
«Giovanni è un martire, il simbolo della bellezza che soccombe alla ferocia. La criminalità è aumentata in maniera raccapricciante, omicidi, femminicidi, stupri. Per me è assolutamente impensabile spegnere la vita di un ragazzo che si era dedicato al culto dell’armonia, della musica e della cultura. Aveva intrapreso la strada dell’amore e dell’amicizia in un ambiente che pullula di delinquenza. Lui cercava solo, disperatamente, un futuro. È stato ucciso due volte: per la sua anima meravigliosa dedita alla bellezza e perché avrebbe portato solo del bene alla società se avesse potuto realizzarsi, avrebbe dato tanto agli altri attraverso la musica… È doppiamente colpevole stroncare una vita così». Riccardo Muti si commuove parlando del giovane musicista assassinato da un criminale di 17 anni in piazza Municipio. È come se davanti agli occhi, in parallelo, gli scorresse la storia della sua vita. Aveva poco più di vent’anni Muti quando si trasferì a Milano per coltivare il suo eccezionale talento, che l’avrebbe portato a diventare uno dei più grandi direttori d’orchestra al mondo. Giovanni invece era rimasto a Napoli e ha pagato questa scelta.
È una battaglia persa, maestro Muti? La violenza a Napoli e in tutta Italia è così diffusa, soprattutto tra gli adolescenti, che nemmeno l’educazione, la formazione, l’arte riescono a fermarla?
«No, questo non può essere. È ora di finirla. Ogni forma di violenza è sempre odiosa, non voglio essere frainteso, ma non deve più succedere che armonia e bellezza soccombano alla criminalità. Le istituzioni devono fare di tutto per consentire a questi ragazzi, che soffrono la presenza della delinquenza, di esprimere liberamente il loro amore per la cultura, l’arte e la vita. Ogni volta che un giovane imbraccia uno strumento musicale, questo diventa un’arma poderosa contro i fucili e le pallottole. Alla fine la musica vince, ma nel frattempo quante vite innocenti miete la furia? Mi dispiace per i genitori di Giovanni, ho ascoltato le parole della mamma in televisione e vorrei abbracciarla. Bisogna bonificare questa nostra terra da un punto di vista culturale e morale. Non basta contrapporre le armi della sicurezza a quelle della delinquenza».
Cosa fare concretamente?
«Ho letto che Giovanni suonava nella Nuova Orchestra Scarlatti. Ho vissuto la Scarlatti a Napoli nella sua gloria, faceva parte dell’orchestra della Rai e fu vergognosamente sciolta nel 1992. Fu un atto incivile, di mostruosa gravità, contrario alla cultura del nostro Paese. Eliminare un’orchestra è come sopprimere un corpo vivo. Io l’ho ripetuto per tutta la vita, ho implorato che in Italia fosse aumentato il numero delle orchestre e delle bande musicali. La sola città di Seul ha diciotto orchestre sinfoniche. Negli Stati Uniti ben 900 sono iscritte alla Lega dell’Unione. E da noi? L’Orchestra sinfonica di Santa Cecilia e la Sinfonica siciliana, queste sono, ufficialmente. Ora accade che i Conservatori sfornano molti diplomati, ma poi non ci sono le orchestre in cui lavorare».
In sostanza formano potenziali disoccupati.
«Se una famiglia, specie se modesta, investe risparmi sulla formazione musicale dei figli, compra gli strumenti, investe soldi, insomma si accolla tanti sacrifici e poi alla fine i ragazzi si diplomano e non c’è un posto in cui lavorare, che senso ha? Molti statisticamente non troveranno un’occupazione. E in Italia? Tanti ragazzi che sperano di poter dare – perché chi studia musica lo fa per scelta – li costringiamo ad appendere lo strumento al muro. Uno che suona il flauto, il violoncello, che fine fa? Va a suonare in mezzo alla strada? Ecco quindi il mio ennesimo appello alle istituzioni: aumentiamo il numero delle orchestre e delle bande, diamo una prospettiva ai giovani musicisti come Giovanni. Un maggior numero di istituzioni culturali musicali possono migliorare in maniera definitiva la società».
Le sue parole, maestro Muti, confermano quello che ha detto Giovanni Russo, fondatore e direttore della Nuova Orchestra Scarlatti e maestro di Giovanni. Russo ha raccontato che il suo allievo era un talento della musica e il suo sogno era di lavorare in un’orchestra stabile. Studiava al Conservatorio ma, per mantenersi, la sera lavorava come cameriere in un pub.
«E ora purtroppo abbiamo una vittima, può darsi che questo terribile delitto faccia pensare. Una nazione in cui un ragazzo deve lavorare per poter realizzare la sua passione, è ingrata verso la musica. Eppure vivere in una orchestra significa abituarsi alle regole della serena convivenza sociale. La società è fatta di tante idee diverse che devono concorrere al bene collettivo. Suonare, vivere insieme, questo significa sinfonia “sun fonos”, dal greco antico. Non si può morire per questo, non possiamo abituarci a questo. Ora più che mai a Napoli la musica e la bellezza devono essere le più potenti armi contro la criminalità. Io sono stanco di andare in giro per il mondo e di sentire parlare male della mia città, come accadde un giorno ad Atene dove mi trovavo per il concerto dell’Amicizia. In un locale il cameriere chiese a mia moglie di dove fosse. Lei gli rispose: di Ravenna. E lui: ah, i mosaici. Poi rivolse la stessa domanda a me e quando gli dissi che ero di Napoli, lui rispose: ah, Gomorra. Quell’episodio mi ha molto offeso come napoletano consapevole della nostra grandezza. Nascono fiori anche a Scampia, lo so bene io che lì ho diretto un’orchestra giovanile. Per suonare si riunivano in una chiesa dove mancava anche l’aria. Nessuno racconta che in un luogo così difficile e dominato dalla malavita, ci sono ragazzi che attraverso la musica vogliono combattere la criminalità».
Renderà omaggio alla memoria di Giovanni? Lei dirige l’Orchestra Giovanile Cherubini, che fondò nel 2004. Chi meglio di lei può capire la passione dei ragazzi per la musica?
«Ai genitori, alla mamma, mando il mio abbraccio più forte. Avrei voluto ma comincio le prove a Piacenza e a Bergamo proprio con la Cherubini. Guarderò i musicisti negli occhi e penserò a quel povero ragazzo ucciso. Chiederò loro un minuto di silenzio domani (oggi, ndr) prima della prova».
Cosa pensa della nomina di Carlo Fuortes come nuovo soprintendente del San Carlo?
«Sono contento, può fare bene. Sono sicuro che saprà valorizzare una storia unica. Un teatro non è prestigioso perché lì passano il famoso tenore, soprano o baritono, ma quando ha una grande orchestra, coro, corpo di ballo, tecnici, sartoria, scenografia. Se si esibiscono Caruso o la Callas è certo una cosa in più, ma la grandezza vera sta in quelle caratteristiche, di cui parlavo prima».
Quindi tornerà ad esibirsi al San Carlo, maestro Muti.
«Io sono pieno di lavoro fino al 2028, gli ultimi concerti praticamente li farò dalla tomba… Sono certo che Fuortes farà molto bene, lui non è uno di passaggio. E quindi sì, se si creano le condizioni di lavoro, verrò di nuovo al San Carlo a dirigere. Spero che la Regione faccia di più per il San Carlo e per la Scarlatti. Se si considerano il teatro, le biblioteche musicali, il Conservatorio, si potrebbe davvero fare di Napoli la capitale della musica nel mondo».