Cinque consigli per un allenamento rapido ma efficace

Può essere difficile inserire l’esercizio fisico in un’agenda fitta di impegni, ma ci sono modi per rendere efficace anche un allenamento veloce.

La maggior parte di noi sa che può essere difficile trovare il tempo per allenarsi tra il lavoro, il riposo e la vita in generale, quindi perché non modificare gli allenamenti in modo che si adattino alle vostre giornate piene di impegni?

Jade Imani, personal trainer di Insure4Sport, ha spiegato come ottenere il massimo dall’allenamento in poco tempo.

Privilegiate l’HIIT

L’HIIT, o allenamento a intervalli ad alta intensità, è un modo rapido ma efficace per muovere il corpo.

«È uno dei modi più rapidi per bruciare calorie in breve tempo e accelerare il metabolismo. Gli allenamenti HIIT possono avere una durata variabile, ma tendono a essere di 20-40 minuti», spiega Jade.

Superset

I superset sono un’ottima opzione quando si ha poco tempo a disposizione, perché significa che si eseguono due esercizi uno dietro l’altro.

«Usare i superset (due esercizi uno dietro l’altro) è ottimo per allenare più gruppi muscolari contemporaneamente, invece di isolarli».

Cronometrare gli esercizi

Se il tempo a disposizione per completare l’allenamento è limitato, può essere utile cronometrare gli esercizi piuttosto che lavorare per ripetizioni o serie.

«Può essere più facile cronometrare gli esercizi, ad esempio 20 secondi di lavoro, poi 10 secondi di riposo, per 3 minuti, invece di lavorare per serie e ripetizioni», consiglia la personal trainer. «Tendenzialmente è più facile da monitorare, se si hanno pochi minuti a disposizione!».

Corsi di allenamento

Le lezioni sono un’altra buona opzione perché si sa esattamente quanto durerà la lezione e non si deve perdere tempo a pensare a cosa fare dopo.

«Le lezioni di ginnastica di gruppo sono ottime se avete poco tempo; possono essere fatte in palestra, in uno studio o anche su piattaforme online come FIIT, Apple Fitness e perfino YouTube», spiega Jade. «Funzionano bene perché non si deve pensare a cosa fare, si fa solo quello che dice l’istruttore. Inoltre, tendono a essere denominati/categorizzati in base a diversi gruppi muscolari e focus di fitness, come Glute Burn o Full Body Blast».

Esercizi efficienti

Scegliere esercizi efficienti è fondamentale quando si è di fretta ma si vuole fare un buon allenamento.

«A seconda dei vostri obiettivi, scegliete bene gli esercizi e le routine. Se uno dei vostri obiettivi è la costruzione di muscoli (detta anche ipertrofia), non è nel vostro interesse scegliere di fare solo esercizi cardiovascolari come i burpees o il cardio a ritmo costante», consiglia Jade.

Alzheimer, la salute dei mitocondri del cervello è una chiave per la prevenzione

Sono le centrali elettriche della cellula e sono cruciali per la conservazione della memoria e dei ricordi: parliamo dei mitocondri, gli organelli che producono l’energia necessaria alle cellule per tutte le funzioni vitali. Nella ricerca scientifica sta emergendo che potrebbero essere attori chiave nella lotta contro l’Alzheimer poiché i mitocondri danneggiati sono collegati alla progressione della malattia mentre i mitocondri sani rappresenterebbero la chiave per evitare il declino cognitivo.

Una terapia per l’Alzheimer ancora non c’è

La via per mantenere i mitocondri sani è anche quella che previene i tumori e le malattie cardiache o una serie di altre malattie legate all’età: esercizio fisico e . Può certamente sembrare scontato e anche noioso, ma è proprio così. La prevenzione testa ancora la strada principale per limitare il rischio di andare incontro a malattie neurodegenerative. A oggi infatti non esiste ancora una cura davvero efficace contro l’Alzhiemer, nonostante le decine di anni passati per trovare una terapia e 3,7 miliardi di dollari spesi solo negli Stati Uniti. Gli obiettivi della ricerca finora hanno preso di mira l’amiloide, una proteina che si accumula nel cervello formando le tipiche placche, segno distintivo della malattia degenerativa. I dati dei farmaci come Lecanebab (unico ad aver ottenuto la piena approvazione da parte della Food and drug Administration) , Aducanumab e Donanemab indicati per contrastare il declino cognitivo all’inizio della malattia sono incoraggianti. Le placche amiloidi calano, tuttavia i risultati sembrano essere di scarsa rilevanza dal punto di vista clinico, ovvero i pazienti a livello pratico non notano benefici. Inoltre questo genere di terapie comporta notevoli rischi per la sicurezza: nel corso dei trials sono stati registrati casi di emorragia cerebrale, che in alcuni casi è stata fatale. Risultati promettenti sono stati pubblicati anche su una possibile terapia genica contro l’Alzheimer in grado di abbassare la proteina tau, nota anche questa per essere una delle cause della malattia. Molti scienziati sospettano che placche e grovigli di beta amiloide non siano la causa dell’Alzheimer, ma semplicemente un sintomo a valle. Ciò che sta a monte è la salute mitocondriale. E mantenere i mitocondri sani potrebbe davvero essere una strada che vale la pena percorrere.

Quando i mitocondri funzionano male

I mitocondri, conosciuti appunto come «centrale elettrica» del cervello, trasformano il cibo in energia. Tra i loro compiti anche quello di immagazzinare calcio e distruggere le cellule che non funzionano bene e generano calore. Quando i mitocondri si indeboliscono producono meno ATP (una molecola che rappresenta la principale forma di accumulo di energia immediatamente disponibile), gestiscono male la concentrazione di ioni calcio e non si rigenerano in modo efficace. Dal momento che il nostro cervello, quando è surriscaldato, è a corto di mitocondri e assorbe un quinto delle nostre calorie totali e dell’ossigeno, risulta particolarmente sensibile al danno ossidativo. Per mantenersi in perfetta forma ed efficiente, il cervello ha bisogno dei mitocondri. La disfunzione mitocondriale è legata all’invecchiamento e al morbo di Alzheimer e si verifica anche prima che compaiano i sintomi clinici. Studi recenti suggeriscono anche un legame tra i mitocondri che funzionano in modo anomalo e la sovrabbondanza di proteina tau.

Che cosa succede al cervello con l’esercizio fisico

L’esercizio fisico può essere una delle chiavi per mantenere sani i mitocondri. L’allenamento di resistenza migliora l’attività mitocondriale e, nei topi, è stato dimostrato che protegge dall’atrofia cerebrale. Negli studi condotti su pazienti affetti da Alzheimer, l’esercizio fisico ha aumentato il flusso di sangue al cervello, ha ispessito l’ippocampo, ha favorito la crescita di nuovi neuroni e ha migliorato le prestazioni cognitive. Si è visto invece che uno stile di vita sedentario aumenta l’infiammazione del cervello, l’accumulo di radicali liberi dell’ossigeno e riduce l’attività mitocondriale. «La scarsa funzionalità mitocondriale – concorda Gianfranco Beltrami, vice presidente della Federazione Medico Sportiva Italiana – potrebbe in effetti essere la causa che determina l’accumulo di amiloide . Che i mitocondri debbano restare il più possibile sani e in forma e che l’esercizio fisico aiuti in questo è senz’altro corretto».

I meccanismi di prevenzione dell’Alzheimer

Sono diversi i meccanismi che comunque concorrono nella prevenzione dell’Alzheimer con l’esercizio fisico. «L’attività fisica – spiega Beltrami – riduce insulino-resistenza che ha un ruolo importante nello sviluppo dell’Alzheimer; agevola la produzione del BDNF, una proteina che ha un effetto neuroprotettivo e favorisce la formazione di nuovi neuroni e sinapsi, aumentando le dimensioni dell’ippocampo, area fondamentale per la memoria (in tutti i soggetti con Alzheimer l’ippocampo è più piccolo); migliora inoltre la funzionalità vascolare, di cruciale importanza per la salute dei neuroni e delle sinapsi; riduce lo stress che è un fattore scatenante dell’infiammazione, causa determinante di tutte le malattie croniche degenerative fra cui l’Alzheimer. L’esercizio fisico infine favorisce il sonno, che aiuta tantissimo le funzioni cognitive perché migliora il recupero e l’umore. In sintesi l’esercizio fisico, in particolare nuoto, corsa, ciclismo, aumenta la sopravvivenza dei neuroni e ne favorisce la creazione di nuovi, contrastando l’invechiamento cerebrale: sono tutte funzioni legate ai mitocondri».

Come sapere se i nostri mitocondri sono in salute

Per conoscere la forma fisica mitocondriale il parametro migliore è misurare la massima potenza aerobica, cioé la massima quantità di ossigeno che può essere utilizzata in un certo tempo da un individuo nel corso di un’attività fisica. La potenza aerobica viene espressa come VO2 max, ovvero il massimo volume di ossigeno consumato per minuto. Essenzialmente, riflette la capacità del corpo di utilizzare l’ossigeno per la produzione di energia (sono i mitocondri a produrre energia). Sebbene una misurazione diretta del proprio VO2 max richieda un’attrezzatura speciale, la maggior parte degli orologi fitness fornisce una stima del VO2 max e i dati variano tra uomini e donne. «Misurare la massima potenza aerobica – aggiunge il medico dello sport – è un metodo utilizzato con successo anche per misurare l’età biologica della persona, che sappiamo essere spesso diversa da quella anagrafica».

La dieta antiossidante

Oltre che con l’esercizio fisico la salute mitocondriale migliora con una dieta ricca di antiossidanti con mirtilli, fagioli rossi, pomodori, spinaci, carciofi, tè verde. Anche la restrizione calorica e le diete chetogeniche (solo sotto controllo medico) possono essere protettive. Lo stress è invece un grande nemico dei mitocondri: negli studi su animali si è visto che lo stress cronico, l’ansia, l’aggressività e la paura danneggiano i mitocondri.

Disturbo borderline di personalità, di cosa si tratta

Il disturbo borderline di personalità è uno tra i disturbi della personalità dei quali capita più spesso di sentir parlare e sul quale, come in generale è bene fare in merito a qualsiasi argomento relativo al benessere mentale, è necessario gettare la luce dell’informazione e abbattere i tabù che troppo spesso pesano sulle persone che ne soffrono e su coloro che le circondano.

A proposito di informazione, quella adeguata e corretta va ricercata rivolgendosi agli specialisti. Qui ci limitiamo a tracciare una breve introduzione all’argomento, focalizzando l’attenzione soprattutto sul bisogno di liberarsi dell’imbarazzo per prendersi cura di sé e rivolgersi a un professionista in caso di dubbi e/o domande.

Cos’è il disturbo borderline di personalità

In generale si tratta di uno dei disturbi della personalità più noti, sebbene naturalmente saperne le caratteristiche a grandi linee sia ben diverso da “conoscere” davvero questo tipo di problematica. Può darsi che sia capitato di leggere il termine disturbo borderline di personalità nei vari articoli dedicati al processo Depp/Heard, nell’ambito di quanto affermato dalla psicologa clinica e forense Shannon Curry (appartenente al team legale di Johnny) su Amber Heard.

Prima di addentrarci tra le caratteristiche del disturbo borderline di personalità, è bene sottolineare che in questo articolo non intendiamo in alcun modo sostituirci ai professionisti incaricati di occuparsi della diagnosi e dell’intervento su questo e altri disturbi della personalità. Semplificando, è possibile dire che il disturbo borderline di personalità è caratterizzato da una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore.

Sintomi del disturbo di borderline di personalità

In questa sede è impossibile compilare un elenco esaustivo di tutti i sintomi che è possibile riscontrare in chi soffre di tale disturbo. Ci limitiamo pertanto a menzionarne alcuni in genere piuttosto noti anche a chi non è un professionista del settore.

Tra gli atteggiamenti che è possibile riscontrare in coloro che soffrono di BPD, come il disturbo borderline di personalità viene anche chiamato, ci sono sforzi disperati per evitare un abbandono reale o immaginario. Inoltre, è possibile che chi soffre di tale disturbo presenti un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense caratterizzate dall’alternarsi di due estremi, ovvero iper-idealizzazione e svalutazione; tra gli elementi che è possibile registrare in coloro che presentano il BPD ci sono poi la sperimentazione di sentimenti cronici di vuoto e rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia.

Come capire se si ha il disturbo borderline di personalità?

Se vero è che interrogarsi su se stessi per comprendersi meglio è senza dubbio importante, altrettanto vero è che su qualsiasi argomento relativo alla salute, compresa la salute mentale, è importante resistere alla tentazione di fare dell’autodiagnosi. A tal proposito, nel caso in cui si nutra il dubbio di soffrire di BPD o di qualsiasi altro disturbo della personalità la nostra raccomandazione è quella di rivolgersi a uno specialista senza imbarazzo, ma pensando con orgoglio alla scelta di prendersi cura della propria salute mentale dedicandole tutta l’attenzione che merita.

Lo stigma sociale che purtroppo talvolta fa ancora da cornice a tale tematica può essere non soltanto scalfito, ma abbattuto con decisione da ognuno di noi. Parlare di benessere includendo quello della mente è un primo modo utile per far luce non soltanto sull’importanza di dare ascolto alla propria eventuale necessità di chiedere un supporto professionale, ma anche sul contributo che la società può fornire a chi sta attraversando un momento difficile dal punto di vista psicologico.

Negli ultimi anni sono molte le star che con le loro parole hanno contribuito a incrinare il muro dei tabù che circonda la salute mentale. Ricordiamo tra queste Lady Gaga, che ha affrontato l’argomento nel suo discorso di ringraziamento ai Grammy Awards 2019, e Bella Hadid.

Disturbo bipolare, di che cosa si tratta

Il bipolarismo è una condizione caratterizzata da alterazioni cicliche dell’umore in cui si avvicendano episodi depressivi e maniacali. Il suo nome deriva dal fatto che comprende due estremi dei disturbi dell’umore: la depressione e la mania.

Si tratta di un disturbo che esordisce presto, durante l’adolescenza o intorno ai venti, trent’anni.

La precisa eziologia è ancora sconosciuta ma fattori scatenanti possono essere di vario tipo: genetici, biologici e psicosociali. L’uso di sostanze come le droghe può favorire l’insorgere o il peggioramento del bipolarismo.

Gli episodi sintomatici hanno durata variabile, da poche settimane ad alcuni mesi, e si possono alternare anche a periodi asintomatici. Ma può invece accadere che il passaggio da una fase all’altra sia molto repentino.

Alcuni soggetti presentano episodi infrequenti, magari solo un paio nell’arco della vita, mentre altri soffrono di diversi episodi in un anno. Non sono molti i pazienti che alternano mania e depressione durante ogni ciclo: nella maggior parte di essi, ha la prevalenza l’una o l’altra. Vi sono inoltre gli episodi misti in cui si mischiano i sintomi di entrambe le fasi, quella depressiva e quella maniacale.

Bipolarismo: la classificazione

Questo tipo di disturbo dell’umore può essere:

  • Disturbo bipolare di tipo I: in questo caso deve sussistere almeno un episodio maniacale a fianco ad episodi solitamente depressivi;
  • Disturbo bipolare di tipo II: esso è definito dalla presenza di episodi di depressione maggiore con almeno un episodio ipomaniacale (l’ipomania è una forma meno estrema della mania).

Possono insorgere infine disturbi bipolari non altrimenti specificati se questi ultimi non rientrano nella precedente classificazione.

I sintomi della depressione

Durante la fase depressiva, i sintomi che possono manifestarsi sono:

  • tristezza, ansia, agitazione e pianti ricorrenti;
  • importante diminuzione di interesse per le attività della vita e carenza di motivazione;
  • alterazione dell’appetito con conseguente aumento o perdita ponderale;
  • sensi di colpa e di inutilità immotivati o eccessivi;
  • riduzione della concentrazione e rallentamento del pensiero;
  • aumento del sonno;
  • sintomi psicotici, come catastrofismo, e idee suicidarie;

I sintomi nella fase maniacale

La mania può portare con sé:

  • eccessiva euforia;
  • irritabilità;
  • incremento della loquacità;
  • riduzione del sonno;
  • attività mentale accelerata e distraibilità;
  • perdita di contatto con la realtà;
  • comportamenti ad alto rischio, come gioco d’azzardo, shopping compulsivo, attività sessuale promiscua;
  • in taluni casi possono comparire allucinazioni

Le cure

Una volta diagnosticato il disturbo bipolare, tramite anamnesi, il paziente viene sottoposto a terapia farmacologica: tra i medicinali utilizzati vi sono gli stabilizzatori dell’umore. Può essere di supporto la psicoterapia.

In caso di sintomi gravi, può rendersi necessario il ricovero in ospedale.

Fumare alla guida: cosa dice la legge

Molte persone fumano in auto per diverse ragioni, che sia per abitudine, per gestire il nervosismo dovuto al traffico o durante lunghi viaggi in macchina. Tuttavia, è legale fumare in auto?

Se ci stai leggendo, è probabile che tu abbia qualche preoccupazione riguardo a possibili norme o restrizioni sul fumo in auto. In questo articolo, esamineremo le situazioni in cui il fumo in macchina potrebbe essere vietato o soggetto a regolamentazione.

Esiste il divieto di fumare alla guida?

Per rispondere alla tua domanda sul divieto di fumare in auto, bisogna fare riferimento alle leggi sul fumo che sono state gradualmente introdotte nel corso degli anni. Fino al 2003, non c’erano regolamentazioni specifiche sul fumo in macchina, ma con l’emanazione della Legge Sirchia, sono state introdotte alcune limitazioni.

La Legge Sirchia del 2003 ha vietato il fumo in tutti i locali chiusi, ad eccezione delle abitazioni private e dei locali specificamente dedicati ai fumatori. Successivamente, sono state apportate alcune modifiche alle leggi che hanno esteso il divieto di fumo a determinati luoghi all’aperto, come cortili e aree circostanti ospedali e scuole.

Per quanto riguarda il fumo in auto, il D. Lgs. 6/2016 ha introdotto restrizioni specifiche. In base a queste normative, il guidatore e i passeggeri non possono fumare in auto se nell’abitacolo sono presenti minorenni o donne in stato di gravidanza. Questo divieto si applica sia quando il veicolo è in movimento che quando è fermo, ed è finalizzato a proteggere i soggetti più vulnerabili dai danni del fumo passivo.

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In breve, puoi fumare in macchina mentre guidi a condizione che nell’abitacolo non ci siano minori o donne in gravidanza. Se sei da solo in auto, non ci sono restrizioni al riguardo.

Fumare le sigarette elettroniche al volante?

Per quanto riguarda le sigarette elettroniche, la normativa non ha ancora applicato un divieto esplicito per l’uso delle e-cig in auto. In teoria, è possibile utilizzare le sigarette elettroniche all’interno di un’automobile. Tuttavia, è importante essere cauti e responsabili, specialmente nei confronti della salute di minori, donne in gravidanza e di tutti gli altri passeggeri.

Anche se le e-cig producono aerosol invece di fumo, non è ancora completamente chiaro quali siano gli effetti a lungo termine dell’esposizione. Pertanto, è consigliabile evitare di svapare in presenza di minori, donne in gravidanza o di qualsiasi altro passeggero che potrebbe preferire un ambiente privo di aerosol.

La cortesia e il rispetto della salute degli altri dovrebbero guidare le tue scelte quando si tratta di utilizzare le sigarette elettroniche in auto.

Quali multe per chi fuma mentre guida?

Attualmente, è consentito fumare in macchina a determinate condizioni, cioè quando non ci sono minori o donne incinte presenti nell’abitacolo.

Tuttavia, è importante notare che le normative potrebbero cambiare in futuro, con un possibile rafforzamento dei divieti. Nel 2021, ad esempio, si era discusso della possibilità di introdurre un divieto totale di fumo in macchina nel Codice della Strada.

Nonostante questa proposta non sia ancora stata attuata, sembra che l’orientamento generale delle leggi potrebbe portare in quella direzione in futuro. Pertanto, è sempre consigliabile rimanere informati sulle leggi locali e nazionali riguardanti il fumo in auto e agire di conseguenza.

Come prendersi cura della prostata

Il 15 settembre 2023 si celebra la Giornata europea della prostata istituita per invitare la popolazione maschile a prendersi cura di questa ghiandola localizzata al di sotto della vescica.

I primi campanelli d’allarme di un cattivo funzionamento non devono essere assolutamente sottovalutati. In Italia il cancro alla prostata è il tumore più diffuso tra gli uomini. Rappresenta il 18,5% di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo. Fattori di rischio sono la genetica, uno stile di vita sedentario, l’obesità, il diabete e un’alimentazione non sana. Intorno ai cinquant’anni si può manifestare un ingrossamento benigno della prostata che tende ad esercitare una pressione fastidiosa sulla vescica e sull’uretra provocando un bisogno frequente di urinare o difficoltà durante la minzione stessa. Nei casi più gravi si può verificare un vero e proprio blocco della minzione con perdita di sangue, chiamata ematuria.

Per mantenere in salute la prostata gli urologi consigliano uno stile di vita sano e un’alimentazione bilanciata. Sotto alcuni piccoli e preziosi accorgimenti da seguire.

  • Effettuare una visita urologica ogni anno: questo appuntamento è valido soprattutto per gli uomini intorno ai cinquant’anni. Lo screening va regolarmente fatto intorno ai quarant’anni se in famiglia ci sono stati casi di cancro alla prostata.
  • Massima attenzione all’idratazione: bere almeno due litri di acqua al giorno consente di purificare il tratto urinario e prevenire infezioni urinarie dannose. Bisognerebbe avere l’abitudine durante la giornata di sorseggiare l’acqua a più intervalli e non solo durante la consumazione dei pasti.
  • Avere una vita sessuale regolare: l’astinenza sessuale provoca un ristagno di secrezioni che possono scatenare delle infezioni seminali. Inoltre da evitare è di non assecondare lo stimolo eiaculatorio che interrotto provoca il reflusso intraprostatico responsabile di molte infiammazioni.
  • Regolarizzare l’attività intestinale: chi soffre di stipsi cronica è più esposto al rischio di infiammazioni a carico di questa ghiandola. Prezioso è il consumo di cibi ricchi di fibre che depurano l’organismo da scorie e tossine in eccesso.
  • Consumare alimenti antiossidanti: a tavola ci si può prendere cura della prostata mangiando cibi ricchi sostanze antiossidanti come le vitamine A, E, C, il licopene, il manganese, lo zinco e il selenio. Via libera quindi a carote, albicocche, frutta secca, frutti rossi, cereali integrali, legumi, verdure a foglie verde e tuorlo d’uovo. Da limitare invece sono i cibi ricchi di grassi come insaccati, formaggi grassi, molluschi, crostacei, spezie in primis il pepe e il peperoncino, caffè e alcolici.
  • No alla vita sedentaria: l’attività sportiva costante stimola la circolazione pelvica. Bisogna però fare attenzione alla cylette perché la posizione su di essa può scatenare dei microtraumi perineali che possono scatenare infiammazioni e irritazioni fastidiose.

Variante Eris, sintomi e differenza con il raffreddore. Quali sono i tempi di incubazione? Quanto si resta positivi? Domande e risposte

Si chiama Eris, come la dea greca della discordia. La nuova variante Covid, complice l’impennata di casi, torna a far preoccupare in attesa delle stagioni più fredde. La sottovariante di Omicron, nota con il nome scientifico EG.5, è stata indicata come variante di interesse dall’Oms in agosto ed è destinata a diventare la forma dominante di Covid in molti Paesi. In Italia lo è già.

 

Cos’è Eris?

Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Istituto Superiore della Sanità sulle varianti di coronavirus circolanti a fine agosto, ormai il 41,9% dei casi di Covid-19 in Italia è riconducibile ad Eris e la sua proporzione è risultata in crescita nelle ultime settimane. L’indagine ha preso in considerazione i campioni notificati dal 21 al 27 agosto 2023 da analizzare tramite sequenziamento genomico. Un quadro simile a quello italiano si osserva a livello globale, dove EG.5, ed in particolare EG.5.1, è caratterizzata da un notevole incremento, rappresentando la Variante di Interesse (VOI) maggiormente rilevata in Europa, Stati Uniti e Asia 7,8. Gli studi ad oggi effettuati evidenziano che EG.5 è caratterizzata da un elevato tasso di crescita che, insieme ad una diminuita capacità neutralizzazione da parte di anticorpi verso altre varianti giustificherebbe la sua prevalenza in diversi Paesi. «Ad oggi – si legge nel documento – non si evidenziano rischi addizionali per la salute pubblica rispetto ai lignaggi co-circolanti».

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Quali sono le altre varianti?

Ma in Italia sono presenti altre varianti. C’è la variante XBB.1.16, detta Arturo (16,5%), mentre i valori relativi a XBB.1.5 (Kraken) sono in diminuzione (13,4% contro il 21,2% della precedente indagine di luglio 2023), così come quelli relativi a XBB.2.3 (7,8% contro il 12,2% della precedente indagine).

Decisamente più bassi i livelli di Orthrus (o CH.1.1), che si attestano al 2,3%. 

Perché è più resistente?

Potrebbe essere proprio la variante Eris, secondo uno studio pubblicato dall’università dell’Insubria, ad aver contribuito alla crescita dei casi Covid registrati nelle ultime settimana in Italia, con il balzo del +44% solo negli ultimi 7 giorni. I risultati spiegano anche perché questa variante sta diventando dominante (in Italia è presente in almeno il 40% dei sequenziamenti) e fanno affievolire le speranze che le nuove varianti (compresa la stessa Eris) possano diventare col tempo meno diffusive. Si è dimostrato infatti che una mutazione l’ha resa più resistente agli attacchi del sistema immunitario. Pesa anche, secondo le analisi, l’abbassamento della guardia nei confronti del virus. Fronte comune sulla necessità di vaccinare: il coro di medici che ne sottolinea l’importanza è sempre più ampio, dagli esperti dello stesso Spallanzani di Roma a quelli di Milano come Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Stdi di Milano: «La fase di crescita di casi di Covid continuerà nelle prossime settimane anche con la commistione con l’influenza. Fragili e anziani devono fare i tamponi così, nel caso, possono assumere i farmaci antivirali. Difficile dire quando ci sarà il picco perché il Covid non è stagionale come l’influenza.È importante vaccinare fragili e anziani, serve un’alta attenzione a livello istituzionale, sorveglianza e monitoraggio».

«La percezione e la preoccupazione che abbiamo è quella della stanchezza vaccinale, e in tutto il mondo si traduce in una riduzione della copertura», ha detto Alberto Mantovani, presidente di Fondazione Humanitas per la Ricerca e direttore scientifico Humanitas. L’adesione vaccinale sembra essere quindi la prossima sfida. Una circolare a metà agosto ha dettato le indicazioni per la nuova campagna vaccinale. Prevista insieme alla campagna antinfluenzale l’avvio di una campagna nazionale di vaccinazione anti COVID-19 con l’utilizzo di una nuova formulazione di vaccini a mRNA e proteici di cui si prevede la disponibilità di dosi a partire dal mese di ottobre. 

Dopo quanto si può riprendere? 

Una delle caratteristiche peculiari osservate fin dalle prime varianti Omicron è la capacità di eludere le difese immunitarie acquisite mediante precedente infezione. A riprova di questa facilità di contagio diversi studi hanno rilevato che gli anticorpi residui prodotti da una precedente infezione o dalla vaccinazione siano molto più efficienti nel proteggerci da Omicron BA.1 o BA.2 rispetto alle più recenti varianti Omicron 4 e 5 (sono intanto stati approvati i vaccini bivalenti aggiornati di Pfizer e Moderna, sviluppati proprio verso Omicron) e successive. 

Quali sono i sintomi?

Tra i sintomi prevalenti ci sono ancora quelli legati alle vie respiratorie superiori, come mal di gola, tosse secca, congestione e naso che cola, mal di testa, voce rauca, dolori muscolari e articolari. Meno presenti perdita di gusto e olfatto e problemi gastrointestinali. Una ricerca pubblicata sulla piattaforma bioRxiv, condotta dall’università di Tokyo, ha rilevato in esperimenti sui criceti che la variante in questione riuscirebbe a colpire maggiormente i polmoni, e che questo potrebbe tradursi, almeno in una parte dei pazienti, in manifestazioni più severe di Covid. 

Quali i tempi di incubazione?

I tempi di incubazione generalmente associati all’infezione da Covid-19 sono mediatamente di 5 giorni (con una forbice compresa tra 2 e 14), ma fin dalla variante Omicron sembra oggi avere un esordio più rapido, spesso datato attorno a 3-4 giorni circa.

Uno studio pubblicato su Jama in agosto ha rilevato che i tempi d’incubazione medi sono così diminuiti:

Alpha 5 giorni

Beta 4,50 giorni

Delta 4,41 giorni

Omicron e 3,42 giorni.

 

Quanto durano i sintomi? 

Fino a cinque giorni. Questa è la durata media di chi sviluppa i sintomi in forma lieve. La positività invece può durare fino a due settimane. 

Acido folico: benefici, controindicazioni, dove si trova

L’acido folico è una vitamina del gruppo B fondamentale per la nostra salute.

Vediamo insieme quali sono i sintomi dell’acido folico basso, quali sono le sue proprietà e dove possiamo trovarlo.

 

Cos’è l’acido folico, o vitamina B9

L’ acido folico o vitamina B9 è una vitamina idrosolubile che rientra nelle vitamine del gruppo B.

Più nello specifico, possiamo distinguere l’acido folico dai folati sebbene si tratti di molecole molto simili tra loro:

  • Mentre i folati si trovano naturalmente negli alimenti;
  • l’acido folico rappresenta un prodotto di sintesi.

 

A cosa serve l’acido folico

L’acido folico svolge diversi importanti ruoli nell’organismo umano, vediamo quali sono i principali:

  • È coinvolto nella sintesi e riparazione del DNA;
  • è coinvolto nella sintesi, crescita e corretta funzione cellulare;
  • è coinvolto nella sintesi proteica;
  • è coinvolto nella crescita dei globuli rossi.

 

Proprietà e benefici dell’acido folico

L’acido folico presenta molte proprietà benefiche per l’organismo, vediamo quali sono le principali:

  • Riduce il rischio di malformazioni del feto;
  • favorisce la salute del cervello;
  • riduce il rischio di Alzheimer;
  • favorisce il benessere mentale, riducendo il rischio di ammalarsi di ansia e depressione;
  • riduce il rischio cardiovascolare;
  • promuove la fertilità.

 

Quando bisogna assumere l’acido folico

L’assunzione dell’acido folico va valutata attentamente dal proprio medico curante.

Alcuni casi in cui potrebbe essere utile integrarlo sono:

  • Scarsa assunzione di folati mediante la dieta;
  • condizioni di salute che limitano l’assorbimento di folati dagli alimenti;
  • gravidanza.

 

Fabbisogno giornaliero di acido folico

Secondo i LARNuomini e donne in buona salute dovrebbero assumere 400 µg di folati al giorno.

 

Carenza di acido folico

  • In gravidanza, aumenta il rischio di malformazioni del feto;
  • anemia;
  • affaticamento;
  • disturbi della crescita;
  • danni nervosi.

 

Eccesso di acido folico

In quanto vitamina idrosolubile, i folati vengono eliminati dall’organismo qualora venissero assunti in quantità superiori a quelle raccomandate.

Tuttavia, un’assunzione di acido folico eccessiva potrebbe provocare effetti collaterali ed è molto importante seguire le indicazioni del proprio medico curante, rispettando l’integrazione raccomandata.

 

Acido folico in gravidanza

L’acido folico in gravidanza è fondamentale per un corretto sviluppo del bambino, infatti, è coinvolto nella sintesi e crescita cellulare, non che nella formazione dei tessuti.

L’assunzione di acido folico prima e durante la gravidanza, quindi, previene la presenza di malformazioni del feto.

 

Integrazione alimentare di acido folico

L’acido folico viene spesso aggiunto in alcuni alimenti, proprio per questo definiti “fortificati”.

In caso di dieta povera o poco varia o aumentato fabbisogno di acido folico si può ricorrere all’utilizzo di integratori di acido folico, da concordare con il proprio medico curante. 

 

Acido folico negli alimenti

L’acido folico negli alimenti non è presente, in quanto si tratta di una molecola di sintesi, dunque, la troviamo solo in forma di integratori oppure in alcuni alimenti fortificati.

I folati, invece, si trovano naturalmente in:

  • Verdure a foglia verde, come broccoli e spinaci;
  • cavoletti di Bruxelles, funghi, asparagi;
  • legumi;
  • frutta;
  • uova;
  • pollame;
  • crostacei.

Malattie sessualmente trasmissibili: le 5 più diffuse in Italia

Le malattie sessualmente trasmissibili sono un fenomeno in costante crescita, sia nel mondo che in Italia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità si verificano oltre 330 milioni di nuovi casi all’anno a livello globale, con maggior incidenza tra i giovani di età inferie ai 25 anni (maggiormente colpite sono le donne).

Sono dati allarmanti che riguardano anche il nostro Paese. Gli episodi di sifilide, ad esempio, sono quadruplicati dal 2000 ad oggi, quelli di gonorrea sono raddoppiati e si sono riscontrate nuove situazioni di contagio anche di malattie che sembravano debellate.

Ma quali sono le 5 malattie infettive a trasmissione sessuale più diffuse in Italia? Scopriamole insieme.

5. Papilloma virus

Il Papilloma virus (o HPV) è un’infezione a trasmissione sessuale, ma può essere trasmesso anche attraverso contatti cutanei e delle mucose.

È una malattia pressoché asintomatica e spesso si estingue da sola. Tuttavia, in alcuni casi può provocare lesioni al collo dell’utero che vengono evidenziate attraverso il Pap test.

Attualmente in Italia esiste un vaccino che permette di ridurre l’incidenza del tumore al collo dell’utero di circa il 70%.

4. HIV-AIDS

L’Aids (Acquired Immune Deficiency Syndrome) è una malattia causata dal virus dell’HIV. Quest’ultimo si trova nel sangue, ma anche nel liquido pre-eiaculatorio, nello sperma e nel fluido vaginale e, pertanto, la trasmissione può avvenire anche attraverso rapporti sessuali non protetti. Tuttavia, è bene sapere che una madre infetta può contagiare un neonato anche attraverso il proprio latte o il canale del parto.

3. Herpes genitali

Questa infezione a trasmissione sessuale è causata dal virus dell’Herpes Simplex (o HSV) e si manifesta con la presenza di vescicole biancastre cutanee pruriginose nell’area genitale.

Si tratta di una malattia cronica che ha un periodo di incubazione di circa 15 giorni. Tuttavia, una volta contratta, tende a ripresentarsi periodicamente quando le difese immunitarie si indeboliscono.

2. Sifilide

La Sifilide è causata da batteri del genere treponema. Colpisce principalmente giovani sotto i 30 anni e si manifesta attraverso 4 stadi (sifilide primaria, secondaria, latente e terziaria).

Per formulare la diagnosi lo specialista si avvale di test treponemici e non treponemici che sono necessari per poter individuare la cura più indicata in base alla specificità e alla gravità dell’infezione. 

1. Gonorrea

La Gonorrea è causata da batteri della specie neisseria gonorrhoeae e si trasmette con rapporti sessuali non protetti, ma anche attraverso il canale del parto e la placenta.

Spesso asintomatica, tuttavia può comportare anche arrossamento del pene, uretrite, cervicite, perdite maleodoranti anomale, dolore testicolare, al basso ventre o durante i rapporti sessuali e faringite.

Variante Eris, i sintomi una settimana prima del tampone positivo: ecco il fenomeno pre-Covid (che aumenta i contagi)

La variante Eris ha improvvisamente riacceso l’attenzione sul Covid. L’aumento dei contagi, registrato anche in Italia, sembra essere dovuta alla diffusione di questa nuova mutazione della variante. Diversi studi stanno analizzando le caratteristiche di questo ceppo del virus, delle motivazione dietro la sua capacità infettiva, del tipo di sintomi che provoca e, infine, dei tempi di incubazione. In particolare questo ultimo elemento sembra mostrare un fenomeno anomalo. Si sta osservando un modello di insorgenza di sintomi del Covid a cui non farebbe seguito un tampone positivo per diversi giorni, fino a una settimana. Definito pre-Covid, questo fenomeno sarebbe alla base della crescita improvvisa dei casi e della sua diffusione a macchia di leopardo.

   

Sintomi prima del tampone positivo

Cosa è emerso?  Secondo quanto riferito da alcuni scienziati l’individuo starebbe sperimentando sintomi ma, una volta effettuato il tampone, il test risulterebbe negativo. Poi, circa una settimana dopo, i sintomi peggiorano e solo in quel momento il test risulta positivo.

Il dottor Thomas Moore, esperto di malattie infettive presso l’Università del Kansas, ha spiegato a cosa sarebbe dovuto questo fenomeno: «Ci vuole un po’ di tempo prima che il virus venga diffuso in quantità sufficienti per essere rilevabile. Se presenti sintomi e inizialmente il test è negativo, dovresti eseguire nuovamente il test dopo 48 ore. La possibilità di un test positivo aumenta significativamente a giorni alterni».

 

L’incubazione

Questa fase iniziale di infezione da Covid dal punto di vista medico viene definita periodo di incubazione. Il corpo viene infettato dal virus, a causa del quale compaiono i sintomi, ma la quantità di virus è troppo bassa per essere rilevata nel soggetto testato. 

 

I sintomi

Anche se non ci sono ancora dati attendibili sul tipo di sintomi che le persone stanno sperimentando in questo momento, i medici riferiscono di sintomi per lo più lievi o comuni di Covid-19. Kristina K. Bryant, MD , specialista in malattie infettive pediatriche presso Norton Children’s Infectious Diseases, ha dichiarato a Health che vede principalmente pazienti con sintomi simili alla precedente sottovariante Omicron.

Questi riguardano principalmente disturbi delle vie respiratorie superiori, come mal di gola, tosse, congestione e naso che cola. «Alcune persone hanno addirittura detto che pensavano di avere allergie», ha detto Bryant. «Ma l’EG.5 merita di essere osservato. È la sottovariante dominante».

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