Carbonchio Segnali di avviso: A cosa fare attenzione

Riepilogo

Foruncoli rossi, gonfi, dolorosi e pieni di pus collegati tra loro sottopelle. Si verificano spesso sulla parte posteriore del collo, sulle spalle e sulle cosce.

Sintomi

Se si verificano sintomi nuovi, gravi o persistenti, contattare un operatore sanitario.

Il carbonchio appare come una protuberanza irritata e gonfia

  • Il grappolo di foruncoli si riempie di pus
  • Il fluido potrebbe defluire liberamente o potrebbe richiedere un intervento
  • Febbre e brividi

Opzioni di trattamento comuni

Come viene eseguita la diagnosi?

Cause

Un carbonchio di solito si sviluppa quando i batteri dello Staphylococcus aureus presenti in naso, bocca, inguine, cosce e ascelle, infettano i follicoli piliferi

  • La pelle rotta consente ai batteri di entrare nel corpo e causare un’infezione
  • L’infezione può diffondersi attraverso il contatto pelle a pelle o condividendo oggetti personali

I fattori di rischio includono

  • Età più comune tra le persone anziane
  • Obesità persone in sovrappeso
  • Scarsa igiene
  • Alcune condizioni come diabete, malattie renali croniche, malattie del fegato
  • Sistema immunitario indebolito

Domande da porre al medico

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Disclaimer: Solo a scopo informativo. Consulta un medico per un parere.Origine: Focus Medica.

COVID, alcune mutazioni potrebbero essere legate all’uso di un farmaco

Un farmaco antivirale usato per trattare i casi di COVID-19 potrebbe aver provocato mutazioni del coronavirus. A spiegarlo è uno studio curato da un gruppo di ricercatori che ha mappato le mutazioni stesse, nel corso del tempo, con l’obiettivo di tentare di determinare come e quando siano intervenute le evoluzioni. Gli scienziati hanno così rilevato degli “eventi mutazionali” giudicati insoliti, e che sono risultati associati proprio a pazienti che avevano assunto il farmaco molnupiravir.

Si tratta di uno dei primi antivirali resi disponibili per il trattamento della patologia durante la pandemia, che agisce inducendo appunto mutazioni nel genoma del virus, impedendo essenzialmente al virus di moltiplicarsi e riducendo la carica virale. Il che aiuta il sistema immunitario dell’organismo a controllare l’infezione.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha raccomandato il molnupiravir per il trattamento dei pazienti ad alto rischio di ospedalizzazione nel marzo 2022, rendendolo il primo farmaco antivirale orale presente nella sua guida al trattamento dell’infezione. 

Gli autori dello studio – del Francis Crick Institute del Regno Unito, dell’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (UKHSA) e delle università Cambridge, Liverpool, e Città del Capo hanno esaminato i database globali di sequenziamento del virus, risalendo un “albero genealogico” di 15 milioni di sequenze.

Ciò li ha aiutati a tracciare la storia evolutiva del virus, individuando quando si sono verificate le mutazioni. I ricercatori affermano che, sebbene i virus mutino continuamente, alcuni casi sono apparsi diversi dai normali modelli e “fortemente associati a individui che avevano assunto molnupiravir”.

Nei risultati, pubblicati sulla rivista Nature, i ricercatori spiegano che le mutazioni sono aumentate nel 2022, in un momento che coincide con l’introduzione del molnupiravir. Hanno inoltre riscontrato che esse risultavano più frequenti nei pazienti anziani, ai quali era più probabile che venisse prescritto il farmaco in quanto ritenuti più a rischio di ospedalizzazione.

“Il molnupiravir è uno dei diversi farmaci utilizzati per combattere il COVID-19. Appartiene a una classe di farmaci che si occupa di combattere la malattia mutando il virus a tal punto da indebolirlo”, ha dichiarato Christopher Ruis del dipartimento di Medicina dell’università di Cambridge. Che precisa: “Abbiamo scoperto che in alcuni pazienti questo processo non uccide tutti i virus e alcuni, mutati, possono diffondersi. È importante tenerne conto nel valutare i benefici e i rischi complessivi del molnupiravir e di farmaci simili”.

I ricercatori hanno concluso che almeno il 30% degli “eventi di mutazione” in Inghilterra riguardava appunto l’uso di tale farmaco. E hanno anche riscontrato piccoli gruppi di mutazioni che suggeriscono che altri pazienti sono stati infettati dal virus mutato. Tuttavia, hanno aggiunto, nessuna variante attualmente preoccupante è collegata

“Il COVID-19 sta ancora avendo un effetto importante sulla salute umana e alcune persone presentano difficoltà a eliminare il virus, quindi è importante sviluppare farmaci che mirino a ridurre la durata dell’infezione”, ha dichiarato Theo Sanderson, autore principale e ricercatore post-dottorato presso il Francis Crick Institute. “Ma le nostre prove dimostrano che uno specifico farmaco antivirale, il molnupiravir, provoca anche un aumento della diversità genetica nella popolazione virale sopravvissuta”.

Lo scienziato ha aggiunto che i risultati sono utili per la valutazione in corso del molnupiravir e che lo sviluppo di nuovi farmaci dovrebbe tenere conto di quanto emerso: “Il nostro lavoro dimostra che le dimensioni senza precedenti dei dataset di sequenze post-pandemia, costruiti in collaborazione da migliaia di ricercatori e operatori sanitari in tutto il mondo, creano enormi opportunità di effettuare valutazioni sull’evoluzioni del virus che non sarebbero possibili con l’analisi dei dati delle singole nazioni”.

Malattia X, la nuova minaccia che può causare una nuova pandemia mondiale

Un tempo c’èra il covid a spaventare la popolazione, adesso potrebbe arrivare la malattia X. Se pensavamo di essere fuori da ogni rischio legato a pandemie mondiali ci sbagliavamo di grosso. L’Oms, infatti, ha lanciato l’allarme per una mega pandemia che potrebbe fare 50 milioni di morti. Il nome è già un programma. Si chiama malattia x, perchè è un virus sconosciuto che potrebbe avere una letalità 20 volte superiore a quella del covid-19. Le conseguenze potrebbero essere disastrose.

L’Oms e l’allarme per una mega pandemia che potrebbe fare 50 milioni di morti

Il covid fa meno paura, ormai le persone lo vedono come un problema ricorrente a cui bisogna abituarsi ciclicamente. A spaventare, invece, è la malattia X, un termine coniato dall’Oms che potrebbe avere conseguenze simili a quelle dell’influenza spagnola e quindi potrebbe causare molte più vittime del covid, anche fino a 20 volte in più. Questo vorrebbe dire fino a 50 milioni di morti. La notizia si è diffusa dopo un articolo pubblicato sul Daily Mail in cui la ex presidente della task force sui vaccini del Regno Unito Kate Bingham fa delle previsioni piuttosto agghiaccianti:

“Non sappiamo ancora con certezza quale forma assumerà la nuova pandemia, ma solo che il suo arrivo, secondo gli esperti sanitari globali, non è solo una possibilità ma una probabilità”. “La pandemia influenzale del 1918-1919 uccise almeno 50 milioni di persone in tutto il mondo, il doppio di quante furono uccise nel corso della prima guerra mondiale. Oggi, potremmo aspettarci un numero di vittime simile causato da uno dei tanti virus già esistenti”

Insomma, il covid ha fatto paura e ha rappresentato un vero e proprio problema di salute pubblico mondiale, ma questa non sarà l’unica pandemia al mondo.

Malattie che hanno un potenziale epidemico come il Covid-19

Già nel 2018, l’Oms aveva ipotizzato l’arrivo di una pandemia causata da una malattia sconosciuta chiamata Disease X. Quindi una malattia che non esiste ma che studiando in anticipo si potrebbe prevenire e arginare. Nell’articolo, si ipotizza che gli scienziati conoscono già 25 famiglie di virus, ognuna delle quali contiene dei singoli virus che hanno le capacità di evolversi in pandemia. Tra i rischi maggiori esistono anche tre fattori chiave come la globalizzazione, il sovrappopolamento delle città e la deforestazione. Ecco perché per evitare ogni rischio, sarebbe fondamentale realizzare una raccolta di diversi prototipi di vaccini per ogni famiglia di virus minacciosi. Nel Regno Unito, intanto, è nato un laboratorio dove saranno studiati i vaccini che potrebbero contrastare l’infezione. Gli scienziati vogliono fermare le nuove minacce con un nuovo vaccino, o almeno è questo uno degli obiettivi fissati durante il G7 nel 2021. Secondo l’Oms, inoltre, ci sono delle malattie che hanno un potenziale epidemico come il Covid-19, la sindrome respiratoria da coronavirus Medio Orientale (MERS-CoV), la febbre emorragica Congo-Crimea, la sindrome acuta respiratoria grave (SARS), la malattia da virus Ebola, la malattia da virus di Marburg, la febbre di Lassa, il virus Nipah e le malattie causate da henipavirus, la febbre della Rift Valley, l’infezione da virus Zika e la malattia X.

Malattia X, la nuova minaccia che può causare una nuova pandemia mondiale

Nel frattempo, i casi di covid-19 sono in aumento nelle ultime settimane a causa della variante Eris. Complice il ritorno a scuola, gli esperti si aspettano un aumento dei casi e per questo il ministro della Salute ha anticipato la campagna vaccinale che sta partendo in questi giorni. Il vaccino sarà consigliato a over 60, malati cronici, donne in gravidanza e operatori sanitari e dal 12 ottobre sarà possibile fare anche quello antinfluenzale.

Riassumendo

  • Dopo il covid-19 si teme un’altra pandemia mondiale
  • Si tratta della malattia x, nome coniato dall’OMS
  • La notizia si è diffusa dopo un articolo pubblicato sul Daily Mail
  • Questo virus potrebbe causare a 50 milioni di morti.

L’articolo è stato pubblicato in News – Investireoggi.it.

Si salva da tumore alla pelle e va ad abbronzarsi: il cancro torna

Una maniaca dell’abbronzatura si è trovata ad affrontare il cancro e a sconfiggerlo. Ma dopo la guarigione è tornata ad usare lettini abbronzanti e la malattia è ritornata. E’ la storia Carmen Oakes la quale ammette di aver fatto una “stupidaggine” per aver sprecato la sua “seconda possibilità di vita” continuando a frequentare regolarmente i saloni di abbronzatura. Carmen, 48enne che abita nel Regno Unito, nel 2014 si è ritrovata sulla schina un neo rosso che a successivi esami è risultato essere canceroso. Con una operazione chirurgica lo ha rimosso.

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E’ tornata ad abbronzarsi dopo l’operazione

Tuttavia, nonostante i problemi di salute, Carmen ha continuato a usare i lettini quasi ogni settimana. Nel gennaio di quest’anno, i medici hanno trovato una massa di quattro pollici nel suo polmone destro e hanno comunicato la devastante notizia che aveva un melanoma metastatico al quarto stadio. Ora Carmen esorta tutti a non commettere lo stesso errore.

La mamma di due figli, di Portsmouth, Hampshire, ha detto al Mail Online: “Stavo giocando con il fuoco, ma essendo stupida, ho pensato ‘vabbè, l’hanno semplicemente tagliato’”. “Ho avuto una seconda possibilità nella vita, quindi sono tornato sui [lettini abbronzanti]. Non avrei mai dovuto tornare indietro”. Carmen ha avvertito delle conseguenze potenzialmente mortali dell’utilizzo dei saloni abbronzanti: “Per favore, non pensare che l’abbronzatura sia più importante della vita. Quei lettini ti danneggiano la pelle. Ti invecchiano e ti uccidono”.

Sui lettini abbronzanti per 20 anni di fila

Carmen ha iniziato ad usare i lettini con sua sorella all’età di 15 anni. Ha visitato i saloni una volta alla settimana negli ultimi 20 anni. Sua figlia Chloe Jones, 26 anni, ha notato il neo sulla schiena di sua madre nel 2014 e l’ha esortata ad andare da un medico. Ha iniziato ad avvertire dolore alle spalle e alle braccia nel settembre 2021, ma gli esami del sangue e le visite da un reumatologo non sono riusciti a identificare il problema. È andata al pronto soccorso dopo essersi svegliata con un dolore “lancinante” sul lato sinistro del petto, quando i medici hanno trovato del liquido attorno al suo polmone.

Una TAC nel gennaio di quest’anno ha rivelato una massa nel polmone sinistro, che è stata successivamente confermata essere cancerosa. Il mese successivo, i medici confermarono che Carmen aveva un melanoma metastatico che era ritornato dalla sua precedente diagnosi. E in un ulteriore colpo, hanno detto che non potevano rimuovere il tumore perché era attaccato ai vasi sanguigni e alle camere cardiache. Carmen è stata sottoposta a un trattamento di immunoterapia, durante il quale vengono iniettati farmaci per controllare il tumore, riducendolo della metà a marzo.

Ha descritto la sua gratitudine sui social media: “Oggi ho ricevuto i risultati della mia scansione, ho ricevuto la migliore notizia di sempre. Non significa che [sarò] mai guarita… ma se continuo a ottenere risultati come questi potrei vivere una bella vita.”. E ha avvertito: “Per favore, state al sicuro al sole. Questo cancro della pelle è mortale e per favore non fatevi ingannare dai lettini, sono le cose peggiori in assoluto e possono anche causarlo”. “Farò tutto il possibile per restare in vita”.

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Dermatite atopica e alopecia areata, quali sono le nuove prospettive di cura

Che cos’hanno in comune la dermatite atopica e l’ alopecia areata? Hanno un meccanismo simile alla base, sono considerate da molti solo un problema «estetico» quando invece rendono parecchio difficile la vita di chi ne soffre. Ora condividono anche una nuova cura, da poco approvata e rimborsata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), efficace per le forme più severe di entrambe le malattie, che comportano un alto prezzo in termini di sofferenze non solo fisiche ma anche emotive. Chi ne è affetto non di rado sul lavoro subisce discriminazioni o addirittura viene licenziato. Sul fronte economico il conto è pesante anche perché vanno impiegate somme consistenti, totalmente a carico dei pazienti, per trattamenti necessari a tenere a bada una malattia che non può essere guarita.

Non è un problema estetico

Sul fronte degli affetti e della vita sociale gli alti tassi di ansia, depressione e disturbi del sonno, finiscono spesso per compromettere i rapporti e per indurre all’auto-isolamento. «Quando è nato il mio primo figlio, non potevo nutrirlo né tenerlo in braccio a causa delle lesioni sulle braccia e del prurito che non mi faceva dormire — racconta Mario Picozza, presidente di Associazione Nazionale Dermatite Atopica (Andea) e FederAsmallergie —. Chi soffre di dermatite atopica non ha un problema estetico, ma una patologia cronica che spesso toglie il sonno, compromette la vita intima e sociale, apre a discriminazioni se le lesioni sono visibili». «Quanto all’alopecia areata, non riguarda soltanto i capelli: nelle forme gravi possono essere persi tutti i peli del corpo, ciglia comprese — precisa Claudia Cassia, presidente dell’Associazione Italiana Pazienti Alopecia and Friends (Aipaf) —. Ci sono bambini che per il loro aspetto diventano vittime di bullismo, anche perché si teme siano affetti da una malattia contagiosa. Gli adulti, anche in questo caso, possono perdere il lavoro, essere allontanati da luoghi pubblici, le donne abbandonate all’altare. Una nuova cura riconosciuta per le forme severe e gravi è importante anche in vista del riconoscimento dell’alopecia areata come malattia cronica e, quindi, per una nuova presa in carico e gestione dei pazienti».

I rimedi

L’approvazione di Aifa riguarda un farmaco in compresse (baricitinib) appartenente alla classe degli inibitori delle Janus chinasi o JAK inibitori, enzimi coinvolti nei processi immunitari e infiammatori. È un medicinale già in uso da anni per l’artrite reumatoide e ora il via libera alla rimborsabilità riguarda adulti che soffrono di dermatite atopica da moderata a grave o di alopecia areata severa, per la quale è la prima cura in assoluto rimborsata dal Ssn. «Le terapie a disposizione per la dermatite atopica oggi sono, finalmente, molte, efficaci e ben tollerate —spiega Antonio Costanzo, direttore della Dermatologia all’Istituto Clinico Humanitas di Milano —. Quel che è importante è avere una diagnosi chiara per poter arrivare alla strategia terapeutica più adatta scelta dal dermatologo in base a età, gravità dei sintomi ed eventuale presenza di malattie associate. Nei casi meno gravi , mentre in quelli più gravi si opta per una terapia sistemica, per bocca o iniezione, con farmaci immunosoppressori tradizionali o con i più recenti farmaci biologici.

Diverse opzioni

L’ultimo medicinale che ha ottenuto il rimborso Aifa, riservato a chi non trae giovamento dalle altre cure già disponibili, ha il vantaggio di agire molto rapidamente, ». Un discorso differente va fatto per l’alopecia areata, che è spesso «temporanea» e che nelle forme lievi può vedere la ricrescita dei peli senza alcun trattamento, generalmente entro un anno. Però più è estesa, più è difficile che risponda alle terapie. Anche se esistono diverse opzioni a disposizione dello specialista (corticosteroidi, antralina, immunoterapia topica), che vanno seguite per circa 6-10 mesi prima di vedere un risultato, non si arriva mai a guarigione definitiva. «Questa malattia può ripresentarsi nel tempo — sottolinea Bianca Maria Piraccini, direttore dell’Unità di Dermatologia e Venereologia dell’Università degli Studi di Bologna —. Le cure attuali hanno come obiettivo bloccare l’attacco del sistema immunitario e stimolare la ricrescita dei capelli, una strategia che funziona soprattutto per le persone con forme più lievi (ovvero circa meno del 50% di perdita di capelli). Ma con l’arrivo dei JAK inibitori possiamo fare meglio anche nelle forme gravi di alopecia areata: baricitinib è il primo di questa “famiglia” di medicinali e gli studi indicano che, col passare dei mesi, i pazienti vedono ricomparire capelli, ciglia e peli».

Parrucche oggi rimborsate soltanto in Emilia Romagna

L’alopecia areata è una malattia autoimmune cronica che provoca la perdita dei capelli, che cadono in modo acuto formando una o più chiazze tonde che possono allargarsi e fondersi fino ad arrivare alla caduta di tutti i capelli (alopecia totale) e dei peli del corpo (alopecia universale). Può manifestarsi a qualsiasi età e sebbene le cause non siano ancora del tutto chiare si ritiene che abbia un’origine multifattoriale, il che significa che una varietà di fattori genetici e ambientali contribuiscono alla comparsa della malattia. «Da anni, medici e pazienti chiedono il riconoscimento dell’alopecia areata come malattia autoimmune, cronica e recidivante — dice Bianca Maria Piraccini —. Un passaggio cruciale per dare dignità a una malattia che, al momento, per il Servizio sanitario nazionale non esiste. E per poter avere un codice di esenzione, in modo che i malati non siano costretti a pagare di tasca propria ausili come le parrucche, che per ora in Italia vengono rimborsate soltanto in Emilia Romagna.

Non solo pelle spesso c’è anche asma

La dermatite atopica colpisce in Italia circa 1 adulto su 10 e 1 bimbo su 4, con un picco d’incidenza tra i 10 e 20 anni d’età. È una malattia infiammatoria cronica recidivante con diverse cause. In chi ne soffre è frequente una predisposizione genetica all’ipersensibilità ad allergeni ambientali (circa il 30% di chi ne soffre, prima o poi presenta anche asma e rino-congiuntivite allergica). «Per decidere la strategia da adottare si valutano l’intensità del prurito, l’estensione e la localizzazione delle lesioni, il decorso clinico e l’impatto della malattia sul paziente — spiega Antonio Costanzo —. L’obiettivo finale è far scomparire le lesioni sulla pelle e il prurito, ottenendo una stabilizzazione a lungo termine e riducendo gravità e durata delle riacutizzazioni. Per raggiungerlo bisogna usare quotidianamente emollienti ed evitare di entrare in contatto con sostanze irritanti o allergizzanti come saponi troppo “forti”, lana, piante e graminacee che possono infastidire».

Covid, aumentano i contagi per la variante «Eris» (la più diffusa in Italia): sintomi e come proteggersi

La variante di Sars-CoV-2 (EG.5) «Eris» si conferma la più diffusa in Italia, secondo gli ultimi dati disponibili, ovvero il bollettino settimanale sul monitoraggio di Covid-19, diffuso il 22 settembre da ministero della Salute e Istituto Superiore di sanità (Iss) e riferito alla settimana 14-20 settembre. Il rapporto rileva «una predominanza di sequenze riconducibili a EG.5», arrivata al 34,2%. E, secondo recenti studi sperimentali, tra le varianti, Eris sarebbe la più resistente agli anticorpi. Cosa vuol dire? Eris è solo più contagiosa o anche più pericolosa?

Che cos’è e perché è sotto osservazione

Eris fa parte della grande famiglia di Omicron, in particolare è ““figlia” della variante Omicron XBB. Ad agosto l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) l’aveva classificata «variante di interesse» da tenere sotto osservazione anche se aveva valutato «basso» il rischio per la salute pubblica. Recenti studi sperimentali segnalano che si tratterebbe di una variante più resistente agli anticorpi, cioè capace di sfuggire, più di altre varianti, alle difese generate sia da precedenti infezioni sia dalla vaccinazione, in virtù di una particolare mutazione, F456L, avvenuta a livello della proteina Spike del virus.

I sintomi di Eris

Come si manifesta Eris? I pazienti che contraggono l’infezione presentano sintomi simili a quelli delle precedenti sottovarianti Omicron, quindi principalmente disturbi delle vie respiratorie superiori, quali: mal di gola, tosse secca, congestione o naso che cola, mal di testa, senso di affaticamento, dolori muscolari e articolari.

Vaccini adattati efficaci anche contro Eris

Come proteggersi dalla variante Eris? Nel report diffuso il 22 settembre dall’Istituto Superiore di Sanità : «Sebbene dati ottenuti sperimentalmente abbiano mostrato che la mutazione F456L (che caratterizza il profilo della proteina spike di EG.5) sia capace di diminuire il legame con anticorpi neutralizzanti anti XBB.1.5, i dati ad oggi disponibili mostrano che i vaccini di nuova formulazione, basati su XBB.1.5, buona risposta anche contro EG.5.1». I vaccini adattati approvati dall’Unione europea che da ottobre saranno disponibili anche in Italia – proteggono pure dai ceppi circolanti, tra cui Eris, ha chiarito di recente Emer Cooke, direttrice dell’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, che ha aggiunto: «La pandemia è superata ma il virus è ancora una minaccia per i soggetti a rischio, quindi persone con più di 65 anni, quelle con condizioni di salute precarie e le donne incinte devono vaccinarsi».

Chi deve proteggersi

Che la priorità sia proteggere persone anziane e fragili lo ha ribadito il 22 settembre anche il ministro della Salute in un’ intervista al Corriere: «La nostra attenzione, sia in questa fase che in quella successiva, che inizierà a partire dalla prossima settimana con la vaccinazione – ha detto Orazio Schillaci – è diretta alle persone più anziane, alle persone fragili che, se infettate dal virus, possono magari sviluppare una forma più aggressiva». Intanto, è partita la campagna di comunicazione nazionale «Più informati, più protetti», promossa da Federcentri APS, Associazione di Centri per Anziani, per sensibilizzare le persone con più di 65 anni sull’importanza di adottare comportamenti corretti per prevenire la diffusione di Covid-19 e proteggere la propria salute. La campagna si sviluppa attraverso un ciclo di 50 convegni presso i centri sociali per anziani di tutto il territorio nazionale ( qui l’elenco).

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Covid, dalla febbre alla tosse secca ecco i sintomi della nuova variante Eris

ROMA. In attesa che ministero della Salute e dell’Istruzione trovino una quadra sulla circolare che dovrebbe chiarire una volta per tutte se da positivi, anche solo asintomatici, si può andare a scuola oppure no, molti istituti hanno dato il via al solito fai da te seguendo la via della prudenza: se il test è positivo o si hanno sintomi ricoconducibili al Covid si sta a casa. E scelte simili si stanno adottando in molte aziende. Resta da capire quindi quando si tratti di Covid, visto che con le nuove varianti, Eris in particolare predominante in Italia, la sintomatologia è piuttosto diversa rispetto a quella che ha caratterizzato l’infezione a inizio pandemia: i sintomi gastrointestinali, la perdita improvvisa dell’olfatto (anosmia), la sua diminuzione (iposmia), la perdita (ageusia) e l’alterazione (disgeusia) del gusto, hanno, infatti, lasciato maggiormente spazio a: febbre, tosse secca, difficoltà respiratorie, naso che cola, congestione nasale, mal di gola, mal di testa, voce rauca, dolori muscolari e articolari. Quando si hanno questi sintomi per accertarsi se sia Covid o meno non resta che sottoporsi al tampone antigenico o molecolare. Molti stanno facendo ricorso a quelli fai da te, ma attenzione, se si vuole poi ottenere il certificato di malattia dal medico di famiglia o dal pediatra è necessario che il test sia eseguito in farmacia o in un laboratorio che rilasci l’attestato di positività, senza il quale il medico non può emettere alcuna certificazione. Leggi anche – Covid, i test fai da te funzionano ancora? Sì, ma meglio farne un secondo Riguardo la contagiosità gli studi hanno stabilito che il periodo di massimo rischio parte da 24-48 ore prima della comparsa dei sintomi, anche se si è contagiosi ovviamente anche durante la fase sintomatica, mentre il rischio cala quando si è ancora positivi ma senza più sintomatologia. L’approfondimento – Vaccini e long covid, la verità oltre le bufale Resta difficile distinguere i sintomi del Covid con quelli dell’influenza oramai alle porte e con quelli delle vie alte respiratorie del virus sinciziale, che ha ripreso a circolare pesantemente in Italia. Ma come già indicato dalla Circolare emessa dal Dipartimento di Prevenzione del ministero della Salute, per tutti i sintomatici con malattie infettive e non solo con Sars-Cov-2 quindi, è fortemente raccomandato restare a casa, e se è proprio necessario uscire farlo indossando la mascherina e tenendosi alla larga dalle persone fragili, che contraendo il Covid, ma anche altre malattie respiratorie, possono correre rischi seri.

Non perdi peso con dieta ed esercizio fisico? Ecco perché e cinque consigli per cambiare le cose

Dimagrire sembra un’impresa impossibile, anche con la giusta dieta e facendo la giusta quantità di esercizio fisico. Perché mai? Ce lo spiega una dietologa americana che ha iniziato a condividere le proprie conoscenze e i propri studi su TikTok per cercare di aiutare più persone possibili.

 

Come perdere peso

Dunque, non solo la risposta alla fatidica domanda “perché non riesco a perdere peso?“, ma anche cinque utili consigli per cambiare la situazione e cominciare a vedere quei risultati che sogniamo da tanto tempo. Stare bene di salute e con se stessi è più semplice di quanto possa sembrare.

«Gli uomini», dice Taylor, «hanno un ciclo ormonale di 24 ore, mentre le donne di 28 giorni. Bisogna considerare che i nostri ormoni e il nostro metabolismo sono molto diversi da quelli degli uomini», per cui deve essere diverso anche il modo di perdere peso: fare tanto cardio può funzionare per gli uomini, ma non per le donne.

«Non sto dicendo che il deficit di calorie non funzioni affatto, ma che la maggior parte degli studi e delle ricerche in proposito sono stati portati avanti in base agli uomini, per questo non funzionano per tutti», spiega Taylor. Nelle donne, la routine maschile può causare un picco nell’ormone dello stress, il cortisolo, che ha poi un impatto negativo sulle funzioni metaboliche e dunque sulla capacità di perdere peso.

 

I cinque consigli per perdere peso

 

1. Dare priorità ad attività NEAT, ovvero Termogenesi da attività non associabile all’esercizio fisico, tutte quelle attività che bruciano grassi ma che non rientrano nell’esercizio fisico attivo; ad esempio, fare le scale anziché prendere l’ascensore, o andare a fare la spesa a piedi.

2 Concentrarsi sull’allenamento di forza e cardio a bassa intensità.

3 Inserire fibre e proteine in ogni pasto, il che è molto importante per mantenere i livelli di zucchero nel sangue ad un livello bilanciato. Questo aiuterà anche a sentirsi sazi durante la giornata.

4 Dormire tra le sei e le otto ore a notte, sempre. «Il corpo si ripara e recupera durante il sonno, quindi se si fa attivit fisica è necessario dare del tempo ai muscoli per recuperare, ripararsi e poi crescere».

5 Trovare il tempo per pianificare i pasti e preparare gli ingredienti in modo da mangiare sempre in maniera sana, durante tutta la settimana.

A che ora fare attività fisica per dimagrire di più? Lo svela la scienza

Forse in pochi lo sanno ma gli orari della giornata non sono tutti uguali per quanto riguarda il perdere peso: infatti, secondo uno studio da poco pubblicato sulla rivista scientifica Obesity, per dimagrire e rimettersi in forma bisognerebbe praticare attività fisica in una fascia d’orario della giornata ben precisa.

Cosa dice lo studio

Chi decidesse di fare attività fra le 7 e le 9 del mattino riuscirebbe a ottenere risultati migliori rispetto a tutte le altre fasce della giornata: per arrivare a questa conclusione i ricercatori hanno studiato i dati di oltre 5mila persone dal 2003 al 2006 che sono confluiti nel database di un programma di ricerca degli Stati Uniti che valutava lo stato di salute complessivo sia dei più piccoli ma anche degli adulti. I gruppi sono stati divisi in tre fasce orarie della giornata: chi si allenava la mattina, chi il pomeriggio e chi la sera. Ebbene, l’associazione tra il dimagrimento e l’orario di allenamento era più forte tra coloro che si allenavano al mattino. Non solo, ma i benefici erano anche alimentari dal momento che i fan dell’attività fisica mattutina mangiavano in maniera migliore degli altri assumendo anche le giuste calorie oltre ad avere una vita più attiva e meno sedentaria.

“Si tratta di una ricerca nuova, entusiasmante e coerente con un consiglio che viene comunemente dato per raggiungere gli obiettivi dell’esercizio fisico, ovvero programmare gli allenamenti al mattino, prima delle e-mail, delle telefonate o delle riunioni, che potrebbero distrarre”, ha affermato Rebecca Krukowski, psicologa clinica esperta in gestione comportamentale del peso e docente all’Università della Virginia.

Quel che ancora non si conosce, però, è il motivo per cui la stessa tipologia di allenamento effettuata al mattino dia questi risultati, migliori, rispetto alle altre fasce orarie. “Per esempio, chi si esercita regolarmente al mattino potrebbe avere orari più prevedibili, meno probabilità di fare turni al lavoro e meno responsabilità di tipo assistenziale nei confronti di altre persone che impediscono l’esercizio mattutino”, ha aggiunto la studiosa. L’importanza di avere orari definiti potrebbe influire sul peso (e quindi sul dimagrimento) che in questo studio non è stato valutato ma potrebbero intervenire anche altri fattori quali la qualità e la durata del sonno oltre ai livelli di stress. Per indagare queste cause, quindi, saranno necessari altre ricerche anche se una prima risposta, importante, c’è stata: chi si allena al mattino può ottenere risultati migliori rispetto ad altri orari nell’arco delle 24 ore.

Cosa succede nei week-end

Parallelamente, un’altra ricerca sull’attività fisica legata allo stare in forma e al dimagrimento ha messo in luce che coloro i quali hanno tempo di allenarsi soltanto nel fine settimana possono ottenere gli stessi risultati di chi si allena costantemente, anche quattro volte la settimana, andando in palestra. Lo studio, pubblicato su Jama, ha messo in luce questo aspetto dopo aver esaminato i dati di 90mila partecipanti per sei anni. Nel caso specifico, ci si è basati sugli eventi avversi che riguardavano l’eventuale insorgenza di ictus e malattie cardiovascolari: sia che ci si allenasse durante i giorni della settimana che concentrando tutti gli sforzi sabato e domenica, questi eventi avversi diminuivano allo stesso modo del 20-40% ottenendo più o meno gli stessi benefici.

Tumori e vaccini a mRna, a che punto siamo

(Adnkronos) – La promessa dei ‘farmaci viventi’ contro il cancro sarà mantenuta? Non manca molto tempo per scoprirlo, se si considerano i vaccini a mRna – oltre 40 – per diversi tipi di tumori che in questo momento si trovano ai test sull’uomo nel mondo. Alcuni sono in fase avanzata di sperimentazione. E nel 2024 il primo – quello contro il melanoma di Moderna – dovrebbe entrare in fase III, la più importante, che precede le richieste di autorizzazione alle agenzie regolatorie. Mentre gli esperti aspettano cautamente che i dati si consolidino, su questa “tecnica promettente” si accendono i riflettori a Milano in occasione di Cicon23, l’International Cancer Immunotherapy Conference, alla quale da oggi partecipano oltre mille tra clinici, ricercatori, rappresentanti di associazioni e del biotech provenienti da tutti i continenti.  

I vaccini anti-cancro a mRna sono uno dei temi sul tavolo. Ma il confronto fra gli esperti spazierà per approfondire tutte le nuove frontiere della immunoterapia del cancro, approccio terapeutico che sfrutta il sistema immunitario per combattere ed eliminare le cellule tumorali. Fra gli oltre 40 relatori anche il premio Nobel per la Medicina James Allison. E nel programma figurano oltre 600 lavori da scienziati di 38 nazioni, che faranno il punto sui più importanti dati ottenuti in clinica e in laboratorio. Inevitabile che sulla scia dei risultati sul fronte Covid crescesse l’attesa sull’applicazione dell’mRna in campo oncologico. Si stima che i vaccini a mRna, dopo quasi 20 anni di studi e ricerche, potrebbero essere pronti a entrare in clinica nel giro di pochi anni.  

“Si può ipotizzare una data che è quella legata alla sperimentazione di fase 3, che per uno di questi vaccini comincerà a inizio 2024. Se quando questa fase finirà verranno confermati i risultati, a quel punto la procedura di accettazione di enti regolatori come l’americana Fda, l’europea Ema e l’italiana Aifa dovrebbe essere abbastanza rapida. Consideriamo quindi almeno altri 3 anni, minimo”, prospetta Pier Francesco Ferrucci, direttore dell’Unità di bioterapia dei tumori all’Istituto europeo di oncologia e presidente del Network italiano per la bioterapia dei tumori (Nibit), una delle società scientifiche organizzatrici dell’evento. Ma è ancora il momento della cautela. Perché il trial sul melanoma che ha fornito i primi risultati – positivi – al momento ha “ancora un follow-up piuttosto breve e un numero basso di pazienti trattati, 107. Quindi la potenza statistica è attualmente bassa. E questo ci deve far stare attenti e cauti. Ma la tecnica è molto promettente per il razionale che ne ha permesso lo sviluppo e perché è trasversale a diverse patologie”, ammette l’esperto. 

I vaccini anti-cancro a mRna “sfruttano la stessa tecnologia adottata per il Covid – spiega Ferrucci -. Si avvalgono dell’Rna messaggero (mRna), una sorta di ‘postino’ che trasmette importanti informazioni alle cellule. Per i vaccini anti-cancro si utilizzano mRna sintetici progettati per istruire il sistema immunitario a riconoscere una proteina chiamata neoantigene, espressione di una mutazione genetica avvenuta nella cellula malata. Si tratta di una specie di ‘impronta digitale’ specifica e personale, presente nelle cellule tumorali di quel paziente. I vaccini antitumorali a mRna personalizzati sono quindi progettati ‘su misura’, con lo scopo di innescare il sistema immunitario a uccidere selettivamente ed esclusivamente le cellule tumorali in quel paziente e nei pazienti in cui i tumori esprimono la stessa mutazione”. 

Attualmente sono in corso sperimentazioni in diverse patologie tumorali: oltre al melanoma, il tumore della prostata, il tumore polmonare non a piccole cellule, il tumore mammario triplo negativo, il tumore colorettale e altri tumori solidi. “L’elenco è ovviamente destinato ad aumentare in modo esponenziale”, evidenzia Ferrucci. A fare il punto sul vaccino a mRna contro il melanoma sviluppato da Moderna sarà Jeffrey Weber, professore di Oncologia e vicedirettore del Nyu Langone Perlmutter Cancer Center. I dati a 2 anni dalla somministrazione di questo vaccino mostrano una riduzione del rischio di recidiva o morte del 44% in chi lo ha ricevuto in combinazione con la ‘tradizionale’ immunoterapia.  

E sempre al Cicon23 farà il punto anche Özlem Türeci, co-fondatrice dell’azienda biofarmaceutica BioNTech, che da decenni studia i vaccini a mRna contro i tumori e, sull’onda dell’esperienza maturata con gli anti-Covid, ha disegnato vaccini ad mRna ancora più efficaci contro tumori come il melanoma, il cancro del colon retto e del pancreas. “I vaccini – analizza Anna Mondino, componente del direttivo Nibit e responsabile dell’Unità di attivazione linfocitaria all’Irccs San Raffaele di Milano – funzionano perché vengono riconosciuti dai linfociti T. Cellule che, una volta attivate e acquisita la capacità di uccidere il tumore, sono anche in grado di redistribuirsi nel nostro organismo tramite i vasi. Quindi la capacità di riconoscere una metastasi lontana dal sito primario” del tumore “è legata al fatto che questi sono veri e propri farmaci viventi: migrano, cercano e hanno una molecola sulla loro superficie che quando trova il target lo riconosce, tanto che questo processo è stato definito il ‘bacio della morte'”. Ed è una capacità duratura? “Dipende. Se i vaccini sono fatti bene sì perché si stabilisce una risposta di memoria”, spiega. 

“L’era dei vaccini a mRna nella lotta al cancro è solo agli inizi – dice Ferrucci – ma è altrettanto importante ricordare che non è l’unica strada promettente nel settore dell’immunoncologia, che si avvale anche di diverse altre strategie in fase di studio”. Gli obiettivi sono molteplici, elenca Mondino: “Capire i meccanismi che il tumore usa per sfuggire al controllo del sistema immunitario, individuare strategie capaci di rendere le nuove terapie più efficaci nel maggior numero possibile di pazienti e identificare il momento migliore per la loro somministrazione. Per questo sono previste sessioni dedicate alle nuove tecnologie che consentono di studiare le singole cellule e la loro localizzazione nel tessuto, in modo da generare così una carta d’identità del tumore stesso. Parleremo anche di elaborazione di Big Data con l’ausilio dell’intelligenza artificiale e di come poter identificare l’opzione immunoterapeutica più adeguata per il paziente”.  

Missione: medicina a misura di paziente. Tornando all’mRna, “è stato possibile sviluppare un vaccino che può essere veramente personalizzato e personalizzabile”, rimarcano gli esperti. E “medicina personalizzata – osserva Antonio Sica, segretario del Nibit, direttore di Patologia generale all’università del Piemonte Orientale e del Laboratorio di patologia e immunologia molecolare all’Irccs Humanitas di Rozzano (Milano) – vuol dire fare il profilo molecolare del tumore in quel singolo paziente. E per fare ciò c’è stata un’esplosione delle tecnologie cosiddette ‘omiche’ che permettono di caratterizzarlo a livello molecolare. Queste informazioni vengono utilizzate per costruire il vaccino”. Interessante, continuano gli specialisti, “è che ci sono vaccini condivisi tra diversi pazienti, un pannello di neoantigeni condivisi, in altre parole una base pronta da dare in vaccino”. 

Ci sono, aggiunge Mondino, “dei test diagnostici facili e la somministrazione del vaccino è simile a quella del Covid. Se vogliamo fare l”impronta molecolare’ del singolo paziente, adesso servono centri specializzati in grado di fare la sequenza del suo tumore, ma i costi e la tecnologia stanno andando molto avanti e diventerà sempre più facile. Quello che 10 anni fa era impensabile adesso è pratica clinica. Questo potrebbe dunque essere un approccio sostenibile”. In futuro, prevede Sica, “si arriverà a una personalizzazione sempre maggiore”. E cruciale è anche quando e a chi fare il vaccino, conclude Mondino: “Ora si tende a farlo in adiuvante, e in una situazione in cui il sistema immunitario del paziente è capace di rispondere. Scegliere la finestra giusta e il paziente giusto è davvero importante”.  

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