
«Mentre in via Libertà si procura la coca a Miccichè, a Ballarò i nostri ragazzi muoiono di crack e nessuno se ne occupa. Chi spaccia droga vende morte ai nostri figli. Significa andare a braccetto con la mafia». Francesco Zavatteri è il padre di un giovane morto di crack a 19 anni nella propria camera, a Palermo, appena nove mesi fa.
Per i magistrati il centro dello spaccio era Villa Zito.
«È grave che un imprenditore entri in un giro del genere così come far diventare il drogarsi una consuetudine dell’umanità. E’ quanto emerge dalle parole dei protagonisti di questa brutta storia . Conosco Mario Di ferro da tanti anni e da un punto di vista umano non può che dispiacermi. Da un punto di vista etico, avendo perso un figlio a causa del crack, condanno profondamente la sua condotta. Mi fa ancora più rabbia l’avere letto che la procura di Palermo ha intercettato un contatto diretto di Di Ferro con un mafioso che lo riforniva. Dobbiamo ripetere fino allo sfinimento che droga uguale mafia».
Miccichè ha detto: anche se sniffassi coca sarebbero fatti miei.
«Se lui fosse un privato cittadino si potrebbe compatire pensando che ha un suo problema irrisolto. Siccome stiamo parlando di una figura istituzionale importante e rappresentativa, ritengo che sia estremamente grave un’esternazione di questo tipo».
L’Onorevole ha aggiunto che non farà mai il test antidroga.
«Lui si è sempre sentito una sorta di padreterno. Vuoi perché era uno dei fedelissimi di Berlusconi, vuoi per indole. Ascoltare certe frasi è un pugno nello stomaco per chi ha perso un figlio ucciso dalla droga».
Miccichè definisce “demagogia” il test.
«Demagogia? Chi decide di fare politica va a rappresentare i cittadini. Deve essere una persona integerrima. Dietro allo spaccio di droga c’è la mafia».
Lei ha trasformato la sua tragedia in una spinta per salvare altri ragazzi. In che contesto si inserisce adesso questa vicenda?
«Ci sono minorenni che acquistano le sostanze, ragazzine che si prostituiscono il crack. Giovani che moriranno o diventeranno schizofrenici. Quando il ragazzino va dallo spacciatore per la marijuana, spesso gli danno la coca in omaggio instaurando un rapporto di fiducia perverso. E poi purtroppo c’è questo gioco a distogliere l’attenzione».
A cosa si riferisce?
«Al fatto che ogni giorno trovano 5 chili di qua, 10 chili di là e spesso sono delle cose civetta. Gli spacciatori stessi fanno trovare un certo quantitativo di droga in modo da distogliere l’attenzione da altri mercati».
Lei ha organizzato un convegno all’università sull’emergenza crack . Le istituzioni c’erano?
«Avevo mandato una mail a tutti i rappresentanti delle istituzioni cittadine, a tantissimi politici e a tutti i capigruppo all’Ars. Non è venuto nessuno. Solo uno ha risposto».
Aveva invitato Miccichè?
«Certo e non ha risposto».
Cosa le fa più male?
«Il silenzio. Veicolare una corretta informazione significa attuare un’azione contro la mafia per tutelare i nostri figli da un male che entro 5-10 anni causerà una strage. A Palermo è un fenomeno sempre più diffuso. I primi consumi avvengono già a 13 anni. Invece ci si preoccupa di fare sembrare la città bellissima per la visita del presidente della Repubblica e del re di Spagna. Palermo è proprio una città girata al contrario».