Chiara Ferragni mostra la nuova casa di Citylife: il bagno rosa di Vitto, la scala, le stampe. Ecco come sarà

Milano – Un bagno solo per Vittoria, uno solo per Leone. Una scala a chiocciola che non passa inosservata a unire i due piani e poi geometrie, righe e stampe. La nuova casa di Chiara Ferragni e Fedez è “almost ready”, come dice lei in un post su Instagram (e dove, se no?) in cui mostra, attraverso una serie di scatti, i progressi del cantiere ormai agli sgoccioli dell’attico su due piani affacciato sul verde di Citylife, il quartiere di Milano dove i Ferragnez già vivono in affitto e che non vogliono lasciare. La bionda imprenditrice digitale ha fatto una visita alla nuova dimora, che avrebbe dovuto essere pronta questa primavera, insieme all’amico di sempre Filippo Fiora, che è architetto e che fin dall’inizio lavora al progetto di questa casa con il suo studio di architettura “13.1 design”.

Dove sorge la nuova casa

Chiara e Federico hanno scelto la parte sud di Citylife, vicino a piazza Giulio Cesare, nel nuovo complesso di lusso chiamato Residenze Libeskind II con giardini, palestra e piscina condominiale.

Come sarà la nuova dimora Ferragnez

Dalle foto condivise in questi mesi dall’influencer cremonese è possibile farsi un’idea di come sarà la nuova casa che, come detto, è di nuovissima realizzazione. Come già la casa attuale, quella nuova sarà moderna e mescolerà stili e colori, dando l’aria di essere ben lontana dal gusto classico delle case d’epoca milanesi. 

I bagni saranno diversi, almeno tre: uno grande sui toni del beige con una vasca freestanding vicino alle finestre; uno rosa per la piccola Vittoria e uno, grande, sui toni del grigio per il primogenito Leone.

L’appartamento si sviluppa su due piani, collegati da un’imponente scala a chiocciola piuttosto vistosa. 

La camera da letto sarà collegata a una sorta di cabina armadio ma chiusa (al contrario di quella attuale, che ha tutti gli abiti in bella vista) con il pavimento in parquet che fa un gioco chiaroscuro che sembra un sole con i raggi. Qualcosa di simile anche sul soffitto di una camera, che si può ipotizzare essere di uno dei piccoli Ferragnez.

Chi è l’architetto

Il progetto di questa casa, come detto, è stato seguito dallo studio 13.1 dell’amico Filippo Fiora insieme a Federico Sigali. Gli stessi che hanno curato la splendida casa di Veronica Ferraro, influencer e amica del cuore di Ferragnez, casa immortalata anche sulle pagine di Architectural Digest. 

L’ex vigilessa di Temù Laura Ziliani uccisa dalle figlie e dal fidanzato-amante delle due: “Il trio criminale capace di intendere e volere”

Silvia Zani ha e aveva una piena capacità di intendere e volere nel momento in cui ha ucciso la madre. Per tutti e tre non abbiamo a che fare con patologie di tipo psicotico”. Lo ha detto davanti alla Corte d’Assise di Brescia lo psichiatra Giacomo Filippini, perito che ha analizzato Paola e Silvia Zani e Mirto Milani accusati dell’omicidio di Laura Ziliani, ex vigilessa di Temù, nel Bresciano, madre delle due ragazze.

La donna venne stordita e poi soffocata l’8 maggio 2021 e poi sepolta vicino al fiume Oglio nel paese dell’Alta Vallecamonica. A commettere l’omicidio le due figlie con il fidanzato di una di loro, Mirto Milani, che da quanto poi si era scoperto era anche amante dell’altra sorella.

I tre hanno sostenuto di aver ucciso la vittima perché convinti che lei volesse ucciderli. Per lo psichiatra Giacomo Filippini: “Sussiste la concreta possibilità che si sia trattato di una sorta di linea difensiva preordinata concordata dai tre e sostanzialmente mantenuta ferma fino ad oggi. Escludo serenamente di escludere che si potesse trattare di convinzioni deliranti”.

In una delle ultime udienze, ad aprile, Silvia Zani aveva tentato di scaricare la responsabilità sul fidanzato: “Pur volendo tanto bene a Mirto, posso dire che l’idea iniziale dell’omicidio è stata sua”. Con spontanee dichiarazioni aveva poi aggiunto: “Mi sento estremamente in colpa per quello che ho fatto. Una parte di me vuole prendersi più colpe di quelle che ho. Quando ho ucciso mia mamma ero convinto che volesse ucciderci. Ora non sono più convinta che volesse ucciderci. Ho paura che mi abbia manipolato Mirto”.

Costringe la compagna a prostituirsi: poliziotto condannato a 1 anno e dieci mesi. Dovrà risarcirla con 25mila euro

Il primo incontro via chat, l’inizio della relazione, lui che dice di amarla e che andranno a vivere insieme quando avrà finito di pagare i suoi debiti. La spinge a prostituirsi, le dice: «Se mi ami, aiutami». Lei accetta, e pressata da quell’uomo sfida il freddo su un marciapiede in zona Lorenteggio. Fino a quando scopre che in realtà è sposato con un’altra. La sta ingannando per soldi, per ottenere – hanno ricostruito i magistrati – fra i 20 e i 30 mila euro. Il 12 settembre, la giudice Alessandra Clemente ha condannato un poliziotto (non più in servizio a Milano) a un anno e dieci mesi per sfruttamento della prostituzione e al risarcimento di 25 mila euro alla vittima, difesa dall’avvocata Debora Piazza.

Il 17 agosto 2018 la donna, oggi quarantenne, denuncia il poliziotto. Si erano conosciuti nell’aprile dell’anno prima. Lei, albanese, gli racconta che nei primi tempi in Italia era stata costretta a prostituirsi. Lui ammette che ha 30 mila euro di debiti. Dopo una sola settimana «ha detto di amarmi, che ero tutta la sua vita», racconta lei. Quindi «inizia a dirmi di ricominciare con la prostituzione per togliere i suoi debiti e andare a vivere insieme», spiega al pm Andrea Fraioli e agli investigatori della stessa polizia, che hanno condotto l’inchiesta. Lei finisce in strada da giugno a dicembre del 2017, «mi fermavo solo la domenica».

«Domani ho da pagare 240 euro, dai vita mia, vedi di darti da fare oggi», le scrive. «Se mi ami, saresti in grado di fare qualcosa per me così tolgo i debiti?». «Tutto quello che guadagnavo lo portavo a lui», precisa la 40enne. A dicembre, dei progetti di convivenza nemmeno l’ombra. «Gli dico che non sarei più tornata in strada perché non sopportavo il freddo», ricorda la vittima. Lui risponde: «Ma come, ci sono ancora debiti». La donna, che ha una figlia, torna pure in Albania per vendere una casa. Il viaggio dura più del previsto e l’agente si arrabbia: «Come mai sei ancora lì? Sai che ho le rate da pagare, non è che sei lì a divertirti?». Se la donna dice che «in strada non voglio più andare», lui ribatte: «Vedi, non mi ami. Se tu mi ami, non mi abbandoni così».

All’inizio del 2018 la vittima scopre la foto di lui con un’altra donna: dopo i litigi, l’uomo le fa firmare una scrittura privata da un avvocato attraverso la quale «le parti» rinunciano a chiedere indietro le reciproche donazioni avvenute durante il rapporto. Alla fine la 40enne scopre che l’agente è sposato: «Non capivo più niente, stavo male, volevo morire», racconta la donna durante il processo. Fino alla condanna e al risarcimento di 25 mila euro «per i danni patiti». «Leggeremo le motivazioni e faremo sicuramente appello, per noi la parte offesa non è credibile né sono attendibili i suoi racconti», dice Giuseppe Ciullo, difensore, con Ciro Perelli, del poliziotto.

Medico trovato sgozzato a Milano, chieste nuove indagini: “Non fu suicidio, Stefano Ansaldi è stato ucciso”

I motivi del viaggio da Napoli a Milano del ginecologo campano Stefano Ansaldi restano avvolti nel mistero. E sulla morte del professionista si apre una battaglia giudiziaria, sulla base di consulenze degli esiti diametralmente opposti. Per la Procura Ansaldi si è tolto la vita, mentre per i legali dei familiari è vittima di un assassino rimasto ancora senza nome, perché “l’ipotesi di una aggressione alle spalle operata da un destrimane appare la ricostruzione logica e prevalente sulle altre”.

Il caso approderà domani davanti al gip di Milano Ileana Ramundo, che dovrà valutare la richiesta di opposizione all’archiviazione dell’indagine presentata dagli avvocati Luigi Sena e Francesco Cangiano, che rappresentano i parenti del medico originario di Benevento e con studio a Napoli, specializzato in fecondazione assistita.

Nell’istanza chiedono di disporre nuove indagini ed eventualmente una “nuova consulenza collegiale”, oltre ad “approfondire il tema dei bonifici all’estero e delle Sos ripetutamente trasmesse da alcune banche, per comprendere se questo fiume di denaro di incerta provenienza possa aver rappresentato un movente“. Seguire la pista dei soldi e dei contatti pericolosi, che finì anche al centro di accertamenti condotti dalla Procura di Napoli paralleli all’inchiesta milanese.

La prima pista

Stefano Ansaldi, 65 anni, salì su un treno Napoli-Milano il 19 dicembre 2021, in piena seconda ondata Covid. Lo stesso giorno fu trovato sgozzato in via Macchi, vicino alla stazione Centrale. La prima pista al vaglio fu quella di una rapina finita nel sangue, poi finirono sotto i riflettori operazioni finanziarie sull’asse Milano-Dubai e l’ipotesi di un misterioso appuntamento milanese. Infine la Procura ha concluso, sulla base delle indagini dei carabinieri e della consulenza di un pool di esperti incaricati dell’autopsia, per l’ipotesi del “gesto autolesivo”: Ansaldi si sarebbe tagliato la gola con un coltello da cucina dalla lama di 20 centimetri, trovato sul posto.

Una coppia, che ha visto cadere a terra il medico sotto un’impalcatura e ha chiamato i soccorsi, ha riferito di non aver visto aggressori in fuga. Le stesse telecamere non hanno inquadrato persone sospette. Questi e altri elementi (l’uomo indossava guanti in lattice e sul coltello non c’erano impronte) hanno portato il pm Cecilia Vassena a chiedere al gip l’archiviazione. Ma il caso non è chiuso.

La consulenza medico legale

La consulenza del medico legale nominato dalla famiglia, il professor Fernando Panarese, ha analizzato la ferita arrivando alla “ricostruzione più logica” di un’aggressione alle spalle. Per tagliarsi la gola da solo, Ansaldi avrebbe dovuto effettuare “movimenti al limite del possibile” con la “postura meno agevole” e la “modalità meno efficace”. Utilizzando, tra l’altro, un coltello dalla provenienza misteriosa quando avrebbe potuto usare un bisturi.

Ma non sono gli unici elementi strani. Il telefono e il portafogli della vittima non sono mai stati trovati. Vicino al corpo, invece, c’era il Rolex di Ansaldi. “Per quale ragione – si chiedono i legali della famiglia – si sarebbe sfilato l’orologio di valore dal polso? Questo gesto non suggerisce forse la preoccupazione per una rapina?”. Poi ci sono le testimonianze dei parenti più stretti. Il fratello del medico, ascoltato l’8 gennaio 2021, ha escluso l’ipotesi di un suicidio dovuto a difficoltà finanziarie: “Quando ha avuto problemi non ha mai alluso a tale circostanza”.

Militanti in fuga dalla Lega, sul pratone di Pontida il test Lombardia

A Pontida la Lega di Matteo Salvini sul palco insieme a Marine Le Pen confermerà la linea “sovranista” e “nazionalista” a poco meno di un anno dalle elezioni Europee. Ma il partito, in realtà, già guarda al congresso della Lega Lombarda previsto per l’autunno.

Per il segretario federale potrebbe rivelarsi più insidioso del congresso nazionale della Lega, che con ogni probabilità si terrà nel 2024. Probabilmente prima delle elezioni in altre Regioni come il Piemonte previste il prossimo anno. Ecco perché in Lombardia Salvini punterebbe alla conferma del fedelissimo Fabrizio Cecchetti come coordinatore regionale e quindi segretario nazionale della Lega Lombarda. «Quando la Lega e Salvini chiamano, la base lombarda legista risponde sempre presente, mobilitandosi come solo la nostra base sa fare, con passione e organizzazione», commenta soddisfatto Cecchetti a poche ore dal tradizionale raduno sul “pratone” di Pontida.

Lo slogan scelto quest’anno è “A difesa delle libertà”. Accompagnata dalla frase: “Chi lotta vince, in Italia e in Europa”. Previsto un palco di 50 metri e due maxischermi. Spazio anche per i gazebo: saranno 50 e ospiteranno gadget, associazioni, prodotti tipici territoriali.

La scaletta prevede anche interventi in ricordo degli scomparsi Silvio Berlusconi e Roberto Maroni. Confermato anche il tradizionale pensiero ai militanti che hanno dedicato anni alla Lega e che non ci sono più. Quando Salvini li omaggerà con il minuto di silenzio all’albero della Vita.

A guastare la festa nella corsa per la guida della Lega Lombarda, però, potrebbe arrivare la candidatura dell’ex parlamentare leghista Paolo Grimoldi, tra i fondatori del Comitato Nord, che lo scorso anno provarono a contestare la linea di Salvini, ma che poi furono fermati da Umberto Bossi. «So che siete delusi, che non si parla più di padroni a casa nostra e che manca completamente un progetto politico — ha dichiarato recentemente Grimoldi sul calo degli iscritti nella Lega — . Ma rinnoverete comunque la tessera. Non è abbandonando la nave che potremo cambiare le cose. Restiamo insieme e prepariamoci ai congressi». Poi ha aggiunto: «Nel 2022 la Lega ha perso circa la metà dei militanti e per quest’anno le previsioni non sono migliori».

In lizza per la carica di segretario nazionale della Lega Lombarda potrebbe correre l’attuale capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo. C’è chi non esclude nemmeno l’arrivo di un outsider come il sottosegretario al Viminale Nicola Molteni, che è di Cantù. Salvini pur di evitare conflitti interni punterebbe ad una candidatura unitaria. Per evitare le sconfitte patite nei congressi provinciali di Bergamo o Brescia, dove ha vinto Roberta Sisti vicina al Comitato Nord. Come Simone Bossi che ha vinto a Cremona. Lodi dove ha prevalso Jacopo Vignati. I salviniani hanno salvato Varese, dove Andrea Cassani ha vinto ma solo per dodici voti. E Como dove è stata riconfermata Laura Santin, moglie del coordinatore regionale Cecchetti.

La data del congresso della Lega Lombarda non è stata ancora fissata. Ufficialmente in attesa che si svolga il congresso di Monza, ma, in realtà, anche perché Salvini non vorrebbe correre rischi.

L’amore per la famiglia, le serate da cameriere, gli errori del passato: chi era Yuri Urizio, il 23enne morto dopo l’aggressione in Darsena

Originario di Como, ma abituato a spostarsi dove lo portava la sua professione di cameriere, il 23enne Yuri Urizio – che era stato aggredito in viale Gorizia a Milano nella notte tra martedì 12 e mercoledì 13 settembre ed è morto dopo due giorni di agonia – era convinto che “la sensibilità è una condanna, ma ti consente di cogliere milioni di colori in un viaggio in bianco e nero”.

Scriveva così su Instagram, dove condivideva foto delle sue serate al lavoro nei locali milanesi, ma anche sulla Costa Azzurra e in riva al lago di Como: risale all’anno scorso uno scatto che lo ritrae insieme a una sorridente Chiara Ferragni al Grand Hotel Tremezzo al termine di una cena.

La vittima, in passato era stato anche un cuoco e negli archivi di polizia risultava avere qualche precedente di polizia per reati contro il patrimonio. Da qualche tempo viveva con la madre Giovanna nella zona dell’aggressione.

Dalle numerose immagini postate sui social emerge l’amore per il suo lavoro e per la sua famiglia, a cominciare da quello per la madre, che l’anno scorso gli aveva dedicato questo pensiero affettuoso: “Sei il mio tutto, Yuri, e dirti che sono fiera di avere un figlio come te non è mai abbastanza. Ti amo più della mia vita”.

Il padre era invece scomparso nel 2012. Nell’aprile dell’anno scorso, a dieci anni dalla morte, Yuri gli aveva scritto su Facebook: “Mi manchi. Grazie per proteggermi sempre dall’alto, papà. Da quaggiù mi hai visto nascere e da lassù mi guardi crescere”.

Non mancano anche post più riflessivi, come quello in cui diceva che “la vita mi ha insegnato che nei momenti peggiori devi cavartela da solo” e un altro in cui si scagliava contro “chi non mi ha dato la possibilità di dimostrare, chi non credeva in me, chi mi ha deluso, chi mi sparla dietro e sorride davanti, quelli a cui ho dato il mio cuore e non è bastato”.

Sul web si stanno rincorrendo ora i ricordi e i pensieri degli amici: “Chi ti conobbe ti amò, chi ti amò ti piange. Riposa in pace, fratello”.

Urizio è morto dopo un aggressione da parte di un uomo di 28 anni. L’arrestato, nelle sue dichiarazioni difensive, ha affermato di averlo aggredito perché aveva visto il 23enne mentre strappava i soldi dalle mani di una donna che stava chiedendo l’elemosina in via Gorizia. 

Violenza sessuale durante le lezioni di scuola guida. La vittima: ero paralizzata dal terrore

Cernusco sul Naviglio (Milano) 15 settembre 2023 – La violenza durante le lezioni di scuola guida: un istruttore è stato arrestato con l’accusa di violenza sessuale per aver molestato pesantemente una 19enne durante le lezioni in auto.

L’uomo, 34 anni, tra l’altro, come emerge da una serie di dichiarazioni agli atti, avrebbe fatto la stessa cosa con almeno altre 10 ragazze, tutte appena maggiorenni e che volevano conseguire la patente.

L’ordinanza di custodia

E’ quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari, firmata dal gip di Milano Luca Milani su richiesta del pm Alessia Menegazzo, nell’inchiesta dei carabinieri di Cernusco sul Naviglio.

L’arresto

Arresto che è stato eseguito nei giorni scorsi, col giudice che ha anche applicato, come richiesto dal pm, l’interdizione all’esercizio della professione per un anno.

La vittima 

“Io sono rimasta paralizzata – ha raccontato a verbale la 19enne – non ho parlato ed avevo paura di dover continuare la lezione”. Le “dichiarazioni” delle altre “allieve”, che non sono confluite in denunce, “nonostante non risultino allo stato oggetto di responsabilità penale” indicano il pericolo, scrive il giudice, di reiterazione del reato.

L’istruttore, tra l’altro, le portava in luoghi isolati, anche di notte, per le guide e così, si legge ancora negli atti, la loro “capacità di reazione era ostacolata”. 

“Sono stata drogata e violentata”: ragazza soccorsa a Paderno Dugnano in stato confusionale

Milano – Ennesimo caso di aggressione ai danni di una donna nel Milanese. L’ultimo gravissimo episodio arriva da Paderno Dugnano, dove ieri sera – 14 settembre – una ragazza è stata soccorsa in stato semi confusionale. Ai soccorritori ha detto di essere stata drogata e abusata sessualmente. La giovane, ancora in stato di alterazione e spaventata, è stata trasportata in codice giallo alla clinica Mangiagalli di Milano, specializzata in interventi su reati di natura sessuale. Sul posto, per strada, poco prima delle 21, in via Gaspare Rotondi, secondo il 118 sono intervenuti per le indagini i carabinieri della Compagnia di Sesto San Giovanni (Milano).

Covid, per l’Istituto Mario Negri “le forme più gravi e la strage nella bergamasca dovute al gene Neanderthal”

E’ molto probabile che le persone che hanno avuto le conseguenze più pesanti dopo aver contratto il Covid fossero geneticamente predisposte. Quel 10 per cento di “casi gravi” che si sono verificati durante la pandemia e in particolare nella primavera del 2020 nella zona dell’alta Val Seriana, sarebbero stati favoriti dalla presenza in determinati individui di alcuni geni – associati a questo rischio di complicazioni dopo l’infezione – che sono arrivati alla popolazione moderna della bergamasca addirittura dagli uomini di  Neanderthal. Si tratta in particolare del genoma di Vindia, risalente a 50.000 anni fa ed individuato in Croazia. La ricerca dimostra come chi è stato esposto al virus ed è portatore della variazione genetica del gene di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva

La notizia esce dalla presentazione dell’ultima ricerca scientifica sul Covid, fatto a Milano nella sede della Regione, Palazzo Lombardia, alla presenza del governatore Attilio Fontana. Lo studio ha impegnato una grande equipe di ricercatori dell’Istituto Mario Negri impegnata in 2 anni di analisi per ricostruire la relazione fra i fattori genetici delle persone che si sono ammalate anche all’interno della stessa famiglia e la gravità della malattia Sars- Cov-19 nella provincia di Bergamo, che come si ricorderà è stato il primo epicentro della pandemia, il luogo dove addirittura forse essa si è sviluppata in modo più cruento rispetto a tutto il resto dell’Europa.

L’indagine, intitolata Origin è pubblicata sulla rivista “iScience” e ha dimostrato che una determinata area del genoma umano si legava al rischio di contrarre il virus in forma grave, soprattutto analizzando l’incidenza sui nei residenti delle aree più colpite dal virus.

Lo studio ha potuto contare sulla partecipazione di circa diecimila (9.733) Cittadini, soprattutto fra coloro che vivevano nelle zone di Nembro, Albino e Alzano lombardo, i tre Comuni dove ci fu una vera e propria strage, nei giorni in cui le autorità tentennarono ad adottare le misure della zona rossa. Per arrivare all’importante risultato sono stati mobilitati tantissimi cittadini, ex pazienti e loro famigliari, attraverso i sindaci dei Comuni, ma anche attraverso i medici di base, i farmacisti e persino i bibliotecari e membri di diverse associazioni. Tutti interessati a capire di più perché proprio in quelle terre operose la pandemia sia stata così violenta e crudele. 

“Quando abbiamo visto che in tutta quest’area c’era una frequenza di malattie gravi e di morti che erano 850 volte superiori a quello che uno si poteva aspettare – ha spiegato in Regione il direttore dell’istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi – ci siamo chiesti perché qualcuno si ammalava in modo grave e qualcun altro in modo lieve”. La scoperta definita “sensazionale” fatta dal team di Remuzzi è che ben “tre dei sei geni associati a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal: si tratta in particolare del genoma di Vindia, che risale a 50.000 Anni fa ed è stato trovato in Croazia. Una volta forse proteggeva i Neanderthal dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge ma ci espone a una malattia più severa”. Infatti, come afferma il direttore dell’istituto, “le vittime del cromosoma di Neanderthal nel mondo sono forse 1 milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica”.

Due di questi tre geni sono capaci di di richiamare i globuli bianchi e causare infiammazione durante le infezioni, e mentre il terzo gene regola lo sviluppo e la funzione delle cellule epiteliali nelle vie respiratorie, condizionando le diverse manifestazioni della malattia. 

Su questo tema in tutto il mondo ci sono stati vari studi che hanno portato ad analoghe considerazioni, ma il Mario Negri è riuscito ad individuare esattamente quali sono stati i geni che hanno aperto la via alle infezioni gravi che hanno portato alla morte di tante persone nella prima e nella seconda ondata. La Lombardia è stata la regione italiana che ha pagato il numero più alto di vittime al virus, oltre 46 mila dall’inizio del 2020.

I campioni di Dna sono stati analizzati mediante una tecnologia in grado di leggere centinaia di migliaia di variazioni (polimorfismi) su tutto il genoma, così sono state analizzate per ogni partecipante circa 9 milioni di varianti genetiche, rilevando la regione del Dna responsabile delle diverse manifestazioni della malattia.

In questa regione, alcune persone (circa il 7% della popolazione italiana) hanno una serie di variazioni dei nucleotidi (le singole componenti che costituiscono la catena del Dna) che vengono ereditati insieme e formano un “aplotipo”, ovvero l’insieme di queste variazioni.

“I risultati dello studio – spiega Marina Noris, Responsabile del Centro di genomica umana dell’Istituto Mario Negri – dimostrano che chi è stato esposto al virus ed è portatore dell’aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo”.

Il presidente Fontana, che ha partecipato al convegno assieme all’assessore alla Sanità Guido Bertolaso, ha commentato: “Il risultato apre uno scenario che senza dubbio potrà aiutare ad affinare le cure e magari impedire che il virus possa mietere altre vittime nei soggetti a rischio. Tutto ciò però non sarebbe stato possibile se non ci fosse stata la collaborazione delle comunità coinvolte nella ricerca, dei sindaci, delle associazioni di volontariato, farmacie, istituti scolastici, Diocesi, personale sanitario di Ats, Papa Giovanni XXIII, Asst Bergamo Est, medici di base, che si sono messi a disposizione. A loro il mio ringraziamento più grande a nome dell’intera Regione Lombardia”.

Milano, coppia picchiata e rapinata da baby gang: lui immobilizzato, lei trascinata sull’asfalto e presa a pugni

Milano, 14 settembre 2023 – Li hanno notati stanotte sull’autobus e sono scesi alla loro fermata. In un attimo li hanno accerchiati e rapinati, ma dopo alcuni minuti sono stati arrestati dai carabinieri del Radiomobile. In manette sette giovani egiziani, di cui quattro maggiorenni (due diciottenni, un diciannovenne e un ventenne) e tre minorenni (due sedicenni e un diciassettenne), questi ultimi ospitati in comunità per minori non accompagnati o in centri d’accoglienza. Nel mirino una coppia di fidanzati, malmenati dalla baby gang: la ragazza, in particolare, è stata scaraventata a terra, trascinata sull’asfalto e colpita con diversi pugni all’addome.

Il colpo

I due fidanzati sono saliti a Cairoli sulla sostitutiva della M1 attorno all’1.30 e hanno subito notato quel gruppo di giovani nordafricani, seduti nelle ultime file del mezzo pubblico. La coppia è scesa alla fermata Gambara poco prima delle 2, e subito dopo sono scesi anche i sette egiziani. Poi il blitz violento: uno del gruppo ha aggredito alle spalle il ragazzo e gli ha strappato la felpa del Milan che teneva sulle spalle. Il derubato ha cercato di reagire, ma è stato immobilizzato e depredato di auricolari, portafogli e cellulari. Poi i rapinatori si sono avventati sulla ragazza, strappandole la borsetta e picchiandola anche quando si trovava già a terra per vincere la sua resistenza.

L’allarme ai carabinieri

Dopo la fuga della banda, le vittime sono riuscite a dare l’allarme e a fornire una dettagliata descrizione ai carabinieri del Radiomobile: in particolare, i fidanzati hanno riferito che uno degli aggressori aveva i capelli ricci biondi e uno aveva una felpa nera e giallo fluo. Inoltre, hanno dato indicazioni pure sulla via di fuga, via Anguissola in direzione Bande Nere. Un altro equipaggio del pronto intervento li ha intercettati e fermati in via Olivieri. I militari hanno portato gli aggressori in caserma e, d’intesa con il pm di turno della Procura Mauro Clerici e con il pm di turno della Procura dei minorenni Chiara De Iorio, hanno accompagnato i quattro maggiorenni a San Vittore e i tre minorenni (due sedicenni e un diciassettenne) al Beccaria: devono rispondere di rapina aggravata in concorso. I sette hanno ammesso le loro responsabilità e hanno fatto ritrovare la refurtiva, di cui si erano disfatti dopo il colpo. I due fidanzati, che avevano entrambi evidenti segni di percosse, sono stati visitati sul posto dai sanitari di Areu, ma hanno rifiutato il trasporto in ospedale.

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