelligenza umana.

Un carico misterioso sul razzo cinese schiantato sulla Luna

(ANSA) – MILANO, 21 NOV – Era davvero un pezzo di razzo cinese, con un misterioso carico a bordo, il relitto spaziale che nel marzo del 2022 si è schiantato sul lato nascosto della Luna: lo dimostra lo studio della sua traiettoria e del doppio cratere causato dall’impatto, pubblicato su Planetary Science Journal dai ricercatori dell’Università dell’Arizona coordinati dall’ingegnere aerospaziale italiano Roberto Furfaro.

Il relitto spaziale, denominato WE0913A, era stato inizialmente identificato come uno stadio del razzo Falcon 9 della SpaceX e poi come uno stadio del lanciatore cinese Lunga Marcia che nel 2014 aveva portato in orbita la missione lunare Chang’e-5. L’agenzia spaziale cinese aveva cercato di allontanare i sospetti affermando che il razzo era bruciato nell’atmosfera terrestre durante il rientro, ma il comando spaziale americano smentì questa tesi, ribadendo che il terzo stadio del razzo cinese non era mai rientrato nell’atmosfera terrestre.

Analizzando la traiettoria dell’oggetto, i ricercatori statunitensi hanno stabilito che si trattava proprio del razzo cinese. Hanno poi studiato la sua luminosità, confrontandola con simulazioni al computer di migliaia di ipotetici oggetti in volo nello spazio: i dati ottenuti sono risultati diversi da quelli attesi per il booster di un razzo. La sua insolita rotazione “ci porta a pensare che dovesse esserci qualcosa in più montato all’anteriore”, afferma il primo autore dello studio, Tanner Campbell. (ANSA).

La Grande Sfinge di Giza è un’opera solo in parte umana

(ANSA) – MILANO, 20 NOV – La Grande Sfinge di Giza non è stata scolpita solo dalla mano dell’uomo: il primo vero scalpellino sarebbe stato il vento, che con la sua azione erosiva ne avrebbe abbozzato la forma, successivamente perfezionata dagli antichi Egizi. A supportare questa ipotesi sono gli esperimenti di fluidodinamica realizzati dai ricercatori della New York University e pubblicati sulla rivista Physical Review Fluids.

“I nostri risultati offrono una possibile spiegazione di come formazioni simili a quelle della Sfinge possano derivare dall’erosione”, afferma il fisico sperimentale Leif Ristroph, che ha coordinato lo studio. “I nostri esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che forme sorprendentemente simili a quelle della Sfinge possono in effetti provenire da materiali erosi da flussi veloci”.

L’idea è nata dall’osservazione dei cosiddetti yardang, le creste rocciose tipiche dei deserti che vengono create dall’erosione del vento: molte hanno una forma che ricorda un animale seduto, proprio come la Sfinge. I ricercatori hanno dunque provato a riprodurre in laboratorio la loro formazione usando dei cumuli di argilla morbida con all’interno un materiale più duro e meno erodibile, un mix simile a quello che si sarebbe potuto trovare nella piana di Giza circa 4.500 anni fa.

Lavando questi blocchi con un getto d’acqua veloce che simula l’azione del vento, sono state ottenute forme simili alla Sfinge, con il materiale più duro e resistente all’erosione che è andato a formare la testa, il collo, le zampe e la schiena arcuata.

Lo studio “potrebbe essere utile anche ai geologi – conclude Ristroph – perché rivela i fattori che influenzano le formazioni rocciose. Le forme inaspettate derivano dal modo in cui i flussi vengono deviati attorno alle parti più dure o meno erodibili”. (ANSA).

L’acqua può scendere fino al ‘cuore’ della Terra

(ANSA) – MILANO, 17 NOV – L’acqua presente sulla superficie della Terra può penetrare così in profondità da arrivare ad alterare la composizione dello strato più esterno del nucleo terrestre. La scoperta, che rivela un’interazione inaspettatamente dinamica tra nucleo e mantello, è pubblicata su Nature Geoscience da un team internazionale guidato dall’Arizona State University.

Secondo la ricostruzione dei ricercatori, nell’arco di miliardi di anni l’acqua presente sulla superficie del nostro pianeta verrebbe trasportata in profondità dal movimento di subduzione delle placche tettoniche. Una volta raggiunto il confine tra nucleo e mantello, quest’acqua innescherebbe una profonda interazione chimica, alterando la struttura del nucleo.

Esperimenti di laboratorio condotti ad alta pressione indicano che l’acqua in subduzione reagisce chimicamente con i materiali del nucleo. Questa reazione forma uno strato ricco di idrogeno e povero di silicio, alterando la regione più esterna del nucleo che forma una struttura simile a una pellicola. La reazione genera inoltre dei cristalli di silice che risalgono e si integrano nel mantello. Si stima che questo strato metallico liquido modificato sia meno denso e presenti velocità sismiche ridotte, in linea con alcune anomalie già mappate in precedenza dai sismologi.

“Per anni si è creduto che lo scambio di materiale tra il nucleo e il mantello della Terra fosse limitato. Tuttavia – spiega il geologo Dan Shim – i nostri esperimenti rivelano una storia diversa. Abbiamo scoperto che quando l’acqua raggiunge il confine tra nucleo e mantello, reagisce con il silicio nel nucleo, formando silice”, aggiunge l’esperto. “Questa scoperta, insieme alla nostra precedente osservazione della formazione di diamanti dall’acqua che reagisce con il carbonio nel ferro liquido sotto pressione estrema, indica un’interazione nucleo-mantello molto più dinamica, suggerendo un sostanziale scambio di materiali”. (ANSA).

Germogliati dopo 144 anni i semi di un esperimento plurisecolare

(ANSA) – MILANO, 16 NOV – L’erba cattiva non muore mai: lo dimostrano le piantine infestanti germogliate da semi che per ben 144 anni sono stati custoditi in bottigliette sotto terra, nell’ambito di un esperimento botanico plurisecolare iniziato alla Michigan State University nel 1879 e destinato a proseguire almeno fino al 2100 con l’obiettivo di studiare la vitalità dei semi nel tempo. Il loro identikit genetico è pubblicato sull’American Journal of Botany.

Il progetto sperimentale è stato avviato alla fine dell’Ottocento dal botanico William J. Beal, deciso ad aiutare gli agricoltori alle prese con le erbacce ben prima dell’invenzione dei diserbanti chimici. Per capire quanto le piante infestanti potessero persistere nel terreno, Beal ha riempito 20 bottiglie di vetro con sabbia e 50 semi di 23 specie differenti, per poi seppellirle nel terreno a testa in giù in modo che l’acqua non si raccogliesse al loro interno. Il protocollo sperimentare prevedeva inizialmente che venisse disseppellita una bottiglia ogni cinque anni per verificare se i semi fossero ancora in grado di germogliare. Nel 1920 si decise di allungare l’intervallo a 10 anni, mentre nel 1980 venne portato a 20 anni.

Il numero di semi germogliati è andato via via riducendosi col passare del tempo. Da quelli contenuti nella quattordicesima bottiglia disseppellita nel 2021 sono nate delle piantine di verbasco. Per la prima volta, i ricercatori dell’ateneo americano hanno deciso di sottoporle ad analisi genetiche. Dai risultati è emerso a sorpresa che appartengono alla specie Verbascum blattaria e a un ibrido di Verbascum blattaria e Verbascum thapsus. “Beal dichiarò di aver incluso solo i semi di Verbascum thapsus, quindi deve essersi verificato qualche errore durante la preparazione delle bottiglie”, spiega la biologa Grace Fleming.

I risultati dell’esperimento potranno rivelarsi molto utili per risolvere la questione della longevità delle banche dei semi, per la conservazione delle specie rare e per il ripristino degli ecosistemi. (ANSA).

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