Fermato sullo scooter a Ponticelli, punta pistola contro poliziotti: arrestato

Gli agenti dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico nel transitare in via Argine hanno notato due scooter, ciascuno con a bordo due persone, che, alla vista degli degli operatori, hanno tentato di eludere il controllo invertendo la marcia; in quella circostanza uno dei conducenti, vistosi alla strette, ha estratto dalla cintura dei pantaloni una pistola e l’ha puntata a distanza ravvicinata contro gli agenti che, tuttavia, sono riusciti immediatamente a disarmarlo e a mettere in sicurezza l’arma accertando che si trattava di una pistola a salve cal. 8 con 4 proiettili, di cui uno camerato, priva di tappo rosso. 

I poliziotti, sotto la sella del ciclomotore, hanno rinvenuto altresì una scatola con 11 cartucce dello stesso calibro. L’uomo, un 20enne napoletano, è stato tratto in arresto per resistenza aggravata.

Orrore in piazza Garibaldi, donna denuncia: rapinata e violentata da 4 uomini in pieno giorno

Ha denunciato tutto e ora la magistratura indaga su un’altra donna violentata, stavolta a Napoli in zona ferrovia e in pieno giorno. Una vicenda sulla quale stanno cercando di fare luce gli investigatori della squadra mobile e gli inquirenti della Procura di Napoli.

La vittima è una donna di 41 anni, originaria della Colombia, dice di essere stata aggredita, rapinata e violentata alla stazione dei bus nell’area della stazione, a piazza Garibaldi. Una vicenda che rilancia l’allarme sulla catena di violenze ai danni delle donne. Quest’ultimo episodio salito alla ribalta della cronaca, ha delle modalità particolarmente raccapriccianti per come si è svolto e, soprattutto, per le ore in cui è avvenuto.

Secondo il racconto fatto dalla donna, in un italiano ovviamente non perfetto, l’aggressione è stata consumata stavolta non in una strada buia e appartata, ma in pieno giorno e in zona centrale da quattro individui che lei stessa ha descritto genericamente come “arabi”. Forse a voler indicare la carnagione olivastra, che certamente non basta ad identificare la nazionalità degli aggressori.

La donna, che non è una turista, si trova in città per motivi di lavoro. Il fatto è avvenuto nella mattinata dello scorso fine settimana. I particolari di tutta la vicenda ancora non sono stati resi noti, la denuncia della donna sudamericana è stata raccolta dal pubblico ministero di turno della Procura della Repubblica, il pm Raffaele Tufano.

La vittima, secondo quanto ha descritto nel suo racconto agli inquirenti, è stata dapprima colpita alla testa da un oggetto contundente e poi, stordita, fatta salire su un furgoncino senza vetri dove si è consumata la violenza. Gli aggressori le hanno rubato anche un orologio, due collanine e 250 euro prima di lasciarla sul ciglio della strada in stato confusionale. Di lei si sono accorti alcuni passanti che hanno avvisato la polizia intervenuta sul posto poco dopo insieme ad un’ambulanza del 118.

I sanitari si sono resi conto di quello che era accaduto visitandola mentre la donna era ancora in stato confusionale e subito dopo hanno provveduto a trasportarla a sirene spiegate prima al Vecchio Pellegrini e poi al Cardarelli, dove ha raccontato i dettagli di quanto accaduto.

Le forze dell’ordine, che hanno acquisito la certificazione medica dell’ospedale, hanno già ottenuto le immagini delle telecamere di videosorveglianza ubicate nella zona dove è stata consumata la violenza ai danni della donna colombiana. Stanno ora cercando di risalire al numero di targa del furgone dove sono state consumate la violenza e la rapina. Dalla Procura nessun commento, perché le indagini stanno muovendo i primi passi e i particolari indicati dalla donna nella denuncia presentata in ospedale al posto di polizia, non danno ancora sufficienti elementi per risalire velocemente agli autori della violenza e della rapina.

Napoli, la poliziotta Alessandra Accardo violentata al porto: “Sono tornata al lavoro, dovevo essere più forte del male”

“Era mezzanotte e trenta, stavo per entrare nella mia auto e vedo una persona corrermi contro. Pensavo volesse farmi una rapina e comincio ad urlare ma lui subito mi dice di stare zitta e che vuole fare sesso con me, inizia a strattonarmi, cerco di difendermi  però lui ha la meglio su di me. Mi sale addosso e inizia a strangolarmi. Riesco a divincolarmi e da lì fa di tutto per trascinarmi dietro un gabiotto. Iniziano i 20 minuti più lunghi della mia vita”. Alessandra Accardo, la poliziotta aggredita e poi violentata un anno fa nella zona del porto di Napoli, rompe il silenzio.

Racconta durante un’intervista al Tg3 come è tornata a vivere grazie alla propria determinazione, al sostegno della famiglia e all’affetto dei colleghi. “Lui per tutto il tempo ha cercato di aggredirmi con qualunque cosa fosse nella sua disponibilità – ha ricordato – quando ogni tanto mi faceva parlare gli chiedevo ‘se mi vuoi violentare perchè mi stai ammazzando?’. Pensavo di non tornare più a casa”.

L’agente è rientrata in servizio: “Sono tornata al lavoro dopo circa tre mesi, avevo segni sul corpo, non camminavo bene ma sono rientrata perché ad un’azione così cattiva deve rispondere qualcosa che sia più forte, quindi dovevo essere più forte di quello che mi era accaduto”.

La vicenda risale all’ottobre del 2022, quando l’agente, che da poco aveva concluso il turno di lavoro e stava tornando a casa, venne aggredita nella zona del porto. Fu salvata da un camionista e ricoverata al Cardarelli. Il suo aggressore è stato condannato a 14 anni

Eav, tunnel sotto l’antica Stabiae: riemergono mura di età romana

Stabiae riemerge, un tesoro dopo l’altro. Scavando nella collina di Varano per realizzare il raddoppio dei binari della Circumvesuviana a Castellammare di Stabia, più si avanza più riappaiono pezzi dell’antica città. Da mesi riaffiorano reperti delle ville volute dai nobili romani in posizione panoramica, fino all’ultima scoperta di antiche mura lungo il percorso della galleria, appena dentro la stazione di “Castellammare di Stabia” centro gestita da Eav.

Non è la prima volta e non sarà l’ultima. Si tratta di un ritrovamento recente rispetto a quelli annunciati a inizio marzo. Tutti all’interno del cantiere aperto da Eav per costruire un secondo tunnel, rispetto a quello esistente, con la finalità di tagliare di una manciata di minuti i viaggi in treno tra Napoli e Sorrento. Opera contestatissima. Gli operai lavorano tra le recinzioni dei reperti riemersi: la letteratura archeologica già attestava la presenza di reperti ben prima che l’intervento fosse progettato e la cui mappa è contenuta in studi scientifici a partire dagli anni Trenta del secolo scorso.

Le ultime scoperte, con le mura in opera reticolata messe in sicurezza e parti ricoperte da teli bianchi, come testimoniano le foto, si trovano sulla parte più alta del cantiere. Agli inizi di marzo la stessa Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Napoli, che ha il compito di monitorare l’avanzamento dell’intervento in questa fetta della collina del Solaro, già indagata dai Borbone dall’anno 1749, ha annunciato il ritrovamento di resti di una passeggiata dal mare fino alla Villa romana del Belvedere e un impianto idrico costituito da vasche e un pozzo.

«Tutte le strutture romane rinvenute, pesantemente danneggiate dal terremoto del 62 d. C. e dall’eruzione del Vesuvio del 79 d. C., sono databili al I sec. d.C. e sono in corso di documentazione» ha spiegato il soprintendente Mariano Nuzzo cinque mesi fa. Ma intanto l’opera di Eav procede. Vanno avanti gli operai che portano avanti un appalto, finanziato dalla Regione Campania, del valore di più di 100 milioni di euro. Otto i minuti di viaggio che il raddoppio farà risparmiare da Napoli a Sorrento.

«Con la possibilità di introdurre corse ogni 12 minuti ma solo se eliminiamo i passaggi a livello» ripete Eav, in attesa che si discuta il contestato progetto di un sottopasso al centro città. Reso pubblico in estate il piano dell’opera, annessa al raddoppio, oggi è nella fase della presentazione delle osservazioni da parte di associazioni e cittadini stabiesi.

E, giovedì scorso, una frana nella collina di Varano, culla dei reperti di Stabiae, a 50 metri dal cantiere Eav ha riacceso le proteste degli abitanti della zona circostante il cantiere. Effettuato un sopralluogo i tecnici della soprintendenza di Napoli in poche ore hanno archiviato il caso, reputando il cedimento del terreno una conseguenza della fragilità dell’assetto idrogeologico della zona e quindi assumendosi l’onore della messa in sicurezza.

Più particolari ha diffuso Eav che, nell’avvalorare la stessa tesi, ha spiegato di stare lavorando in una zona lontana dal luogo dell’evento di smottamento.

Certo, però, che la fragilità della collina di Varano custode della parte ancora sommersa di Stabiae aumenta le preoccupazioni di associazioni e forze politiche, che protestano da mesi per il rischio a cui è esposto il patrimonio archeologico. Rischio confermato dai rinvenimenti lato Castellammare centro.

Condividendo queste paure si sono rivolti direttamente al ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, i parlamentari Arturo Scotto (Pd) e Gaetano Amato (M5s), chiedendo di bloccare i lavori Eav. Ma dal ministro, che in Campania è presente frequentemente e che a inizio agosto ha gioito per una scoperta che da Stabiae permette di ricostruire gli ultimi momenti di vita prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., ancora nessuna risposta.

Si ferma in A1 e semina il panico fermato con il Taser

Fermatosi per un’avaria dell’auto nei pressi dello svincolo autostradale di Capua, è sceso dall’abitacolo e, forse furioso per il problema meccanico avuto, ha iniziato a inveire e lanciare pietre contro gli automobilisti in transito, finendo anche per attraversare la carreggiata.

Protagonista un 44enne, arrestato dalla Polizia Stradale, intervenuta sul posto con due pattuglie, solo grazie all’utilizzo del taser. Dopo una prima auto della sottosezione di Caserta Nord, è arrivato infatti in supporto anche un equipaggio della sottosezione di Napoli Nord; troppo pericolosa la condotta del 44enne, che già alla vista della prima pattuglia era andato al centro della carreggiata sud dell’A1, bloccando il traffico.

Gli agenti hanno avuto parecchi problemi, dovendo prima mettere in sicurezza il tratto autostradale; hanno poi cercato di instaurare un contatto con il 44enne, che ha reagito e li ha aggrediti, e così uno dei poliziotti ha dovuto ricorrere all’uso della pistola ad impulsi elettrici per immobilizzarlo e ammanettarlo. Il 44enne risponde di di lesioni, oltraggio a pubblico ufficiale e attentato alla sicurezza dei trasporti. 

Riccardo Muti: “Giovanni era armonia e bellezza, non possiamo soccombere alla ferocia criminale”

«Giovanni è un martire, il simbolo della bellezza che soccombe alla ferocia. La criminalità è aumentata in maniera raccapricciante, omicidi, femminicidi, stupri. Per me è assolutamente impensabile spegnere la vita di un ragazzo che si era dedicato al culto dell’armonia, della musica e della cultura. Aveva intrapreso la strada dell’amore e dell’amicizia in un ambiente che pullula di delinquenza. Lui cercava solo, disperatamente, un futuro. È stato ucciso due volte: per la sua anima meravigliosa dedita alla bellezza e perché avrebbe portato solo del bene alla società se avesse potuto realizzarsi, avrebbe dato tanto agli altri attraverso la musica… È doppiamente colpevole stroncare una vita così». Riccardo Muti si commuove parlando del giovane musicista assassinato da un criminale di 17 anni in piazza Municipio. È come se davanti agli occhi, in parallelo, gli scorresse la storia della sua vita. Aveva poco più di vent’anni Muti quando si trasferì a Milano per coltivare il suo eccezionale talento, che l’avrebbe portato a diventare uno dei più grandi direttori d’orchestra al mondo. Giovanni invece era rimasto a Napoli e ha pagato questa scelta.

È una battaglia persa, maestro Muti? La violenza a Napoli e in tutta Italia è così diffusa, soprattutto tra gli adolescenti, che nemmeno l’educazione, la formazione, l’arte riescono a fermarla?

«No, questo non può essere. È ora di finirla. Ogni forma di violenza è sempre odiosa, non voglio essere frainteso, ma non deve più succedere che armonia e bellezza soccombano alla criminalità. Le istituzioni devono fare di tutto per consentire a questi ragazzi, che soffrono la presenza della delinquenza, di esprimere liberamente il loro amore per la cultura, l’arte e la vita. Ogni volta che un giovane imbraccia uno strumento musicale, questo diventa un’arma poderosa contro i fucili e le pallottole. Alla fine la musica vince, ma nel frattempo quante vite innocenti miete la furia? Mi dispiace per i genitori di Giovanni, ho ascoltato le parole della mamma in televisione e vorrei abbracciarla. Bisogna bonificare questa nostra terra da un punto di vista culturale e morale. Non basta contrapporre le armi della sicurezza a quelle della delinquenza».

Cosa fare concretamente?

«Ho letto che Giovanni suonava nella Nuova Orchestra Scarlatti. Ho vissuto la Scarlatti a Napoli nella sua gloria, faceva parte dell’orchestra della Rai e fu vergognosamente sciolta nel 1992. Fu un atto incivile, di mostruosa gravità, contrario alla cultura del nostro Paese. Eliminare un’orchestra è come sopprimere un corpo vivo. Io l’ho ripetuto per tutta la vita, ho implorato che in Italia fosse aumentato il numero delle orchestre e delle bande musicali. La sola città di Seul ha diciotto orchestre sinfoniche. Negli Stati Uniti ben 900 sono iscritte alla Lega dell’Unione. E da noi? L’Orchestra sinfonica di Santa Cecilia e la Sinfonica siciliana, queste sono, ufficialmente. Ora accade che i Conservatori sfornano molti diplomati, ma poi non ci sono le orchestre in cui lavorare».

In sostanza formano potenziali disoccupati.

«Se una famiglia, specie se modesta, investe risparmi sulla formazione musicale dei figli, compra gli strumenti, investe soldi, insomma si accolla tanti sacrifici e poi alla fine i ragazzi si diplomano e non c’è un posto in cui lavorare, che senso ha? Molti statisticamente non troveranno un’occupazione. E in Italia? Tanti ragazzi che sperano di poter dare – perché chi studia musica lo fa per scelta – li costringiamo ad appendere lo strumento al muro. Uno che suona il flauto, il violoncello, che fine fa? Va a suonare in mezzo alla strada? Ecco quindi il mio ennesimo appello alle istituzioni: aumentiamo il numero delle orchestre e delle bande, diamo una prospettiva ai giovani musicisti come Giovanni. Un maggior numero di istituzioni culturali musicali possono migliorare in maniera definitiva la società».

Le sue parole, maestro Muti, confermano quello che ha detto Giovanni Russo, fondatore e direttore della Nuova Orchestra Scarlatti e maestro di Giovanni. Russo ha raccontato che il suo allievo era un talento della musica e il suo sogno era di lavorare in un’orchestra stabile. Studiava al Conservatorio ma, per mantenersi, la sera lavorava come cameriere in un pub.

«E ora purtroppo abbiamo una vittima, può darsi che questo terribile delitto faccia pensare. Una nazione in cui un ragazzo deve lavorare per poter realizzare la sua passione, è ingrata verso la musica. Eppure vivere in una orchestra significa abituarsi alle regole della serena convivenza sociale. La società è fatta di tante idee diverse che devono concorrere al bene collettivo. Suonare, vivere insieme, questo significa sinfonia “sun fonos”, dal greco antico. Non si può morire per questo, non possiamo abituarci a questo. Ora più che mai a Napoli la musica e la bellezza devono essere le più potenti armi contro la criminalità. Io sono stanco di andare in giro per il mondo e di sentire parlare male della mia città, come accadde un giorno ad Atene dove mi trovavo per il concerto dell’Amicizia. In un locale il cameriere chiese a mia moglie di dove fosse. Lei gli rispose: di Ravenna. E lui: ah, i mosaici. Poi rivolse la stessa domanda a me e quando gli dissi che ero di Napoli, lui rispose: ah, Gomorra. Quell’episodio mi ha molto offeso come napoletano consapevole della nostra grandezza. Nascono fiori anche a Scampia, lo so bene io che lì ho diretto un’orchestra giovanile. Per suonare si riunivano in una chiesa dove mancava anche l’aria. Nessuno racconta che in un luogo così difficile e dominato dalla malavita, ci sono ragazzi che attraverso la musica vogliono combattere la criminalità».

Renderà omaggio alla memoria di Giovanni? Lei dirige l’Orchestra Giovanile Cherubini, che fondò nel 2004. Chi meglio di lei può capire la passione dei ragazzi per la musica?

«Ai genitori, alla mamma, mando il mio abbraccio più forte. Avrei voluto ma comincio le prove a Piacenza e a Bergamo proprio con la Cherubini. Guarderò i musicisti negli occhi e penserò a quel povero ragazzo ucciso. Chiederò loro un minuto di silenzio domani (oggi, ndr) prima della prova».

Cosa pensa della nomina di Carlo Fuortes come nuovo soprintendente del San Carlo?

«Sono contento, può fare bene. Sono sicuro che saprà valorizzare una storia unica. Un teatro non è prestigioso perché lì passano il famoso tenore, soprano o baritono, ma quando ha una grande orchestra, coro, corpo di ballo, tecnici, sartoria, scenografia. Se si esibiscono Caruso o la Callas è certo una cosa in più, ma la grandezza vera sta in quelle caratteristiche, di cui parlavo prima».

Quindi tornerà ad esibirsi al San Carlo, maestro Muti.

«Io sono pieno di lavoro fino al 2028, gli ultimi concerti praticamente li farò dalla tomba… Sono certo che Fuortes farà molto bene, lui non è uno di passaggio. E quindi sì, se si creano le condizioni di lavoro, verrò di nuovo al San Carlo a dirigere. Spero che la Regione faccia di più per il San Carlo e per la Scarlatti. Se si considerano il teatro, le biblioteche musicali, il Conservatorio, si potrebbe davvero fare di Napoli la capitale della musica nel mondo».

Neonata morta in culla, genitori indagati per omicidio colposo

Sono stati iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo i genitori della neonata di un mese e mezzo trovata morta in culla in una abitazione di Santa Maria a Vico, nel Casertano, in vista dell’autopsia sul corpo della piccola che si svolgerà domani all’Istituto di Medicina legale dell’ospedale di Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta.

L’esame, disposto dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, dovrà chiarire le cause del decesso e anche eventuali responsabilità da parte dei genitori; alla coppia la Procura sammaritana, di concerto con quella dei minori, ha deciso di sottrarre momentaneamente la cura degli altri due figli piccoli, che sono stati affidati ad una comunità.

I genitori della bimba hanno riferito ai carabinieri e al pm Stefania Pontillo di averle fatto un bagnetto, che poco dopo ha manifestato segni di malessere e di aver per questo chiamato il pediatra, che aveva prescritto loro una cura. La neonata però poco dopo si è addormentata ed è stata trovata morta nella culla dalla madre. Sul suo corpo i sanitari del 118 hanno riscontrato la presenza di ustioni e segni che potrebbero corrispondere a ecchimosi. Ascoltati per diverse ore in caserma i genitori hanno raccontato ai Carabinieri – secondo quanto è trapelato – che la neonata si era scottata durante il bagnetto a causa di un getto di acqua bollente uscito per errore dal rubinetto. 

Pausa estiva troppo lunga a scuola, la proposta della preside Amanda Ferrario: “Riapriamo le colonie per accogliere bambini e ragazzi”

Le vacanze scolastiche sono troppo lunghe? Qualche giorno fa su Repubblica Napoli ha scritto una riflessione sul tema Lorenzo Marone, ed è stata la scintilla che ha acceso il dibattito. In cui entra anche la dirigente dell’istituto tecnico economico Enrico Tosi di Busto Arsizio, Amanda Ferrario: “Una soluzione? Non allungare il calendario scolastico ma riaprire le colonie estive”. La preside conosce bene i meccanismi della scuola anche grazie alla collaborazione prima con il ministro dell’Istruzione del governo giallo-verde Marco Bussetti e poi, durante i momenti difficili della pandemia, con il successore, la ministra Lucia Azzolina.

Quasi 100 giorni di vacanza non sono veramente tanti per le famiglie?

«Il problema c’è, esiste e ne siamo consapevoli come docenti e come dirigenti. In particolare per tutta quella fascia di famiglie con figli che vanno dai 6 ai 16 anni. Dico anche, però, che ridimensionare le vacanze estive è piuttosto difficile e che non è con l’allungamento del calendario scolastico che si risolve il problema».

Perché? Dopo tutto siamo il Paese con la pausa estiva più lunga in Europa.

«In Italia abbiamo zone geografiche dove si raggiungono temperature elevate già a giugno e nel contempo le strutture non sono adeguate perché manca l’aria condizionata, mancano gli spazi e mancano i docenti. Chi lascerebbe il proprio figlio fino a luglio in un forno?».

Questo è il problema. C’è una soluzione?

«Ho provocato parlando di un ritorno alle colonie marine, montane ed elioterapiche di città, ma dentro questa definizione ci può stare anche la struttura ricettiva in disuso, un edificio pubblico di un comune marittimo o di lago o di montagna che non si sa come riutilizzare. Questi luoghi potrebbero essere trasformati e accogliere bambini e ragazzi ai quali permettere di respirare aria buona e svolgere attività sociali, sportive, ludiche. La città in cui lavoro ha due colonie, una al mare ad Alassio e una in montagna all’Aprica. Esistono, poi, imprese sociali qualificate che possono organizzare e gestire questi campi estivi».

Chi dovrebbe occuparsene?

«Il governo e in particolare il ministro dell’Istruzione ma anche gli enti locali, le scuole stesse e io mi ci metto per prima, Confindustria e le aziende private, come si faceva una volta. Penso alla Fiat, alla Olivetti, alla Telecom che permettevano ai propri dipendenti di mandare i figli al mare a prezzi calmierati. Se ci si sedesse tutti attorno ad un tavolo e si iniziasse a lavorare ora per il prossimo anno sarei la prima a presentarmi. Ad esempio proporrei di permettere il finanziamento con il 5 per mille, molte famiglie sarebbero ben contente di devolverlo a questo scopo».

Quale esperienza porta in dote?

«Tra qualche giorno partiremo per Marina di Massa con circa 400 studenti tra prime e terze per una tre giorni di mare, giochi, incontri con personaggi che hanno avuto un impatto sociale. L’unica regola che tutti dovranno rispettare è quella di lasciare il cellulare a casa. Abbiamo già fatto questa esperienza coi ragazzi di quinta prima della maturità ed è stato illuminante, soprattutto per loro. Saremo ospiti dell’ex-colonia Fiat dove da ragazza ho fatto l’educatrice. Se si vuole si può fare».

Mimma Guardato, mamma di Fortunata la piccola abusata e lanciata da un palazzo di Caivano: “Quella città è un inferno. Ho scelto di scappare via”

Quando sua figlia, quell’angelo biondo di Chicca, all’anagrafe Fortuna Loffredo, venne abusata e lanciata dal tetto del palazzo, Mimma Guardato era una trentenne. Oggi è una donna che ha girato pagina per gli altri due figli, due maschi, a cui insegna che le donne, di qualsiasi età, vanno rispettate. Vive a Faenza, Mimma, con la madre, che allora le fu molto vicina: è stato don Patriciello, il parroco di Parco Verde ad aiutarla a scappare dagli orrori che avevano invaso la sua vita.

Due nuove vittime di violenza a Caivano, dove lei ha vissuto la sua tragedia. Che cosa pensa?

«Altre due ragazzine, proprio come mia figlia. Non posso non essere addolorata. Sto rivivendo quei giorni pieni di atrocità. Se là dentro, in quell’inferno, non si combatte, non si sa che cos’altro può avvenire. Non conosco quelle ragazzine, ma sono madre e ho perso mia figlia in una situazione molto simile. Almeno, loro due sono vive».

Sono passati dieci anni. Che cosa è cambiato, in lei e in quei luoghi?

«Lì non è cambiato niente. Dopo l’ultima udienza del processo per la mia bambina, ho preso i miei figli, ho fatto le valigie e me ne sono andata. E ora è tutto diverso: ero disoccupata, mentre qui lavoro in una grande impresa di pulizia. Stiamo bene. L’angoscia c’è sempre, ma dopo tanto dolore si deve ricominciare».

Non è più tornata a Caivano?

«Ci vado solo per andare al cimitero. Di quel palazzo degli orrori non voglio saperne più niente».

La storia di Antonio Giglio secondo lei è stato un incidente?

«Non si è trovato niente. Per forza. Cinque anni dopo la morte di quel bambino, su quel corpicino di appena 4 anni, pure lui caduto da una finestra, che ci si aspettava di trovare?».

Ora vive in Emilia Romagna, l’ha scelto lei?

«Avevo mia sorella qui e ho fatto trasferire tutta la famiglia».

Come si trovano i suoi due figli?

«Uno ha 18 anni e andrà all’università, l’altro 13, è in terza media. Per il momento vogliono solo studiare. E chissà se in quel posto orribile ci sarebbero mai riusciti. Hanno l’accento del nord, Ora sentono parlare in napoletano solo me».

Che cosa serve per salvare Parco Verde?

«Ci vuole lo Stato, che lì non c’è. Non si può lasciare uno come don Patriciello a combattere da solo».

I fratelli ricordano Chicca?

«Sempre. Non si aspettavano che potesse fare quella fine. Ma noi non ne parliamo quasi mai. Basta che ci guardiamo negli occhi. A loro devo nascondere la mia sofferenza».

Battipaglia, bimba di sette anni presa a cinghiate e sola in strada senza vestiti: “Mi hanno picchiato mamma e nonno”

Battipaglia. Una bimba cammina sola su una statale, le auto corrono verso le località di vacanza. Il sole picchia alle 15,30 di pomeriggio in piena estate. Lei ha solo le mutandine.

Il resto del corpo gracile, di chi ha appena sette anni, è coperto da lividi e graffi. Lungo la strada ad una rotatoria bisogna rallentare e un passante si ferma. Deve aiutare quella bimba che ne ha chiaramente bisogno.

“Mamma e nonno mi hanno picchiato” dice lei tra le lacrime. “Mi hanno presa a cinghiate” aggiunge. Un’aggressione violenta da cui è riuscita a difendersi nell’unico modo che le era permesso: fuggendo dalla casa dell’orrore. È facile crederle, visto che ne porta evidenti segni addosso. Immediatamente il suo soccorritore chiama i carabinieri della compagnia locale.

Comincia così a fine luglio, il 30 per l’esattezza come racconta “La Città”, un’indagine sulle violenze di una famiglia che hanno una bimba indifesa come innocente vittima. Aperta un’inchiesta dai magistrati della Procura di Salerno. Assunti i primi provvedimenti. Dopo meno di un mese la bambina non vive più con i genitori, indagati entrambi insieme al nonno.

È stata affidata dai servizi sociali ad una zia del padre. Che dovrà però rispondere insieme a mamma e nonno dei reati di maltrattamenti in famiglia e abbandono della bambina. Aggravati dall’avere usato la cintura come un’arma per picchiarla. Padre e madre hanno entrambi 32 anni, il nonno 62. E per acquisire tutte le prove e tutelare la bimba il giudice del Tribunale di Salerno ha già fissato un incidente probatorio. Un’inchiesta da chiudere in fretta, accertando le responsabilità di genitori e nonno, per restiuire alla bambina la serenità che le ha tolto chi avrebbe dovuto amarla e invece l’ha picchiata con brutalità.

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