Inps, ecco quanto cresce la pensione grazie al cuneo contributivo

La decurtazione del cuneo contributivo ha avuto successo. L’Inps ha presentato il report dedicato ai temi della previdenza, all’interno del documento un aspetto cruciale riguarda il fatto che il taglio del cuneo fiscale abbia comportato un aumento di 100 euro per quanto riguarda le retribuzioni. Inoltre nel 2022 sono aumentati dell’8,1% gli assegni assistenziali. Ecco tutti i punti affrontati nella relazione dell’Istituto nazionale di previdenza sociale.

Il taglio al cuneo

Il vantaggio in busta paga in merito al taglio del cuneo fiscale è notevole. Fino al mese di dicembre è prevista una decurtazione di sei e sette punti in merito ai contributi fino a redditi rispettivamente di 35 e 25mila euro all’anno. Questo intervento riguarda una platea di 14milioni di dipendenti. In busta paga nel 2022 l’incremento era stato mediamente di 30-40 euro al mese in termini netti, nel mese di ottobre 2023 l’aumento ammonta a 100 euro lordi. Alcuni lavoratori hanno ricevuto un surplus di 125 euro e per chi ha un contratto full time il totale del bonus ammonta a circa 123 euro.

Le prestazioni assistenziali

In merito alle prestazioni assistenziali, come anticipato, nel 2022 si è verificato un incremento notevole. Inoltre all’interno del rapporto viene evidenziata una flessione del 3% in merito alle nuove prestazioni previdenziali. Questo dato è dovuto all’importante calo dei pensionamenti anticipati causato dallo stop dell’effetto Quota 100.

Opzione Donna

In merito alle uscite dal mondo del lavoro viene sottolineato che l’effetto della vecchia versione di Opzione Donna, ovvero 58 e 59 anni per il pensionamento rispettivamente nel settore pubblico e in quello privato, ha dato risultati per cui nel gennaio del 2023 gli assegni erogati ammontavano 16% e ne hanno beneficiato 175mila lavoratrici. Il trend è in discesa visto che nel 2023 la platea di donne che possono accedere alla misura è diminuita.

Pensioni anticipate

Un altro dato significativo riguarda i 315 miliardi in trattamenti pensionistici erogati dall’Inps. Più della metà della spesa è stata assorbita dalle pensioni anticipate e di anzianità. Inoltre una quota consistente è stata dedicata alle prestazioni di vecchiaia e agli assegni per i superstiti.

Pensioni, stretta sui maxi assegni e rivalutazioni più basse: parte la caccia alle risorse

Il termine usato dai tecnici del governo che stanno lavorando al dossier è «raffreddamento». L’inflazione continua a correre, e con lei tutto ciò che si adegua in automatico all’aumento dei prezzi. A cominciare proprio dalle pensioni. Già lo scorso anno Palazzo Chigi e Tesoro hanno “raffreddato” gli aumenti delle pensioni all’inflazione, garantendo il riconoscimento del 100 per cento dell’adeguamento al caro vita soltanto agli assegni inferiori a 4 volte il minimo. Parliamo di 2.100 euro lordi, che netti fanno poco più di 1.600 euro al mese.

 

Gli assegni “raffreddati”

Tutti gli altri assegni sono stati “raffreddati”. Quelli tra 4 e 5 volte il minimo, ossia fino a 2.620 euro lordi mensili (1.980 netti) sono stati adeguati all’85 per cento del caro-vita. Quelli tra 5 e 6 volte il minimo (3.150 euro lordi, 2.300 netti), si sono dovuti accontentare di una rivalutazione del 53 per cento. Tra sei e otto volte il minimo, ossia fino a 4.200 euro lordi mensili, che netti sono 2.940 euro, la rivalutazione è stata del 47 per cento, mentre tra otto e dieci volte il minimo, ossia fino a 5.250 euro lordi, che al netto delle tasse fanno 3.583 euro di pensione mensile, l’adeguamento si è fermato al 37 per cento. Fino ad arrivare alle pensioni oltre 10 volte le minime, che sono state “raffreddate” permettendo una rivalutazione solo del 32 per cento. Questo schema vale anche per il prossimo anno. Ma potrebbe non bastare. Entro il 20 novembre di quest’anno dovrà essere indicata la nuova percentuale di perequazione delle pensioni. Le prime stime sarebbero attorno al 5,5-6 per cento. L’adeguamento degli assegni peserebbe sulle casse dello Stato per almeno una decina di miliardi. 

 

La strettoia

Troppo in prossimità di una manovra che si preannuncia in salita e con la necessità di dover confermare il taglio del cuneo contributivo per il prossimo anno (o renderlo strutturale come vorrebbe il governo) e con l’idea comunque di rafforzare gli assegni minimi. Dunque le pensioni vanno “raffreddate” ulteriormente. In che modo? Innanzitutto rafforzando lo schema in vigore. Numeri definitivi non ce ne sono. Le riunioni tecniche sono in corso, e comunque si attendono i dati definitivi della Nadef sui conti pubblici. Ma tra le simulazioni che si fanno, c’è anche un limite più basso alle pensioni rivalutate totalmente. 

 

Lo schema del 2019

Magari tornando allo schema del 2019, che prevedeva un “raffreddamento” con un adeguamento al 97 per cento per quelle di 4 volte il minimo oggi adeguate al 100%. Se lo schema fosse questo, anche le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo sarebbero rivalutate meno, al 77 per cento contro l’attuale 85 per cento. Mentre dovrebbero essere ritoccate ulteriormente ribasso gli scaglioni più alti. Accanto a questo, però, ci sarebbe una nuova stretta sui maxi assegni, quelli sopra i 100 mila euro.

 

Rivalutazione azzerata

La rivalutazione potrebbe essere completamente azzerata, o potrebbe persino tornare in vigore il contributo di solidarietà dal 15 al 40 per cento sugli assegni più alti. La misura in realtà fu bocciata dalla Corte Costituzionale che disse che giudicò lesivo della Carta applicare il prelievo per un tempo di cinque anni. Ma questo non toglie che la misura possa essere introdotta “una tantum” soltanto per il prossimo anno. Servirebbe comunque per addolcire la pillola del “raffreddamento” degli assegni “medi” che probabilmente sarà necessario quest’anno per tenere sotto controllo i conti pubblici. Intanto oggi ci sarà anche una riunione congiunta, alla quale parteciperà anche il vice ministro dell’Economia Maurizio Leo, delle commissioni Irpef e Ires in vista della conclusione dei lavori tecnici pe la scrittura dei decreti attuativi della riforma fiscale. Il governo non ha ancora rinunciato all’idea di portare a casa un primo taglio dell’Irpef accorpando l’aliquota del 25% a quella del 23%. 

Smart working, proroga per i fragili se aumentano i casi Covid: la misura scade il 30 settembre

I contagi da Covid sono in netto aumento, ma il lavoro agile agevolato per i fragili del pubblico e del privato è ormai agli sgoccioli. Durerà fino al 30 settembre. Fino a pochi giorni fa un’ulteriore proroga era esclusa, ma il cambiamento del quadro epidemiologico ha rimesso inevitabilmente tutto in gioco. Dal ministero del Lavoro di Marina Calderone fanno sapere intanto che è ancora presto per prendere decisioni in merito allo smart working per i fragili, e che il dado verrà tratto solo dopo aver monitorato l’andamento dei contagi e alla luce di trend consolidati. Sulla stessa linea Palazzo Vidoni. Il ministro della Funzione pubblica Paolo Zangrillo, spiegano dal dicastero, è ovviamente al corrente del fatto che il lavoro agile semplificato per i fragili sia prossimo alla scadenza, ma un’eventuale proroga potrà essere presa in esame solo nei prossimi giorni, ovvero quando si saprà di più sull’effettiva gravità della situazione. Ci vogliono tra i 30 e i 50 milioni per prorogare lo smart working in versione automatica per i lavoratori che soffrono di determinate patologie. Nel complesso i dipendenti del pubblico e del privato che hanno sfruttato questa corsia preferenziale sono circa 800 mila. 

   

La scuola

La misura ha un costo soprattutto nel comparto scuola, dove con la riapertura delle classi lo Stato si ritroverebbe a pagare uno stipendio supplementare per ogni docente fragile a casa. Rientrano nella categoria dei fragili le persone con una marcata compromissione della risposta immunitaria, i pazienti in attesa di un trapianto d’organo, chi ha una patologia oncologica o onco-ematologica in trattamento con farmaci immunosoppressivi o mielosoppressivi o che è a meno di sei mesi dalla sospensione delle cure. È stato un decreto interministeriale (Lavoro, Salute, Pa) emanato all’inizio del 2022 a tracciare il perimetro delle patologie da bollino rosso. Vengono ritenuti lavoratori fragili anche quelli che soffrono di tre o più patologie tra cardiopatia ischemica, fibrillazione arteriale, scompenso cardiaco, ictus, diabete mellito, bronco-pneumopatia ostruttiva cronica, epatite cronica e obesità.

   

I criteri

A proposito: sui social sono spuntati diverse pagine dove si mettono in discussione i criteri utilizzati dal precedente governo per distinguere i fragili dai malati non gravi. Ma cosa succederà in caso di mancata proroga? In questo caso i fragili dovranno stipulare con il dirigente incaricato degli accordi individuali in linea con quanto previsto dal piano di organizzazione del lavoro dell’azienda o dell’amministrazione pubblica in cui prestano servizio. Dunque non significa che dal primo ottobre questa categoria di lavoratori dovrà necessariamente dire addio al lavoro da remoto.

 

Il privato

Nel privato, poi, il lavoro agile agevolato è stato esteso al 31 dicembre per i genitori con figli under 14. La norma si applica a condizione che il lavoro da remoto sia compatibile con le caratteristiche della prestazione che il dipendente-genitore deve fornire. Sul sito del ministero del Lavoro si legge pure che «il diritto di svolgere la prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile per i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano almeno un figlio, minore di 14 anni, viene riconosciuto a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito e che non vi sia un genitore non lavoratore».

 

Il pubblico

Nel pubblico, invece, dettano legge i Piao, i Piani integrati di attività e organizzazione dei singoli enti, che in alcuni casi (e in altri no) prevedono regole specifiche (e un preciso numero di giorni) per i genitori di under 14 che richiedono di lavorare da casa. Inoltre, il decreto Lavoro stabilisce che potranno accedere alla modalità di lavoro agile con procedura semplificata fino al 31 dicembre 2023 tutti i dipendenti che, sulla base di valutazioni mediche, risultano più esposti al contagio da Covid-19, a causa di diversi fattori tra cui l’età, l’immunodepressione e la comorbilità. 

Pensioni, cosa cambia? Quota 103 verso la conferma (per mancanza di fondi). Ipotesi rivalutazione degli assegni e innalzamento dell’età

Pensioni, cosa cambia con la riforma? Resta corta la coperta della manovra sulla previdenza ed è probabile che ci si limiti a conservare le misure introdotte per quest’anno, a partire da Quota 103, ovvero dall’accesso alla pensione con almeno 62 anni di età e 41 di contributi, con piccoli aggiustamenti. E non è escluso che ci possa essere un blitz sulla rivalutazione degli assegni. Con l’inflazione che resta alta (ad agosto l’acquisita per l’anno era al 5,7%) potrebbe essere rivisto al ribasso lo scaglionamento definito dalla scorsa manovra di bilancio con fasce calanti dal 100% al 32%. 

Gli incontri

Nell’incontro tecnico tra parti sociali e Osservatorio sulla spesa previdenziale sull’accesso alla pensione delle donne e sui lavori gravosi le parti hanno semplicemente ribadito le proprie richieste sottolineando l’assenza di un confronto politico, ormai necessario. Il prossimo incontro sarà il 18 settembre sulla previdenza complementare mentre il 20 sarà consegnata alla ministra Calderone la sintesi delle proposte in campo.

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Le opzioni

«Credo che oggettivamente ad oggi l’obiettivo – ha detto il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon intervenendo a Radio24 – sia quello di confermare quota 103, quota 41 con 62 anni, e vedere come l’Ape social si può allargare. Stiamo valutando – dice Durigon – come dare un ristoro alle donne. Questo governo non ha gestito Opzione donna come nella maniera precedente, perché crediamo che in quel caso ci sia stato oggettivamente tanto dispendio anche salariale per queste donne: il 30% in meno era davvero un esborso esoso».

 

L’ipotesi innalzamento dell’età

Una delle ipotesi potrebbe essere quella di ragionare sull’innalzamento dell’età (adesso fissata a 60 anni, con una riduzione prevista per i figli) per riallargare le maglie per l’accesso (adesso limitato alle donne licenziate, con invalidità o con carichi di cura). «Sono incontri finti, ha detto il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini in una intervista su Lastampa.it, basta essere presi in giro. Non hai un euro , non metti un euro, di cosa stiamo parlando?. Le promesse che questo Governo ha fatto in campagna elettorale oggi sono cose che non stanno in piedi, non c’è superamento delle Fornero, non ci sono i 41 anni, non c’è una pensione di garanzia. Siamo di fronte a una manovra, per ora per quello che si capisce che non è quella che a noi serve».

 

Opzione donna

La Cisl ha ribadito la richiesta al Governo sul ripristino della misura Opzione donna senza condizionalità (quindi aperta a tutti e non solo alle donne licenziate, con invalidità o con carichi di cura) e a partire dai 58/59 anni per il 2024 e il 2025. Per i lavori gravosi e usuranti la richiesta è di semplificazioni rispetto alla procedura di accertamento dei requisiti e l’equiparazioni degli elenchi per la pensione anticipata dei precoci e per l’Ape sociale. «Continua – sottolinea la Uil – il silenzio del Governo sulle pensioni. Chiediamo di utilizzare l’elenco dei lavori gravosi come uno degli strumenti per realizzare una flessibilità di accesso alla pensione intorno a 62 anni. Bisogna ripristinare Opzione donna nella versione originale e renderla strutturale».

La tentazione del governo: fare cassa sulle pensioni. Torna l’idea del freno all’indicizzazione, si salvano solo gli assegni più bassi

ROMA – Far cassa di nuovo sulle pensioni, rivalutandole solo in parte all’inflazione. Eccola la tentazione che per il secondo anno consecutivo il governo Meloni accarezza, alla vigilia di una legge di Bilancio complicata sul fronte delle coperture. Nel 2022 la decisione, tenuta coperta sino all’ultimo dal ministero dell’Economia, tagliò via dalla spesa previdenziale 10 miliardi in tre anni e quasi 37 miliardi nel decennio. Una mossa che fece tornare i conti di una manovra da 35 miliardi, coperta per due terzi in deficit. Quest’anno si punta a una finanziaria da 25-30 miliardi, ma il deficit non arriva neanche a un quinto. Urgono fondi.

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L’iter della manovra

«Prematuro fare ipotesi», si cautela il ministero dell’Economia. Manca ancora un mese alla definizione della Nadef, la nota che aggiorna il quadro macroeconomico dell’Italia, ovvero la previsione delle sue variabili fondamentali: Pil, deficit, debito. Subito dopo, entro metà ottobre, verrà definito il Dpb, il documento programmatico di bilancio da inviare a Bruxelles: lì si capiranno tutti i margini a disposizione dell’esecutivo di destra per la sua seconda manovra. Subito dopo il testo della legge di Bilancio – «la più politica tra le leggi che un governo possa fare», ha detto ieri la premier Meloni in apertura del Cdm – verrà inviato al Parlamento per la discussione e gli emendamenti.

Lo scambio intergenerazionale

Nei prossimi 45 giorni dunque i conti dovranno tornare, per forza di cose. E «le poche risorse che abbiamo – ha aggiunto la premier – devono essere spese al meglio, perché questo è un governo politico e i governi sono politici se scelgono». Possibile dunque che Palazzo Chigi scelga ancora il bacino delle pensioni per recuperare risorse da destinare a famiglie e lavoratori, l’obiettivo dichiarato da sostenere con la prossima manovra. Basta agire su fasce ed aliquote per incamerare miliardi. L’anno scorso si scelse di passare da un metodo più favorevole di rivalutazione all’inflazione (il “metodo Prodi” per scaglioni come l’Irpef, ripristinato dal governo Draghi) a uno meno favorevole (il “metodo Letta” per fasce).

Il risultato fu lusinghiero per le casse dello Stato. E le timide reazioni contrarie dei sindacati furono presto arginate e archiviate. Il bis quest’anno non è quindi impensabile, specie se motivato in chiave solidaristica come sostegno intergenerazionale dai nonni ai nipoti, dai senior alle famiglie. E se attuato poi in anni di alta inflazione. Le pensioni, a differenza degli stipendi, vengono rivalutate in automatico all’aumento dei prezzi. E lo fanno con dodici mesi di ritardo. Quest’anno per esempio hanno recuperato l’inflazione dell’anno passato: 8,1%, anche se manca ancora un piccolo conguaglio. Ma hanno avuto tutto, il 100% dell’inflazione, solo gli assegni fino a tre volte il minimo (2.100 euro lordi). Gli altri dall’80 al 35% in base a sei fasce: una pensione di 2.200 euro lordi ad esempio perde il 20%.

In bilico il recupero dell’inflazione 2023

Nel 2024 le pensioni dovranno invece recuperare l’inflazione di quest’anno prevista attorno al 5,7% dal Def di aprile. Se il governo non cambia nulla, si applicheranno le regole in vigore ora, quindi con il taglio in base alle sei fasce. Se invece Palazzo Chigi decidesse di intervenire, ad esempio aggiungendo altre fasce oppure abbassando la percentuale di rivalutazione, si creerebbero margini per incassi da usare a copertura della manovra. Dipenderà da quanto il ministero dell’Economia e la Ragioneria riusciranno a rastrellare da altri fondi non spesi dei ministeri, dai residui avanzati di vecchie o nuove misure che hanno avuto un tiraggio inferiore al previsto, dalla sforbiciata annunciata ai bonus fiscali. O dalle privatizzazioni, con un nuovo round di cessione di partecipazioni dello Stato non strategiche annunciate a sorpresa ieri dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

Va anche detto che quello delle pensioni è un campo minato. Impedire ad una platea di pensionati di fascia medio-alta di recuperare parte dell’inflazione significa penalizzarla in modo permanente. Perché il taglio di un anno comprime l’importo della pensione che l’anno dopo sarà sottoposta a rivalutazione. E così via. Un meccanismo passibile tra l’altro di intervento della Corte Costituzionale che in passato ha censurato tagli non mirati sulle pensioni, non circoscritti nel tempo e non giustificati da emergenze.

Arriva la nuova “No Tax area” per dipendenti e pensionati: cos’è e come funziona

All’interno della riforma fiscale 2023 è inclusa la cosiddetta “no tax area” per pensionati e dipendenti. Nello specifico la misura prevede l’introduzione di un’unica fascia di esenzione fiscale e privilegia l’equiparazione tra i redditi da lavoro dipendente e quelli provenienti dalla pensione. Ecco come funziona, a chi spetta e come cambia la “no tax area” rispetto alla normativa attuale.

La soglia

La soglia in merito alla “no tax area” prevista nella legge delega presentata alla Camera riguarda la fascia di esenzione fiscale dedicata ai contribuenti che percepiscono redditi fino al limite di 8.174 euro. Coloro che rientrano in questo limite non dovranno pagare tasse poiché l’imposta non è dovuta. La fascia unica di esenzione si basa sul principio di equità orizzontale, per il quale i soggetti che hanno la stessa capacità contributiva devono essere tassati in modo uguale.

No tax area 2023

Il testo della riforma fiscale esplicita anche le tipologie di reddito, nello specifico prevede l’applicazione progressiva della stessa area di esenzione fiscale e dello stesso carico impositivo Irpef, indipendentemente dalla natura del reddito prodotto. Una possibile modifica della misura per dipendenti e pensionati potrebbe ammontare a 8500 euro. In merito alla questione il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha affermato: “Vogliamo allineare i lavoratori dipendenti ai pensionati sulla no tax area sul livello più alto, che attualmente è quello dei pensionati”.

Come funziona oggi

Attualmente in base all’ordinamento vigente, la “no tax area” deriva dall’applicazione delle diverse detrazioni per lavoro dipendente, pensione o da lavoro autonomo, che diminuiscono al crescere del reddito. Oggi la soglia di reddito esente da imposizione, proprio come le detrazioni specifiche, varia in base alle diverse categorie di contribuenti. Per i lavoratori dipendenti il limite di reddito è individuato in 8.145 euro annui, per i pensionati in 8.500 euro e per gli autonomi in 5.500 euro. Infine la soglia per la “no tax area” ammonta a 16.340 euro per una famiglia monoreddito formata da due genitori e due figli, tenendo conto anche delle detrazioni per familiari a carico. In queste situazioni l’azzeramento dell’IRPEF include anche le addizionali regionale e comunale.

Pensioni, aumenti fino a 250 euro a settembre: a chi spettano e quando arrivano i pagamenti

Le pensioni di settembre 2023 saranno pagate seguendo il consueto ordine alfabetico per il ritiro alle poste. Chi lo riceve direttamente sul conto corrente bancario non dovrà fare nulla. Per il ritiro in contanti dei trattamenti pensionistici, degli assegni, delle pensioni e delle indennità di accompagnamento erogate agli invalidi civili, è possibile rivolgersi agli uffici postali presenti sul territorio

 

Gli aumenti

Una parte degli aumenti è relativa ai conguagli. Nei mesi scorsi, l’Inps ha proceduto al pagamento degli aumenti e degli arretrati spettanti ai pensionati. Ma gli effettivi incrementi delle pensioni sono scattati in ritardo, motivo per cui solo nel mese di settembre si potranno notare le differenze di importo e i conguagli. A settembre, chi percepisce la pensione minima potrà visualizzare l’amento di 1,5 punti percentuali se under 75 e di 6.64 punti percentuali se over 75 anni (e importo della pensione aumentato a 600 euro secondo quanto prevede la legge di Bilancio 2023). 

Gli aumenti si verificano a seguito del calcolo di eventuali pagamenti arretrati in conformità con la Legge di Bilancio e considerando la traiettoria dei modelli inflazionistici. Alcuni pensionati, quindi, potrebbero ricevere circa 250 euro di arretrati, che andranno a sommarsi alla loro pensione.

 

Gli arretrati

Nel cedolino di pensione di settembre ci saranno: le trattenute inerenti le addizionali comunali in acconto e in saldo, le addizionali regionali, eventuali detrazioni spettanti e l’Irpef. A molti pensionati, tuttavia, arriverà l’accredito (sole nel caso spetti) del 730 di dichiarazione dei redditi. In quale caso avviene la ricezione dell’accredito? Solo nel caso in cui sia stato presentato per tempo il modello e se il pensionato abbia scelto l’Istituto di previdenza quale sostituto di imposta.

 

Le date dei pagamenti

Il calendario delle pensioni seguirà il consueto ordine alfabetico per il ritiro alle poste. Chi lo riceve direttamente sul conto corrente bancario non dovrà fare nulla. Per il ritiro in contanti dei trattamenti pensionistici, degli assegni, delle pensioni e delle indennità di accompagnamento erogate agli invalidi civili, è possibile rivolgersi agli uffici postali presenti sul territorio. Ecco le date. 

 

Il calendario

– venerdì 1° settembre: cognomi da A a B;

– sabato 2 settembre (solo mattina): cognomi da C a D;

– lunedì 4 settembre: cognomi da E a K;

– martedì 5 settembre: cognomi da L a O;

– mercoledì 6 settembre: cognomi da P a R;

giovedì 7 settembre: cognomi da S a Z.

Giorgetti, addio all’abolizione della legge Fornero sulle pensioni e addio alla flat tax: finalmente un po’ di realismo

Dopo l’umiliazione ricevuta dalla premier Giorgia Meloni e dal suo capocordata leghista Matteo Salvini sulla extratassa sulle banche, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti rialza la testa. L’aveva già fatto nel fine settimana sponsorizzando apertamente la candidatura del suo predecessore Daniele Franco nel board della Bce, ma lo ha fatto ancor di più ieri al Meeting di Cl di Rimini avvertendo che la prossima manovra di bilancio, dove bisognerà trovare almeno 30 miliardi senza fare deficit, “sarà complicata” e che i sogni elettorali della Lega e di Fratelli d’Italia dovranno restare nel cassetto. Per fortuna. Le poche risorse disponibili saranno destinate ai redditi medio-bassi e alla crescita ma di pensioni e di flat tax non se ne parla. L’abolizione della legge Fornero e l’abbassamento dell’età pensionistica non è più in programma: “Nessuna riforma previdenziale può reggere con i nostri numeri della natalità” avverte il ministro che manda in archivio anche i sogni della destra sulla flat tax. Bravo Giorgetti, finalmente un bagno di realismo. Ora bisognerà vedere se la Meloni e soprattutto Salvini, alla patetica ricerca di recuperare consensi elettorali a tutti i costi, reggeranno. Ma il primo passo di Giorgetti va nella direzione giusta.

Andare in pensione a 63 anni: ecco come fare

È possibile andare in pensione a 63 anni con 30, 32 o 36 anni di contributi. Ci sono delle situazioni specifiche nelle quali è prevista l’uscita anticipata dal lavoro nonostante non si rispettino le cifre di Quota 103 con i requisiti precisi per età anagrafica e contributi versati. Una di queste soluzioni riguarda l’Ape sociale che consente il pensionamento prematuro se si rientra in alcuni parametri. Ecco tutte le possibilità in merito alla misura.

La riconferma dell’Ape sociale

È in arrivo la prossima legge di Bilancio che molto probabilmente porterà alla riconferma dell’Ape sociale, ovvero l’indennità garantita dallo stato ed erogata dall’Inps, a lavoratori in stato di difficoltà, che chiedano di andare in pensione al compimento dei 63 anni. La misura è stata istituita dall’articolo 1, commi da 179 a 186, della legge di bilancio 2017. I percettori non devono essere già titolari di pensione diretta in Italia o all’estero. Inoltre l’indennità decorre dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda di accesso al beneficio. Per accedere allo scivolo pensionistico, poi, il lavoratore non deve più prendere la Naspi da 18 mesi. Può richiedere lo strumento anche chi si trova nella situazione di disoccupazione, di invalidità per almeno il 74% o sia un caregiver.

A chi verrà estesa

L’Ape sociale potrebbe essere estesa anche ad altri beneficiari, tra questi anche le donne che riuscirebbero ad andare in pensione in via anticipata e così si andrebbe incontro a un eventuale stop a Opzione donna. La misura potrebbe infatti riguardare anche altre categorie di lavoratori. Un esempio specifico di chi può effettivamente accedere alla pensione a 63 anni è quello di un dipendente del settore edile che avendo 32 anni di contributi può scegliere di accedere all’Ape sociale. In questo caso, però, il soggetto in questione deve aver praticato la professione appena citata negli ultimi dieci anni lavorativi e per più di sette anni.

I requisiti per i dipendenti edili

Come anticipato nell’esempio appena citato sono necessari 63 anni e 32 di contributi per i dipendenti delle imprese edili e affini. Questi soggetti devono rientrare nel codice Ateco 6.3.2.1.2 dell’Istat. La misura riguarda anche per i conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica o terracotta, con codice Ateco 7.2.3.3. È necessario che l’impresa presenti all’Inps il modello AP 116 al fine di effettuare la corrispondenza del codice Ateco. Per gli edili il rapporto di lavoro, però, deve essersi concluso per licenziamento, dimissioni collettive o per giusta causa, risoluzione consensuale oppure per la conclusione del rapporto di lavoro a termine nei precedenti 36 mesi.

Tassa sugli extraprofitti delle banche, in arrivo una lettera della Bce: “Netta censura al provvedimento”

La lettera sarebbe in partenza e non conterrebbe parole tenere. Mittente la Banca Centrale Europea, destinatari Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia. L’oggetto? La tassa sugli extraprofitti delle banche approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 8 agosto. Lo riporta il Corriere della Sera, secondo cui l’arrivo della missiva sarebbe “questione di giorni, un paio di settimane al massimo”. 

Tassa sugli extraprofitti: la lettera della Bce

La lettera esprimerebbe una “netta censura” al provvedimento che, secondo la numero uno della Banca Centrale Europea Christine Lagarde, potrebbe essere “potenzialmente dannoso per l’economia e il credito”. Secondo la Bce, inoltre, sarebbe sbagliato intervenire d’autorità sui margini di interesse delle banche, “perché non si considerano i costi, e si indebolisce la loro capacità di resistere ad eventuali shock”, scrive il Corriere

Le critiche riguarderebbero anche il metodo seguito dal Governo. Le contestazioni, in questo caso, sarebbero relative alla mancata comunicazione preventiva alla Banca d’Italia e a Francoforte. Secondo la Bce, inoltre, sarebbe sbagliato intervenire d’autorità sui margini di interesse delle banche, “perché non si considerano i costi, e si indebolisce la loro capacità di resistere ad eventuali shock”, scrive il Corriere

Dubbi anche sulla decisione di destinare il ricavato della tassa ad obiettivi generali di bilancio e non al rafforzamento delle garanzie sui depositi o a fondi per le risoluzioni bancarie. 

Il Sole 24 ore riferisce comunque che “non si tratta di un’iniziativa” di Francoforte. La presidente Lagarde avrebbe ricevuto la settimana scorsa (e quindi a posteriori) “la richiesta ufficiale di consultazione” da parte del ministro italiano delle Finanze, secondo quanto previsto dalla normativa europea che stabilisce che le autorità nazionali debbano consultare la Bce “su ogni progetto di disposizioni legislative che rientri nelle sue competenze ai sensi del trattato” e, in particolare, per quanto riguarda anche “le norme applicabili agli istituti finanziari nella misura in cui esse influenzano la stabilità di tali istituti e dei mercati finanziari”.

Maggioranza divisa sulla tassa

La lettera della Bce potrebbe scaldare ulteriormente i malumori interni alla maggioranza. Se Meloni si è intestata la maternità della tassa, Forza Italia in più occasioni ha criticato il provvedimenti, alzano progressivamente i toni. Pochi giorni fa, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha anticipato: “Presenteremo degli emendamenti in Parlamento. Credo che si possa trovare un’intesa” col resto del governo, “noi vogliamo trovare una intesa perché riteniamo che una norma scritta bene possa aiutare famiglie, imprese, consumatori e piccoli azionisti e non mettere in difficoltà il sistema bancario, soprattutto quella parte che non è sottoposto al controllo da parte della Bce”.

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