
E’ molto probabile che le persone che hanno avuto le conseguenze più pesanti dopo aver contratto il Covid fossero geneticamente predisposte. Quel 10 per cento di “casi gravi” che si sono verificati durante la pandemia e in particolare nella primavera del 2020 nella zona dell’alta Val Seriana, sarebbero stati favoriti dalla presenza in determinati individui di alcuni geni – associati a questo rischio di complicazioni dopo l’infezione – che sono arrivati alla popolazione moderna della bergamasca addirittura dagli uomini di Neanderthal. Si tratta in particolare del genoma di Vindia, risalente a 50.000 anni fa ed individuato in Croazia. La ricerca dimostra come chi è stato esposto al virus ed è portatore della variazione genetica del gene di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva
La notizia esce dalla presentazione dell’ultima ricerca scientifica sul Covid, fatto a Milano nella sede della Regione, Palazzo Lombardia, alla presenza del governatore Attilio Fontana. Lo studio ha impegnato una grande equipe di ricercatori dell’Istituto Mario Negri impegnata in 2 anni di analisi per ricostruire la relazione fra i fattori genetici delle persone che si sono ammalate anche all’interno della stessa famiglia e la gravità della malattia Sars- Cov-19 nella provincia di Bergamo, che come si ricorderà è stato il primo epicentro della pandemia, il luogo dove addirittura forse essa si è sviluppata in modo più cruento rispetto a tutto il resto dell’Europa.
L’indagine, intitolata Origin è pubblicata sulla rivista “iScience” e ha dimostrato che una determinata area del genoma umano si legava al rischio di contrarre il virus in forma grave, soprattutto analizzando l’incidenza sui nei residenti delle aree più colpite dal virus.
Lo studio ha potuto contare sulla partecipazione di circa diecimila (9.733) Cittadini, soprattutto fra coloro che vivevano nelle zone di Nembro, Albino e Alzano lombardo, i tre Comuni dove ci fu una vera e propria strage, nei giorni in cui le autorità tentennarono ad adottare le misure della zona rossa. Per arrivare all’importante risultato sono stati mobilitati tantissimi cittadini, ex pazienti e loro famigliari, attraverso i sindaci dei Comuni, ma anche attraverso i medici di base, i farmacisti e persino i bibliotecari e membri di diverse associazioni. Tutti interessati a capire di più perché proprio in quelle terre operose la pandemia sia stata così violenta e crudele.
“Quando abbiamo visto che in tutta quest’area c’era una frequenza di malattie gravi e di morti che erano 850 volte superiori a quello che uno si poteva aspettare – ha spiegato in Regione il direttore dell’istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi – ci siamo chiesti perché qualcuno si ammalava in modo grave e qualcun altro in modo lieve”. La scoperta definita “sensazionale” fatta dal team di Remuzzi è che ben “tre dei sei geni associati a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal: si tratta in particolare del genoma di Vindia, che risale a 50.000 Anni fa ed è stato trovato in Croazia. Una volta forse proteggeva i Neanderthal dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge ma ci espone a una malattia più severa”. Infatti, come afferma il direttore dell’istituto, “le vittime del cromosoma di Neanderthal nel mondo sono forse 1 milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica”.
Due di questi tre geni sono capaci di di richiamare i globuli bianchi e causare infiammazione durante le infezioni, e mentre il terzo gene regola lo sviluppo e la funzione delle cellule epiteliali nelle vie respiratorie, condizionando le diverse manifestazioni della malattia.
Su questo tema in tutto il mondo ci sono stati vari studi che hanno portato ad analoghe considerazioni, ma il Mario Negri è riuscito ad individuare esattamente quali sono stati i geni che hanno aperto la via alle infezioni gravi che hanno portato alla morte di tante persone nella prima e nella seconda ondata. La Lombardia è stata la regione italiana che ha pagato il numero più alto di vittime al virus, oltre 46 mila dall’inizio del 2020.
I campioni di Dna sono stati analizzati mediante una tecnologia in grado di leggere centinaia di migliaia di variazioni (polimorfismi) su tutto il genoma, così sono state analizzate per ogni partecipante circa 9 milioni di varianti genetiche, rilevando la regione del Dna responsabile delle diverse manifestazioni della malattia.
In questa regione, alcune persone (circa il 7% della popolazione italiana) hanno una serie di variazioni dei nucleotidi (le singole componenti che costituiscono la catena del Dna) che vengono ereditati insieme e formano un “aplotipo”, ovvero l’insieme di queste variazioni.
“I risultati dello studio – spiega Marina Noris, Responsabile del Centro di genomica umana dell’Istituto Mario Negri – dimostrano che chi è stato esposto al virus ed è portatore dell’aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo”.
Il presidente Fontana, che ha partecipato al convegno assieme all’assessore alla Sanità Guido Bertolaso, ha commentato: “Il risultato apre uno scenario che senza dubbio potrà aiutare ad affinare le cure e magari impedire che il virus possa mietere altre vittime nei soggetti a rischio. Tutto ciò però non sarebbe stato possibile se non ci fosse stata la collaborazione delle comunità coinvolte nella ricerca, dei sindaci, delle associazioni di volontariato, farmacie, istituti scolastici, Diocesi, personale sanitario di Ats, Papa Giovanni XXIII, Asst Bergamo Est, medici di base, che si sono messi a disposizione. A loro il mio ringraziamento più grande a nome dell’intera Regione Lombardia”.