Mucche uccise a frecciate e macellate alla periferia di Roma. Raid all’istituto agrario, la preside: “Sconvolti”

Una mucca uccisa a frecciate e macellata sul posto, un’altra gravemente ferita che sarà abbattuta nelle prossime ore: è il bilancio di un raid avvenuto la scorsa notte nell’Istituto tecnico agrario ‘Emilio Sereni’ alla periferia est di Roma.

A darne notizia è la preside Patrizia Marini. “Noi – afferma – siamo in una zona al confine con Tor Bella Monaca in cui facciamo tanti progetti di legalità, ci impegniamo per avviare i ragazzi al lavoro. Ma questi sono episodi gravissimi che ci mettono con le spalle al muro”. Sul posto sono intervenuti i carabinieri.

Le mucche vittime del raid – una di razza Limousine, una di razza Marchigiana – erano capi di grande pregio, allevati secondo criteri bio e usati per illustrare le tecniche zootecniche: circa 4-5.000 euro a capo secondo la dirigente.

Non è la prima volta che capi di bestiame vengono uccisi: in primavera furono sgozzati tre o quattro maiali, anch’essi pregiati: un danno di oltre 10 mila euro.

La preside esclude uno ‘sgarbo’, e pensa piuttosto a reati predatori: “In altre occasioni hanno rubato l’incasso delle macchinette snack, in altre il vino, una volta hanno provato a portarsi via il trattore”.

La scuola ha un custode notturno, che però in entrambi i raid contro gli animali, racconta la preside, non si è accorto di nulla. Ora si pensa a un sistema di videosorveglianza che però, le era già stato risposto in passato dalla Città Metropolitana, è molto costoso.

Scoperto un frigorifero dei legionari romani, con tubo di raffreddamento e contenitori: “Potremo ricreare l’ultimo pasto”

Un frigorifero in muratura dei legionari romani di circa 1900 anni fa, alimentato da un tubo di piombo collegato all’acquedotto per rilasciare il freddo dell’acqua, in un ambiente chiuso e isolato: come riporta il sito di Stile e Arte, Quotidiano di Cultura è stato trovato dagli archeologi nel cuore della Bulgaria settentrionale, precisamente nell’ex fortezza di Novae, dove sorgeva una base militare dell’Impero Romano.

Il team di archeologi polacchi, guidato dal prof. Piotr Dyczek, ha compiuto scoperte sorprendenti in questo sito storico rivelando una vasta gamma di dettagli sulla vita dei legionari e sulla complessità dell’infrastruttura romana.

Una delle scoperte più importanti è quella di un antico pozzo, il primo mai conosciuto a Novae, grande fortezza delle legioni romane al confine dell’impero, parte delle difese (limes Moesiae) lungo il Danubio nel nord della Bulgaria, a circa 4 km a est della moderna città di Svishtov.

Questo pozzo forniva acqua ai legionari attraverso un sistema di acquedotti realizzati con tubazioni in ceramica e piombo. Grazie ai dislivelli il prelievo era probabilmente costante. 

Attorno al tubo in piombo, che trasportava l’acqua fredda, è stato scoperto un contenitore fatto di piastre di ceramica, che permetteva al tubo di correre lungo il suo lato più lungo. Un frigorifero antico, incredibile per l’epoca.

Al suo interno sono stati rinvenuti frammenti di vasi per bere il vino, scodelle e ossa di animali. I Romani avevano dunque sviluppato un sistema di raffreddamento aggiuntivo per conservare le bevande e la carne fresca, dimostrando una sofisticata comprensione dell’ingegneria termica.

Il prof. Dyczek ha commentato: “Un altro esempio di un frigorifero antico, questa volta con un raffreddamento aggiuntivo, perché all’interno erano presenti frammenti di vasi per bere il vino, scodelle e ossa di animali. Questo ci permetterà di ricreare l’ultimo pasto”.

Porsche con la scritta sbagliata a Roma, la foto scattata sulla Colombo è virale. «Sarà un esemplare unico»

Porshce anziché Porsche. Macchina di lusso con la scritta sbagliata a Roma. L’errore è stato immortalato da un pendolare sulla Colombo, direzione Ostia. «Sono andato anche io a controllare come si scrivesse», racconta l’autore dello scatto.

Scontro auto-scooter sulla Casilina, ferito un ragazzo: atterra l’eliambulanza

E non ha potuto che constatare l’inversione della “h” con la “c”. Un errore del meccanico? Esemplare uscito con le lettere invertite dalla fabbrica? «In questo caso sarebbe l’unico», commentano gli utenti. Chissà se il proprietario se n’è accorto, di certo non sarà contento.

Finanziere si prende i soldi del sequestro: scomparsi 123 mila euro. Il militare infedele scoperto dai colleghi

Oltre 123 mila euro scomparsi dagli uffici della guardia di finanza, rubati da un militare che è stato identificato dai suoi stessi colleghi grazie a un’indagine lampo. È l’amara scoperta fatta dai titolari di due esercizi commerciali, che prima hanno sorriso quando gli è stato comunicato che il giudice aveva disposto che venisse loro restituita la somma sequestrata tre anni prima, ma poi sono restati a bocca aperta quando hanno appreso che nel frattempo gran parte del loro denaro è scomparso mentre era nelle mani dello Stato.

I fatti risalgono allo scorso 30 agosto, ma per capire questa vicenda occorre ritornare all’11 giugno del 2020, quando i finanzieri, che indagano su un giro di droga e contraffazione, bussano alla porta di un esercizio commerciale all’Esquilino, la Anna Pelletterie Srl, e sequestrano 11.570 euro. Poi vanno a casa di un uomo che abita poco distante, sempre in via Filippo Turati. E trovano, in una cassaforte, 160 mila euro in contanti e due macchine conta soldi. L’uomo, di origini orientali, viene accusato di reati fiscali e tutta la somma, 171.500 euro, viene sequestrata.

La vicenda arriva in tribunale. Da un lato c’è il processo all’uomo, che morirà dopo poco tempo per cause naturali, dall’altro la disputa sul sequestro. Due aziende, la Anna Pelletterie e la Leone, infatti sostengono che quel denaro non era dell’uomo, ma delle società.

La faccenda nel settembre 2022 arriva in Cassazione, dove i giudici dicono che il sequestro difetta di un’adeguata motivazione. Quindi nell’aprile scorso il Gip Andrea Fanelli dissequestra l’intera somma.

I titolari delle due aziende pensavano di aver vinto una battaglia legale, ma era solo l’inizio di una nuova avventura giudiziaria.

Perché quando l’avvocato Maurizio Oliva, che rappresenta le aziende, lo scorso 30 agosto è andato negli uffici della Finanza, ha scoperto che la somma in sequestro «non era più disponibile per intero in quanto euro 123.550 sarebbero stati trafugati», si legge negli atti.  A rubare i soldi, dicono gli investigatori, sarebbe stato un finanziere.

I suoi colleghi hanno scoperto dell’ammanco nel maggio scorso. E ai primi di luglio il nome del militare di 54 anni era già sul registro degli indagati. Perquisito, il finanziere ha dovuto arrendersi davanti a un provvedimento con cui i magistrati gli hanno sequestrato la casa, la moto e anche l’auto.

L’avvocato Oliva adesso pretende che la somma venga restituita ai suoi assistiti e, attraverso una diffida, chiede alla Guardia di finanza di risarcire. La questione però è stata sottoposta all’attenzione del gip Andrea Fanelli, che ha certificato che la “somma illecitamente sottratta” “non è disponibile” e che “gli aventi diritto”, prosegue il provvedimento notificato all’avvocato Oliva dalla finanza, devono “intraprendere opportune azioni legali a tutela delle rispettive ragioni di credito”.

Dunque per il giudice, prima di riavere la somma le aziende devono affrontare un altro procedimento, presumibilmente chiamando in causa chi ha materialmente sottratto il denaro.

«Sono rimasto basito quando a fronte della richiesta di restituzione da me inoltrata, né il Comando Generale né quello Regionale della Guardia di Finanza hanno dato alcuna risposta — dice l’avvocato Maurizio Oliva — I miei assistiti per ottenere la restituzione del loro denaro dovranno agire in un giudizio civile con le lungaggini dello stesso ma indubbiamente una simile situazione offre un quadro sconsolante del funzionamento della Giustizia».

Senza patente, 18enne uccide un pedone. La madre si addossa la colpa, viene scoperta: ma si salva

Un paio di giorni prima dell’incidente la madre ha noleggiato una fuoriserie da 510 cavalli, una Bmw X4 M Competition. Il figlio, 18 anni appena compiuti, senza patente l’ha presa e si è messo a girare per Roma. Ha perso il controllo e ha falciato a più di 90 di chilometri orari, il limite era a 50, un uomo che il 9 febbraio camminava tranquillo su un marciapiede in via dell’Archeologia a Tor Bella Monaca.

Il passante, Emmanuele Cleber Catananzi, 29 anni, è morto sul colpo. Infine, la madre, 46 anni, una volta scoperta la tragedia causata dal suo ragazzo, ha cercato di sviare le indagini. Si è addebitata la colpa di tutto. «Guidavo io la macchina», ha detto agli investigatori. Nonostante ciò, lei non sarà processata, il favoreggiamento non scatta se si è parenti di primo grado dell’autore del reato. La farà franca.

Il figlio, D. Cecconi, finirà invece a processo con un’accusa gravissima: omicidio stradale. Il pm Mario Palazzi si prepara a chiudere l’indagine.

Sono queste le novità di un caso che aveva scosso la Capitale appena sette mesi fa. Una storia, meno nota, che ricorda molto da vicino la vicenda della Lamborghini Urus e dello youtuber Matteo Di Pietro che a Casal Palocco, il 14 giugno, ha travolto una Smart e ucciso un bimbo che era a bordo dell’utilitaria.

Sono numerosi gli elementi in comune. Il primo è la facilità con cui ragazzi giovanissimi (in questo caso addirittura senza patente) si mettono alla guida di bolidi inaccessibili ai più. Poi c’è il noleggio di queste fuoriserie, affittate senza grossi problemi. E ancora, la forte velocità a cui fanno camminare le supercar in strade cittadine e infine l’epilogo tragico: la morte di persone innocenti.

Insomma questo è il caso di Cecconi, 18 anni, alla guida della Bmw X4 M Competition da 500 cavalli, sovrapponibile alla vicenda di Di Pietro, 20 anni, al volante della Lamborghini Urus da 600 cavalli. Entrambi suv con un’accelerazione da 0 a 100 in poco più di tre secondi.

Il diciottenne senza patente che ha ucciso Catananzi aveva preso una curva ad una velocità troppo elevata, come ha ricostruito il consulente della procura l’ingegnere Mario Scipione. La Bmw ha sbandato, ha invaso l’altra corsia senza che il ragazzo riuscisse riprendere il controllo del bolide. La potente auto tedesca ha falciato il ventinovenne, poi si è sbattuta su altre quattro automobili posteggiate. Alla fine ha concluso la folle corsa. Poco dopo è arrivata la madre del ragazzo. La signora si è addebitata le colpe, ma troppi erano i testimoni che avevano assistito alla scena e hanno raccontato tutto alla polizia municipale. Tra pochi mesi verrà fissata la prima udienza davanti gup per il ragazzo responsabile della morte di un passante.

Fratelli Bianchi, processo per sevizie agli animali: si avvicina il salvagente della prescrizione

Prescrizione vicina per le sevizie agli animali di cui sono accusati i Bianchi. Oggi, 12 settembre, si è celebrata la seconda udienza del processo che vede imputati Marco Bianchi, già condannato in appello a 24 anni di reclusione per l’uccisione di Willy Monteiro Duarte, il padre Ruggiero e due loro amici di Artena. Il Tribunale di Velletri si è riservato la decisione sulle richieste di costituzione di parte civile delle associazioni animaliste, tra cui la Lav, l’Enpa, la Lega nazionale per la difesa del cane e Animalisti italiani, contestate dalle difese, rinviando l’udienza al prossimo 3 ottobre. A pesare però è soprattutto il tempo trascorso dai fatti oggetto dell’imputazione, alcuni dei quali sono quasi prescritti.

Un proscioglimento per intervenuta prescrizione con ogni probabilità salverà quindi in tutto o in parte i Bianchi, che non erano presenti in aula.

In tribunale a Velletri si è recato anche Gianluca Felicetti, presidente della Lav, che ha chiesto di costituirsi parte civile tramite l’avvocato Mazzi. “Daremo coraggio e forza alle accuse contro i responsabili di chi ha ucciso senza distinzione esseri indifesi come poi è stato con Willy”, sottolineano dall’associazione.

Il processo è il frutto di accertamenti compiuti dalla Procura di Velletri nell’ambito delle indagini sull’omicidio del 21enne di origine capoverdiana, massacrato a calci e pugni a Colleferro, nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020, dopo essersi attardato nella zona della movida per chiedere a un amico in difficoltà se avesse bisogno d’aiuto. Gli inquirenti fecero esaminare cinque telefonini dei due fratelli, che erano già stati sequestrati nell’ambito di un’inchiesta antidroga portata avanti dalla stessa Procura di Velletri e che ha portato alla condanna dei fratelli Marco e Gabriele Bianchi. Gli investigatori scoprirono così due video del 2017 e del 2019 in cui venivano riprese uccisioni di animali, un uccello e una pecora. Per gli inquirenti particolari utili a dimostrare “come l’indole violenta degli imputati sia una costante”.

“Con un’arma da fuoco da caccia – hanno evidenziato i carabinieri – alla presenza del Bianchi che riprende con il cellulare in suo uso, viene fatto fuoco su di una pecora, provocando ferite e poi la morte dell’animale in modo piuttosto cruento, causando una sofferenza ingiustificata all’animale, accanendosi su di esso come a provare piacere in quella situazione, ciò a sottolineare la bassa sensibilità dei soggetti nei confronti di quello che normalmente può considerarsi aberrante”.

Thomas Bricca, 11 daspo per le risse prima dell’omicidio

Sono accusati di avere dato vita alle due violente risse scoppiate ad Alatri che hanno fatto da premessa all’assassinio di Thomas Bricca, il 19enne ucciso con un colpo di pistola alla testa esploso la sera del 30 gennaio scorso nel centro storico della città: una spedizione punitiva per quelle scazzottate, secondo la ricostruzione della procura della Repubblica di Frosinone.

Oggi il questore Domenico Condello ha emesso 11 ‘Daspo Willy’ a carico di altrettante persone, alcune minorenni, accusate di avere partecipato a quelle risse. In pratica ha decretato per tutti il divieto di accesso per due anni ai locali di intrattenimento di Alatri.

Fondamentale è stato il lavoro svolto dalla Divisione Anticrimine della Polizia in sinergia con i carabinieri di Alatri. Le 11 le persone raggiunte dal Daspo Willy fanno parte di due gruppi contrapposti ed hanno un’età che compresa tra i 17 ed i 49 anni; in occasione di uno dei due scontri, tutta la scena era stata ripresa da una telecamera di sorveglianza e proprio quelle immagini hanno permesso di identificare con precisione i protagonisti della violenta scazzottata. Il locale aveva ricevuto dal questore Condello la sospensione per 15 giorni dell’autorizzazione ad esercitare l’attività.

Dal punto di vista penale, nelle settimane scorse l’informativa dei carabinieri e quella dell’Anticrimine avevano portato la Procura di Frosinone ad iscrivere gli 11 soggetti nel registro degli indagati per il reato di rissa aggravata

“T’ammazzo”. “Ma ancora vivo sei?”, Vito Lo Iacono dei Borderline risponde agli hater su TikTok: “Sanno tutti più di me”

Vito Lo Iacono, il membro dei TheBorderline detto “Er Motosega”, torna a postare su TikTok. Gli effetti social del tremendo impatto della Lamborghini Urus affittata dai creator e la Smart a bordo della quale sedeva il bambino non sono ancora finiti. E così lo youtuber stavolta parla direttamente agli hater che continuano a bersagliarlo per l’incidente che lo scorso giugno è costato la vita al piccolo Manuel, morto a soli 5 anni. “Sanno tutti più di me…”, scrive Lo Iacono. Intendendo che nessuno in realtà capisca come si senta dopo quello che è successo.

Il video è corredato dagli insulti e dalle minacce collezionate in questi mesi. “T’ammazzo”, gli scrive un utente. “Ma ancora vivo sei? A sto punto ti auguro un cancro”, aggiunge un altro. Infine la domanda: “Ma ancora non t’hanno ammazzato?”.

Sui profili social di Lo Iacono è un continuo di frasi del genere. Messaggi ricevuti anche in privato quando ha pubblicato su Instagram le stories che lo ritraevano in vacanza al mare con la fidanzata Gaia Cascino, conosciuta sul set del reality “Il Collegio”.

In attesa di novità dalla procura – Vito Lo Iacono non è indagato per l’incidente, mentre lo è il conducente della Lamborghini, Matteo Di Pietro – la vita dello youtuber sfila via tra un TikTok e l’altro. Video di difesa, mentre sui social continuano a moltiplicarsi i post di minaccia agli youtuber che collezionavano click e visualizzazioni a suon di challenge sempre più folli.

Roma, l’auto si ferma sul Gra: marito e moglie travolti. Morti sul colpo centrati da un taxi

A casa dai loro bambini, un maschietto e una femminuccia di 9 e 11 anni, Jorge Luis Moscoso e la moglie Maria Elena Ortis Leon non sono mai tornati. La loro vita si è fermata alle 4.45 di sabato insieme con la loro auto, una Opel Meriva rossa, che improvvisamente si sarebbe arrestata sulla corsia centrale della carreggiata esterna del Grande raccordo anulare per ragioni ancora tutte da chiarire.

Incidente sulla Cassino-Formia, morta Graziella Parente: gravissimo il marito. Sposati a luglio, erano da poco rientrati dal viaggio di nozze

Quando il tassista della cooperativa 3570 che sopraggiungeva dietro di loro a bordo di un Suv Kia elettrico di ultima generazione se l’è trovata davanti non è riuscito a evitarla, tamponandola violentemente. Nella carambola i coniugi, lui 45 anni, alla guida, lei 36 anni, di origine peruviana, non hanno avuto scampo. Inutile anche il disperato tentativo degli operatori del 118 di rianimarli una volta estratti dalle lamiere accartocciate della vettura dai vigili del fuoco: entrambi sono deceduti sul colpo.

I SOCCORSI

L’incidente è avvenuto tra le uscite Aurelia e Pisana. Le pattuglie della Polizia stradale di Settebagni sono intervenute per i rilievi e hanno gestito il traffico, evitando il blocco totale della circolazione, incanalando le vetture all’interno dell’autogrill. Sotto choc il tassista, contuso e ieri per lunghe ore in ospedale per accertamenti: «Stavo accompagnando una cliente in aeroporto, mi sono trovato di fronte all’improvviso quella macchina ferma senza le 4 frecce, come fosse un muro», ha spiegato. L’uomo, 53 anni, assistito dall’avvocato Leonardo Lener, è risultato negativo all’alcol test a cui è stato subito sottoposto dai poliziotti e al droga test effettuato all’Aurelia Hospital. La turista spagnola che stava portando a Fiumicino e che era seduta dietro, è rimasta miracolosamente illesa. Per la donna è stata chiamata un’altra auto bianca che l’ha portata al Leonardo da Vinci dove rischiava di perdere l’aereo.

 

La coppia abitava in zona Torre Gaia, periferia Est della città. Moglie e marito avevano trascorso la serata da alcuni parenti di lui che, a Roma, ha anche i fratelli. Li avevano salutati da poco e stavano facendo rientro a casa dove ad attenderli c’erano i loro bambini lasciati in custodia a un altro zio, che vive con loro. «Jorge Luis e Maria Elena – hanno raccontato i familiari – erano dei gran lavoratori, ben inseriti e integrati qui a Roma. Facevano tutto per i loro figli a cui ora dovremo spiegare che mamma e papà non ci sono più. Non riusciamo a credere a questa tragedia, così assurda». Alla famiglia esprime il proprio cordoglio la cooperativa 3570: «Il nostro collega è distrutto per il dolore. A prescindere dalle responsabilità che saranno accertate nelle sedi opportune, noi tutti esprimiamo vicinanza ai familiari delle vittime e ci stringe il cuore sapere di quei bambini orfani».

LE IPOTESI

La Stradale ha lavorato a lungo per i rilievi planimetrici, mentre si svolgeranno ulteriori perizie sui veicoli posti sotto sequestro anche per definire la velocità a cui procedeva il suv, tenendo conto che sul Gra il limite è di 130 km orari. La Kia ha azionato il sistema di frenata automatico in caso di ostacoli improvvisi e in maniera autonoma ha dato l’Sos per i soccorsi. I periti verificheranno anche i dati registrati dalla centralina informatica. Il conducente, come di rito, è indagato per omicidio stradale.

Tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti è la possibilità che i coniugi siano rimasti improvvisamente senza benzina o che la loro utilitaria possa avere avuto un guasto.

In dieci giorni sono già quattro le vittime di incidenti stradali sul Gra. Venerdì 1 settembre una donna di 85 anni aveva perso la vita tamponando un’altra vettura all’altezza di Castel Giubileo. Meno di 36 ore dopo un 23enne di Massimina si era schiantato con la propria auto sul guardrail.

Can Yaman denunciato a Civita Castellana: “Era una furia. Mi ha aggredita perché tenevo la musica alta in negozio”

Chi è in Tuscia per un selfie vip e un autografo non si stupisca quando troverà Can Yaman al telefono con il proprio avvocato. Una negoziante di Civita Castellana ha infatti accusato il divo turco di averla aggredita.

Sarebbe accaduto tutto nei giorni scorsi, durante le riprese della serie televisiva “Viola come il mare 2”. Barbara Nelli, titolare di un negozio di abbigliamento in piazza Matteotti, ha denunciato l’attore per aggressione.

Secondo il racconto della commerciante al Messaggero, Yaman “è entrato nel negozio come una furia dicendomi di spegnere la musica”. Il volume avrebbe impedito agli attori, inclusa l’ex miss Italia Francesca Chillemi, di stare concentrati sulle battute. “Hanno dovuto trattenerlo in quattro perché voleva avventarsi contro di me – continua Nelli – ha anche dato un calcio a una delle persone che tentavano di tenerlo fermo. Io mi sono spaventata moltissimo”.

La serie tv è approdata a Civita Castellana, paesino in provincia di Viterbo, lo scorso lunedì. Il 4 settembre è il giorno di allestimento del set. Piazza Matteotti viene interdetta al traffico e i negozi devono chiudere.

“Il mio negozio si trova proprio dove si svolgevano le riprese – spiega Nelli – per questo da lunedì non ho potuto accogliere clienti, né ho avuto la possibilità di ricevere pacchi dai corrieri. Io mi sono lamentata della situazione svariate volte con l’amministrazione comunale e con la produzione. Ho anche chiesto un risarcimento economico del danno subito per i mancati introiti della settimana. Mi sono resa disponibile a mostrare gli incassi giornalieri perché non ho alcuna intenzione di approfittarne”.

Ecco l’aggressione. Nelli riprende: “Sono entrata in negozio presto, alle 7 del mattino. Ho cominciato a fare le pulizie. Una volta dentro non potevo né uscire né ricevere clienti. Ero praticamente sequestrata. Così ho acceso la radio. Poco dopo sono entrate due persone per chiedermi di spegnere l’apparecchio”.

La negoziante non sa quello che sta per succedere: “Mentre parlavo e spiegavo educatamente le mie ragioni, è arrivato come una furia Can Yaman, che mi ha aggredito verbalmente. Lo tenevano in quattro, ho avuto paura”. Francesca Chillemi ha provato a calmare la commerciante: “Mi ha tranquillizzata, è stata molto carina. Mi ripeteva ‘fallo per me’”.

Dopo l’aggressione la produzione ha contattato Nelli per offrirle 600 euro. Che sono stati rifiutati.

“Hanno cercato di tamponare l’aggressione con un risarcimento”, sostiene l’avvocato Giuseppe Romano del foro di Lecce. “Ma senza voler speculare sull’accaduto, bisogna ammettere che non tutto è stato organizzato per il meglio. Lasciare senza ristoro i commercianti per quattro giorni non è stato corretto. Così come non è stato corretto offrire il risarcimento solo dopo il fatto increscioso. Tra l’altro a fine serata la mia assistita ha anche scoperto che la serranda del negozio è stata danneggiata, forse con un calcio”, aggiunge il legale.

La produzione non ha voluto commentare l’accaduto. La presunta aggressione sarebbe avvenuta davanti agli altri commercianti della zona, che adesso potrebbero essere sentiti come testimoni dai carabinieri.

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