“Toscana virus”, ricoverato al San Martino di Genova il primo paziente affetto

L’ospedale Policlinico San Martino informa che si trova attualmente ricoverato a Genova presso il reparto di Malattie Infettive, diretto dal professor Matteo Bassetti, il primo paziente ad aver manifestato, in Italia e nel 2023, l’encefalite da ‘Toscana virus’. Si tratta di un giovane di 25 anni che si è recato al Pronto Soccorso dell’ospedale policlinico San Martino il 12 settembre con cefalea ingravescente associata a febbre. Dopo una tac e una risonanza magnetica, risultate entrambe negative, il paziente è stato sottoposto a una puntura lombare con la quale è stato possibile isolare il ‘Toscana virus’.

Rientrato da una vacanza, al momento dell’accesso il paziente ha riferito di punture di zanzara, senza tuttavia ricordare altre morsicature di insetti. Proseguirà nei prossimi giorni l’osservazione clinica. Oggi le sue condizioni di salute risultano in miglioramento tanto che è stata registrata la scomparsa di cefalea e febbre. 

Il ‘Toscana virus’ “è un arbovirus simile al West Nile, conosciuto fin dal 1971 quando venne isolato appunto in Toscana e viene trasmesso da flebotomi, da pappataci. Questo è il primo caso del 2023 e il paziente potrebbe esser stato contagiato durante le vacanze lontano da Genova”. Così il professor Matteo Bassetti, infettivologo e direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale Policlinico San Martino, spiega all’ANSA il Toscana Virus che ha portato al ricovero al San Martino del ragazzo di 25 anni con i sintomi di una encefalite.

“Bisogna saper cosa cercare – ha spiegato Bassetti -, la diagnosi non si fa in automatico. La ricerca sierologica del Toscana virus nel liquor è stata una perfetta intuizione che ci ha portato a capire di cosa si trattava”. Come per altri tipi di malattie infettive “non c’è una terapia specifica. In questo caso utilizziamo i sintomatici”.

“Ti supplico, non denunciarmi sono già nei guai per un’altra vicenda”

«Ti prego, non mi denunciare, sono già nei casini per un’altra questione». L’altra questione è quella dello stupro di gruppo, quella che coinvolge anche il figlio di Beppe Grillo. Questa la supplica di Francesco Corsiglia alla ragazza che una notte dello scorso luglio ha chiamato i carabinieri per segnalare che il giovane le aveva sollevato il top sulla pista da ballo dell’Estoril.  Lei, una 19enne, nuotatrice, genovese (di cui per ovvie ragioni non viene rivelato il nome), di fronte a quella frase di supplica non ha desistito. Anzi, forse per lei è stato un assist, ha rincarato la dose. Al cospetto dei militari ha confermato le molestie e l’indomani ha presentato formale denuncia alla caserma di Forte San Giuliano.

Corsiglia dal giorno dopo risulta indagato di violenza sessuale, anche se il pm Federico Panichi gli contesta la lieve entità. Il giovane ha ricevuto la notifica dell’Acip (Avviso Conclusioni Indagini Preliminari), seppure il suo avvocato Gennaro Velle – lo difende nel processo a Tempio Pausania per lo stupro di gruppo verso una ragazza italo-norvegese, del quale sono anche imputati gli amici Ciro Grillo, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria – l’altro ieri ha assicurato di non avere ricevuto nulla, lamentando che “in un Paese civile non è normale sapere le cose dagli organi di informazione”. Ieri, però, il procuratore capo Nicola Piacente ha chiarito che Corsiglia vive all’estero (in Spagna) e quindi la notifica, essendo un maggiorenne, non è stata fatta ai genitori, bensì ad un legale nominato d’ufficio. Quest’ultimo avrebbe dovuto informarlo.

In ogni modo, le molestie risalgono alla notte tra il 29 e il 30 luglio. Corsiglia, rientrato dalla Spagna a quanto risulta per passare un paio di giorni a Genova, quella sera era in discoteca. Qui ha conosciuto Alessia (nome di fantasia) che gli avrebbe confidato di avere un pearcing al seno. A quel punto l’infelice sbruffonata di sollevarle il top. Come risposta Corsiglia ha ricevuto un sonoro ceffone, lui ha tentato una reazione, mentre gli amici di lei gli si sono scagliati contro. Ne è nato un parapiglia, subito però sedato dai buttafuori. Non è finita. La ragazza ha fatto intervenire i carabinieri, che secondo il verbale di denuncia inoltrato alla Procura l’avrebbero trovata in evidente stato di agitazione. L’indomani la denuncia formale.

Nessun palpeggiamento, come era trapelato in un primo momento da fonti investigative. Per la legge, comunque, è violenza sessuale, seppure la contestazione della Procura contempli la “modalità attenuata” (ex articolo 660 del codice penale equiparato alla molestia sessuale). Un’imputazione che, comunque, complica non di poco la posizione giudiziaria del giovane, oggi 23enne. Corsiglia, figlio di un noto cardiologo genovese, nell’estate del 2019 si trovava in Sardegna, in vacanza. Insieme a Ciro, Edoardo e Vittorio, tutti suoi coetanei.

Nella notte tra il 16 e il 17 luglio, nella villetta di Cala di Volpe, in uso alla famiglia del fondatore del M5S, prima avrebbero stuprato Silvia (pure questo nome inventato) appena maggiorenne, poi fatto violenza sessuale alla sua amica Roberta, studentessa milanese con lei in vacanza in Costa Smeralda. Tutto documentato da foto e video prodotti e conservati nei telefonini dei giovani.

Per quella vicenda che ha sconvolto le vite di sei famiglie, sono stati indagati dal procuratore capo di Tempio Pausania, Gregorio Capasso. I quattro giovani genovesi sono difesi da un nutrito pool di avvocati: oltre a Velle ci sono Andrea Vernazza, Ernesto Monteverde, Alessandro Vaccaro ed Enrico Grillo (cugino di Beppe) del Foro di Genova; Mariano Mameli ed Antonella Cuccureddu del Foro di Sassari. Da oltre un anno sono a processo, e dopo avere ascoltato una trentina di testimoni, le udienze di venerdì e sabato prossimi vedranno in aula la seconda vittima: Roberta, difesa dagli avvocati Vinicio Nardo e Fiammetta Di Stefano del Foro di Milano. Successivamente sarà ascoltata Silvia, difesa dall’avvocato (e senatrice della Lega) Giulia Bongiorno e dal suo collega Dario Romano.

“Voglio vendicarmi”, disse Mahmoud: ma il giorno dopo venne ucciso

In quello scambio su WhatsApp poche ore prima di essere ammazzato c’è molto più dell’ultima disperata richiesta di aiuto della vittima. Nel messaggio vocale che Mahmoud Abdallà invia al suo ex datore di lavoro quando sta per essere brutalmente ucciso e mutilato, c’è una frase che conferma quanto i problemi nella barberia di Sestri Ponente non fossero legati solo a salari e turni massacranti. Perché è proprio la voce di Mahmoud a scandirlo, in un audio finito agli atti dell’indagine sull’assassinio del 19enne egiziano. Che dice: «Io di questo ragazzo voglio vendicarmi. Giuro che voglio vendicarmi fortemente, per le cose che sai».

“Questo ragazzo”, hanno chiarito gli inquirenti, è Abdelwahab Gamal Kamel, di 26 anni, detto Tito, il gestore del negozio di via Merano. In carcere come Mohamed Ali Abdelghani Ali, di 27 anni, alias Bob, che invece nel locale si occupava della contabilità.

Le indagini coordinate dal pm Daniela Pischetola e affidate ai carabinieri del Nucleo Investigativo, diretti dal colonnello Michele Lastella, hanno ormai appurato come i due abbiano teso una trappola a Mahmoud e lo abbiano ucciso a coltellate nella casa-dormitorio di via Vado. Poi, dopo averlo trasportato in una valigia a Chiavari, hanno decapitano il cadavere, mozzato le mani e gettato i resti in mare. La testa non è mai stata trovata.

Ma se per quanto riguarda il delitto resta “solo” da definire chi il 23 luglio abbia scagliato i colpi fatali – gli ultimi accertamenti sembrano attribuire le maggiori responsabilità a Tito, mentre Bob avrebbe bloccato il giovane – resta da sciogliere il giallo di quelle parole della vittima inviate ad Hamed, titolare di un negozio da parrucchiere in Centro Storico dove Mahmoud aveva lavorato fino al 2022.

È vero che in altri passaggi della conversazione con Hamed, Mahmoud ribadisce ciò che ormai è noto. E del resto la sua rabbia per essere sfruttato e sottopagato l’aveva già espressa di persona, quando i due si erano incontrati in città. Ma quel volersi vendicare per qualcosa fa ormai propendere per un episodio scatenante, un qualcosa che va ben al di là di logiche lavorative, per quanto “estreme”. Un episodio che aveva visto Mahmoud vittima, oppure testimone oculare. Tanto che, aveva già raccontato Repubblica, in quello scambio su WhatsApp non traspariva solo ira, ma anche angoscia: ««Ho bisogno di aiuto, di parlarti di quella cosa lì…», diceva Mahmoud. E l’altro: «Adesso non posso parlare… sono mal preso… ti richiamo io».

Nonostante gli inquirenti abbiano sentito a lungo Hamed, per ora la soluzione del giallo non è stata trovata. O quantomeno non è nota. Il parrucchiere del Centro Storico, appena saputo dell’omicidio, dall’Egitto ha chiamato i carabinieri. Una volta a Genova ha raccontato di conoscere la vittima da un paio d’anni, e di avere incontrato Mahmoud qualche settimana prima di partire per l’Egitto. Lì il ragazzo gli aveva appunto detto che voleva lasciare l’attività di Sestri Ponente e soprattutto gli aveva confidato le sue paure per via «dei problemi con Tito e Bob».

I due, in carcere uno a Cuneo e l’altro ad Ivrea, sono rispettivamente cugino e fratello di Aly, pure lui al momento del delitto in Egitto, da dove tramite gli avvocati Salvatore Calandra ed Elisa Traverso ha chiesto il dissequestro degli esercizi di Sestri Ponente e di Chiavari. Ma ha anche detto che «al momento non ha intenzione di tornare in Italia».

Stupro di Palermo, il preside del Nautico di Genova scrive agli studenti: “Non potevo stare zitto. La carne è carne solo se sei complice della violenza”

«Non potevo stare zitto dopo quello che è successo a Palermo. In queste situazioni bisogna prendere posizione, la scuola ha la responsabilità di formare i cittadini, le abbiamo nei confronti dei nostri studenti e delle studentesse».  A parlare è Paolo Fasce, preside dell’istituto Nautico di Genova e Camogli che dopo lo stupro di gruppo ha deciso di  inviare una circolare a tutta la comunità scolastica.  

«La carne è carne, solo se sei complice della violenza. Comunicazione N. 796». Comincia così, la lettera scritta dal dirigente dell’Istituto nautico di Genova e Camogli, Paolo Fasce, dopo lo stupro di gruppo a Palermo.

La comunicazione è diretta a  genitori, studentesse e studenti, personale scolastico. Fasce riporta nella circolare, in tutta la loro crudezza, le frasi scambiate in chat dai 7 ragazzi arrestati per la violenza.

L’obiettivo è sensibilizzare gli studenti del Nautico sul comportamento da tenere in caso si trovino a essere osservatori, anche lontani di situazioni del genere. «Assurge agli onori della cronaca l’ennesimo caso di stupro di gruppo», scrive Fasce. «Non mancano, anche d’estate, notizie su femminicidi e altri esempi di inciviltà maschile ed essendo lo scrivente dirigente scolastico di una scuola che ha ancora solo il 12% di studentesse sento la responsabilità, ancora una volta, di esprimermi su queste tematiche, autorizzato dal quadro di educazione civica che ogni membro del personale scolastico è chiamato a incarnare, ciascuno nelle rispettive responsabilità», spiega il preside.

Nella lettera sono presenti i crudi stralci delle chat e degli audio che alcuni dei ragazzi che hanno partecipato allo stupro di gruppo di una diciannovenne, la sera del 4 luglio, a Palermo, si scambiavano la sera della violenza e il giorno dopo. «Sono stati trascritti e riportati da alcuni mezzi di informazione», sottolinea il preside. «Ritengo utile pubblicarli perché non è escluso che nelle chat dei nostri figli appaiano commenti o considerazioni che, pur non essendo generati a valle di eventi del genere, possono essere bestialità equivalenti espresse in contesti non degni di attenzione penale, ma il salto in quella direzione è solo questione di casualità ed occasioni».

Dopo un riferimento anche a Lo stupro di Franca Rame, Fasce evidenzia che «ciò che mi aspetto dagli studenti dell’istituto nautico, alcuni dei quali per meri motivi statistici si troveranno in situazioni preliminari a questo genere di degenerazioni, è che svolgano attivamente il delicato ruolo di bonificatori». «Sminare il terreno dai discorsi che poi possono degenerare in atti depravati è molto più facile che opporsi quando queste situazioni si sono accese e, beninteso, se ci si ritrova in questo genere di contesti occorre frapporsi, se se ne ha la forza, o invocare le forze dell’ordine affinché intervengano, se questa non basta», scrive il dirigente. «Le silenziose azioni di prevenzione della degenerazione non consentono di raggiungere visibilità, like e approvazione collettiva perché, spesso, restano un atto privato invisibile. Restano però indelebili e senza prezzo nella coscienza di chi le compie. Essere coinvolti in questo genere di situazione e poi recriminare perché ci si è accodati ad altri è una mera scusa psicologica che ignora il fatto che nelle dinamiche di gruppo si è trascinati e si trascina e sottrarsi è questione di adultità. In altre parole, parafrasando uno degli stralci riportati dalle chat di quei poveri degenerati e dovendo essere chiari per non dare adito ad alcun equivoco – conclude – la carne è carne, solo se consideri il corpo di una donna come un oggetto o una “cosa”di cui disporre e se sei complice della violenza».

Bimbo malato di tumore ordina fuori orario, il Mc Donald’s di Genova Brignole riapre per lui

“E’ la notte di San Lorenzo e R., 9 anni, decide di ordinare un Happy Meal al Mc Donald’s. Fa l’ordine su Just Eat troppo tardi. Il locale stava chiudendo. Leggono però l’ordine: Reparto Oncologia, Ospedale Pediatrico Gaslini… Riaprono la cucina, inviano l’Happy Meal e mettono dentro non una ma tre sorprese”. A raccontare la vicenda sui social è stata l’infermiera pediatrica Miriam Virgola Cambera, con un post che in poche ore ha raggiunto quasi le 3 mila condivisioni e i 1500 “like”. L’infermiera, “clown dottore presso la fondazione Dottor Sorriso”, ha voluto esprimere la propria gratitudine “ai lavoratori del Mc Donald’s della Stazione di Genova Brignole. La notte dei desideri è anche e soprattutto in queste piccole grandi cose”.

Genova, bar rifiuta il pagamento con il bancomat Il cliente chiama la Finanza: multa da 30 euro

Entra in un bar per pagare con il bancomat ma il titolare si rifiuta e alla fine interviene la Guardia di Finanza che lo sanziona con trenta euro.

E’ successo nel bar Bixio di Genova, in zona Carignano, in tarda mattinata. «Sono entrato per pagare un tè, due canestrelli e un pezzo di focaccia per 5.70 euro e ho tirato fuori la carta ma il titolare mi ha detto che lui non avrebbe accettato il pagamento – racconta Lorenzo Tosa, giornalista, che ha condiviso la sua esperienza sui social – E quando gli ho fatto notare che non avevo contanti per saldare il conto mi ha detto di andarli a ritirare».

Proprio vicino all’entrata e alla cassa compaiono i cartelli con la scritta nero e stampatello “No bancomat” ma a quel punto il cliente ha ricordato al titolare che è tenuto ad accettare i pagamenti elettronici per legge e che se non avesse potuto usare il bancomat avrebbe chiamato la Guardia di Finanza, ma il barista non demorde: «ll bancomat non è un pagamento valido e se mi fanno la multa non ci sono problemi perché intanto vinco il ricorso».

La vicenda si conclude con l’arrivo della Finanza che sanzione il bar con una multa da 30 euro più il 4% dello scontrino: totale 30, 27 euro. «Una sanzione ridicola che non è certo un deterrente per chi continua a non rispettare la legge, probabilmente un costo calcolato. Forse la musica cambierebbe se si parlasse di 300 euro o cifre che possano essere un vero deterrente – conclude Tosa – Sono rimasto colpito come quel barista rivendicasse la sua scelta di non accettare il bancomat come una precisa volontà. Eppure se ogni giorno almeno quattro o cinque clienti si rifiutassero di pagare in contanti forse qualcosa cambierebbe».

Abbiamo provato a contattare il locale che ha confermato che in mattinata ci sono stati problemi con i pagamenti elettronici ma non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione.

A Genova quello del bar Bixio non è l’unico caso. Lo storico bar Mangini, in cima a via Roma, da anni non accetta i pagamenti elettronici . Sui tavolini del locale sono ben evidenti i cartelli con la scritta “No bancomat”.

Travolto da un pullman sulla A12 a Genova, muore il manager delle assicurazioni Gian Franco Baldinotti

Manager di successo, l’ultimo suo ruolo, quello ricoperto fino alle 15 di un lunedì d’estate, è stato “direttore marketing, comunicazione e customer care” di Vittoria Assicurazioni. Oltre a presidente di Vittoria Hub.

Ma la vita di Gian Franco Baldinotti, una laurea in ingegneria Meccanica, si è interrotta drammaticamente nell’autostrada A12, fra i caselli di Genova Est e Genova Nervi, in direzione Livorno. In un’altra giornata infernale sulle autostrade liguri. 

Secondo quanto ricostruito dalla polizia stradale, Baldinotti stava procedendo sulla linea di mezzeria. Non stava andando veloce, anche perché il traffico era ancora pesantemente condizionato da un altro incidente avvenuto in mattinata pochi chilometri più avanti, prima del casello di Recco.

Intorno alle 15, però, la sua moto ha urtato un’auto che stava viaggiando sulla corsia di sorpasso. Baldinotti, residente a Segrate, nel milanese, è caduto ed è finito sotto al pullman che invece procedeva su quella di marcia. Inutile l’intervento dei soccorritori.

Il manager aveva lavorato in diverse compagnie, e non solo nel campo assicurativo: oltre a Vittoria, era stato direttore marketing in Seat S.p.A. e responsabile service & content marketing in Virgilio.

La moto era una sua grande passione, tanto che aveva girato in lungo e in largo l’Italia a bordo della sua Harley Davidson. Il suo profilo Facebook racconta anche di un’altra passione, quella per la musica: aveva partecipato al mega evento Rockin 1000 di Firenze nel 2018 con la sua chitarra.

Oltre all’incidente in cui ha perso la vita Baldinotti, se ne contano altri quattro in provincia di Genova e in Liguria. Con pesantissime ripercussioni sul traffico cittadino.

Venditore travolto da un’onda, soccorsi all’opera ma era a casa. E’ successo a Riva Trigoso, l’uomo ha perso merce e soldi

Lieto fine per un intervento in mare alla ricerca del corpo di un venditore di cocco travolto da un’onda mentre tentava di attraversare, nonostante i divieto, sotto lo scalo Fincantieri di Riva Trigoso, in Liguria.

L’uomo dopo aver perso il cestino con i pezzi di cocco ed i soldi ricavati di una dura giornata di lavoro è riuscito a risalire da solo tornando nella sua abitazione di Chiavari.

Alcuni bagnanti non vedendolo però riemergere dal passaggio hanno allertato le forze dell’ordine che hanno raggiunto la spiaggia a borgo Renà immaginando il peggio.

Sono così intervenuti i vigili del fuoco, una squadra di sommozzatori, i vigili urbani, la capitaneria di porto con due mezio via mare e uomini a terra, mentre dal cielo in aiuto è partito da Genova l’elicottero dei vigili del fuoco che ha sorvolato lo specchio acqueo di Riva osservato da migliaia di bagnanti in apprensione.

A far scoprire che l’uomo in realtà era sano e salvo è stata l’analisi dei filmati delle telecamere di videosorveglianza della Fincantieri e del comune di Sestri Levante grazie alle quali i soccorritori hanno ripercorso i movimenti del venditore scoprendo che l’uomo si era salvato e sospendendo, dopo due ore, le ricerche.

Luca Bizzarri: “Povera Genova, per il suo sindaco la cultura è solo pesto e focaccia”

«Andiamo avanti così, e rischiamo di passare per davvero solo come la città del pesto, della focaccia, del tramonto sul mare. La verità è che anche in questa occasione Genova si è scoperta amministrata senza una minima visione culturale». Ritorna così, Luca Bizzarri, sulla bufera che ha investito Palazzo Ducale, la prima istituzione culturale della città. Dopo la decisione della Fondazione per la Cultura di deliberare il via al bando per la successione dell’attuale direttrice, Serena Bertolucci, e le polemiche seguite all’anticipazione di Repubblica sul suo mancato rinnovo, l’attore e ex presidente dello stesso Ducale ribadisce la sua analisi. «Non è questione di destra o di sinistra, è che in Italia la cultura viene sempre dopo tutto il resto».

Al netto di opportunità, modi, tempi della vicenda, sul caso del momento dal Ducale si fa notare come la stessa Bertolucci potrebbe ripresentarsi al bando per la direzione. La richiesta di provarci arriva da più parti. Deve pensarci?

«Mai mi permetterei di suggerire a Serena Bertolucci come affrontare scelte professionali come questa. Continuo però a notare come ai più sfugga il vero problema del caso. I problemi non sono di chi non viene rinnovato alla guida del Ducale, con il curriculum e le capacità che ha Serena può trovare un lavoro all’altezza di quello che lascia nel giro di un mese, forse meno: non è una vittima ed è l’ultima ad avere bisogno di un processo di martirizzazione. I guai sono tutti nostri, del Ducale, della città, dei genovesi, di chi punta a prendere pieno possesso dell’istituzione per poi gestirla con un presidente che decide e un direttore che esegue, e chissà con quali risultati. La perdita è nostra».

Cosa pensa ci dica, della città e del sistema cultura, questa vicenda?

«Che non esiste progettazione culturale, a Genova. Il sindaco ha le idee chiarissime su molte cose, ma sulla cultura no, non sa cosa sia. La sua idea di evento culturale è ferma al pesto e focaccia, al Confuego in maschera. Per questo si affida di volta in volta a chi pensa ne sappia, ma poi fa disastri. Serena al Ducale ha funzionato perché c’era dietro un progetto, e non solo per il Palazzo. Faceva rete, accentrava, è stata l’assessora alla cultura che non c’è, e non so chi potrebbe farlo, ora».

E del sistema cultura nel Paese?

«Che alla politica, per ignoranza, non interessa nulla della cultura. Marco Pannella diceva non ci può essere politica senza cultura, né cultura senza politica. Oggi come ministro abbiamo Gennaro Sangiuliano».

È questione di ignoranza della politica, o di una politica di destra che non si dimostra all’altezza?

«A destra, e mi stupisce ancora di più adesso, che avrebbero tutti gli spazi per fare altro, si finisce sempre sugli stessi. Come non bastasse essere di destra, ma servisse invece essere pure fedeli alla linea. I Morgan, gli Sgarbi, i Giubilei, che fa impressione venga considerato l’astro nascente degli intellettuali di destra. Ma in tanti casi continuo a pensare a sinistra non si faccia di meglio, anzi».

Da sinistra, a Genova, sul caso si inizia a prendere posizione ora, dopo qualche giorno di silenzio.

«Siamo abituati a veder fare di ogni cosa un caso politica, chissà perché a questo giro nessuno ha detto nulla».

Forse perché in molti vi pensano ancora come due dirigenti nominati da amministrazioni di destra.

«O forse perché i nuovi dirigenti del Ducale così estranei alla sinistra genovese non lo sono? Negli anni passati al Ducale io ho messo a disposizione il mio tempo e Serena ha fatto un lavoro per la città, non per la giunta, e i risultati sono visibili».

Il presidente Costa ha parlato della possibilità che Bertolucci rimanga come responsabile dei progetti Pnrr del Ducale.

«Vorrebbe dire dilatare i tempi, e spendere circa 100mila euro in più, pagando chi avrebbe fatto il lavoro gratis. In tempi di contributi pubblici che scarseggiano, non il massimo».

Medici contro Bassetti, in 123 chiedono all’Ordine di sottoporlo a procedimento disciplinare, lui replica: “Denuncio tutti”

E’ battaglia tra un nutrito gruppo di medici e il direttore della clinica malattie infettive del Policlinico San Martino Matteo Bassetti. In 123 professionisti hanno firmato una lettera indirizzata al presidente dell’Ordine della provincia di Genova, Alessandro Bonsignore, per chiedergli di sottoporre il collega a procedimento disciplinare dall’Ordine Professionale.

La richiesta è supportata da un lungo elenco di violazioni che, secondo i firmatari, sono state commesse dal celebre infettivologo, richiesta alla quale replica con un lungo tweet lo stesso Bassetti, parlando di un “gigantesco autogol” e preannunciando 123 denunce.

I medici che hanno firmato l’esposto nella lettera elencano “le violazioni alle più elementari norme del Codice Deontologico, a partire dal primo paragrafo del giuramento per cui il medico deve esercitare la professione in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento – così hanno scritto nella richiesta i firmatari – contrastando ogni indebito condizionamento che limiti la libertà e l’indipendenza della professione e di curare ogni paziente con scrupolo ed impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute”.

Tra le accuse principali quella di “aver attaccato i colleghi che volevano informare i loro pazienti sui vantaggi e svantaggi della inoculazione definendoli cattivi maestri” e l’aver “insultato i colleghi che in scienza e coscienza trattavano i loro pazienti con farmaci tradizionali (antinfiammatori, idrossiclorochina, cortisonici, eparina) poi rivelatesi estremamente efficaci alla pari di stregoni esaltando allo stesso tempo le linee guida ministeriali (paracetamolo e vigile attesa) violando il principio che obbliga un medico a non farsi condizionare dalla burocrazia o da conflitti d’interesse”.

Bassetti viene inoltre accusato di aver “propagandato la sicurezza e l’efficacia di un farmaco tutt’ora in via di sperimentazione (BionTech-Pfizer e Moderna)” oltre ad aver “ha offeso e denigrato illustri medici (Luc Montagnier per primo e per questo è stato condannato)” fino all’accusa di aver “ha prestato la propria immagine per pubblicità non di natura sanitaria (Facile Ristrutturare) ledendo il decoro dovuto alla figura del medico”.

Il contrattacco

La replica dell’infettivologo è durissima. “Ringrazio molto i 123 laureati in Medicina che mi hanno segnalato e denunciato all’Ordine dei medici di Genova _ scrive nel tweet _si sono fatti un gigantesco autogol”, perchè “grazie a quello che hanno scritto contro di me, contro la medicina dell’evidenza, contro i vaccini, contro l’operato mio e di molti colleghi, e a favore di farmaci e protocolli non approvati per la cura del Covid, hanno fornito a me e al mio avvocato la documentazione per denunciarli, uno per uno – preannuncia – ai loro rispettivi Ordini”.

“Finché si parla al bar o nei comizi è un conto, non quando lo si fa per iscritto”, precisa Bassetti. “Verba volant scripta manent”, quindi “grazie davvero a tutti i 123”, chiosa. “Non pensavo davvero si potesse arrivare a tanta bassezza”.

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