Quali sono i documenti necessari per andare a Londra?

I documenti per andare a Londra sono diventati un tema “caldo” da qualche anno a questa parte, con l’entrata in vigore della Brexit, le procedure di viaggio hanno subito alcune modifiche significative. È essenziale essere preparati con la documentazione corretta per evitare ritardi o inconvenienti.

Le regole possono variare a seconda della cittadinanza e del motivo del viaggio, quindi è consigliabile fare riferimento alle fonti ufficiali per ottenere informazioni aggiornate. In un’epoca in cui la mobilità e l’apertura al mondo sono più importanti che mai, capire quali documenti sono necessari per attraversare le frontiere è un passo fondamentale per chiunque desideri viaggiare o persino trasferirsi all’estero.

Cosa serve per andare in Inghilterra dopo la Brexit?

La domanda che molti viaggiatori si pongono, mentre cercano di navigare tra le nuove normative di viaggio, riguarda proprio cosa serve per andare in Inghilterra dopo la Brexit. Già dal 1° ottobre 2021 le procedure sono cambiate e una buona dose di preparazione è essenziale per evitare complicazioni.

Riguardo ai documenti per andare a Londra nel 2023, ce ne sono alcuni obbligatori, da tenere a portata di mano. In primo luogo, il possesso di un passaporto è un requisito fondamentale per i cittadini italiani. Occorre assicurarsi che sia valido per tutta la durata del periodo di permanenza a Londra, così come sul territorio dell’Inghilterra e dell’Irlanda del Nord, il passaporto è necessario anche per il transito aeroportuale.

Documenti per andare a Londra nel 2024

Non è tutto: sembrerebbe che tra i documenti per andare a Londra nel 2024 ci sarà anche l’ETIAS, il Sistema Europeo di Informazione e Autorizzazione ai Viaggi, destinato ai cittadini esenti da visto, quindi anche quelli italiani. Questo sistema richiede una registrazione online prima del viaggio e, forse, il pagamento di una quota, come avviene con l’ESTA per entrare negli Stati Uniti.

Quest’autorizzazione necessaria per la Gran Bretagna dovrebbe essere denominata ETA (Electronic Travel Authorisation). Inoltre, al momento, anche se la tessera sanitaria europea rimane valida, è consigliabile avere un’assicurazione sanitaria supplementare quando si viaggia nel Regno Unito. Anche se adesso è chiaro quali sono i documenti per andare a Londra, occorre tenersi aggiornati sulle normative in costante evoluzione per intraprendere spostamenti agevoli e senza intoppi.

Come andare a Londra senza passaporto nel 2023?

La domanda è legittima, considerando i cambiamenti nelle normative di viaggio a seguito della Brexit. Per i cittadini italiani, e la maggior parte dei viaggiatori, il passaporto è il documento essenziale per recarsi a Londra, tuttavia, ci sono alcune eccezioni importanti: coloro che hanno aderito allo EU Settlement Scheme, lavoratori transfrontalieri, cittadini UE con permesso per ricongiungimento familiare all’interno dello EU Settlement Scheme e cittadini UE con permesso per trattamento sanitario nel Regno Unito possono continuare ad utilizzare la carta d’identità.

È fondamentale conoscere i dettagli specifici delle normative e assicurarsi di avere la documentazione corretta in base alla propria situazione personale. Informarsi e prepararsi in anticipo i documenti per andare a Londra è la chiave per un viaggio di successo a Londra.

I documenti per andare a Londra per minorenni

Altro tema fondamentale: i documenti per andare a Londra per i minorenni. Dal 26 giugno 2012, tutti i minori italiani che si spostano devono essere muniti di un documento di viaggio individuale. Questo significa che anche i minori precedentemente iscritti sui passaporti dei genitori devono ora avere un passaporto individuale. Inoltre, è possibile richiedere che i nomi dei genitori vengano riportati sul passaporto dei minori per facilitare l’espatrio.

Fino al compimento dei 14 anni, i minori possono viaggiare a condizione che siano accompagnati da almeno un genitore o da chi ne fa le veci, oppure che il nome della persona a cui sono affidati sia menzionato sul passaporto o su una dichiarazione di accompagnamento vistata da un’autorità competente.

Dal 4 giugno 2014, la dichiarazione di accompagnamento può riguardare un solo viaggio con destinazione determinata e non può superare, di norma, il termine massimo di sei mesi. Genitori o tutori possono indicare fino a due accompagnatori che si dovranno alternare tra di loro.

Quando serve il visto per andare a Londra?

È una domanda fondamentale per chiunque stia pianificando un viaggio nel Regno Unito. La buona notizia è che i cittadini italiani che visitano Londra per turismo non hanno bisogno di un visto, a condizione che il loro soggiorno non superi i 6 mesi.

Tutto molto bello: però, a seguito della Brexit, sono state introdotte nuove normative per i visti lavorativi e per studio. Un visto lavorativo è richiesto per svolgere qualsiasi occupazione nel Regno Unito, mentre un visto per studio è obbligatorio per alcune attività scolastiche e universitarie, a meno che i cittadini europei non risultino già residenti nel Paese al 31 dicembre 2020. È fondamentale consultare il sito ufficiale del governo britannico per ulteriori dettagli e requisiti specifici.

Va notato che ci sono alcune “permitted activities“, le quali consentono l’ingresso nel Regno Unito senza visto. Tuttavia, queste attività sono limitate e non includono la ricerca di un impiego temporaneo, l’effettuazione di tirocini o forme di collaborazione domestica. La violazione delle normative sull’immigrazione britannica può comportare sanzioni, compreso il respingimento alla frontiera o la detenzione amministrativa. Pertanto, per chiunque desideri viaggiare a Londra, è essenziale avere consapevolezza dei requisiti relativi ai visti e pianificare di conseguenza la propria esperienza nella City.

La nuova arma del Fisco per stanare i truffatori

Il Fisco ha una nuova arma. Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza stanno effettuando alcune analisi attraverso l’intelligenza artificiale. Entrambi gli enti utilizzeranno le informazioni inserite nelle banche dati che verranno integrate alle informazioni incluse nei file XML della fatturazione elettronica. La collaborazione tra fiamme gialle e Entrate viene descritta nello schema di decreto attuativo di riforma dell’accertamento in merito alle attività di analisi del rischio. Ecco tutte le possibili novità.

Le novità

Nella misura sono previste unità integrate di analisi del rischio con dati provenienti sia dall’Agenzia delle Entrate che dalla Guardia di Finanza. Questo consentirà di incrementare le possibilità dell’Amministrazione finanziaria di contrastare i fenomeni lesivi per l’erario. Inoltre verranno evitati doppi investimenti in termini umani e infrastrutturali. La riforma fiscale specifica che all’attuazione delle disposizioni in materia di analisi del rischio non possono essere richiesti più versamenti di denaro da parte della finanza pubblica in merito a determinati settori.

La cooperazione

Le Fiamme Gialle avranno accesso all’anagrafe tributaria e potranno effettuare interconnessioni tra le varie banche dati che la compongono e anche tra archivi esterni e registri pubblici, o pubblicamente disponibili. L’obiettivo è sempre quello di svolgere attività di analisi del rischio fiscale e di controllo tributario. Le Entrate, invece, deterranno l’onere di svolgere attività di stimolo dell’adempimento spontaneo e di erogazione di servizi ai contribuenti. Le due potranno operare sia congiuntamente che separate grazie a specifici protocolli d’intesa.

La questione privacy

La Guardia di Finanza ha specificato che verranno applicate le limitazioni e le modalità di esercizio dei diritti di cui agli articoli 15, 17, 18, 21 e 22 del regolamento (UE) 2016/679. L’obiettivo è quello di assicurare che questo esercizio non possa causare un pregiudizio concreto all’obiettivo di interesse pubblico. In ogni caso vengono previste alcune limitazioni e deroghe che mireranno a salvaguardare sempre di più la privacy dei contribuenti con un’attenzione specifica ai diritti e alle limitazioni in merito all’impiego dei dati. In questo frangente è molto importante l’osservanza del Regolamento UE in materia di trattamento dei dati personali.

Ecco i mestieri più richiesti nel 2023, e ti pagano un sacco di soldi

Quali sono oggi i mestieri più richiesti?

Avere un’idea di quali siano, oggi, i mestieri più richiesti sul mercato ci permette di trovare immediatamente lavoro se abbiamo le skill adeguate. Ma permette anche a chi oggi studia ed è in periodo di formazione, di fare scelte oculate e lungimiranti per trovare facilmente lavoro in futuro e avere, molto probabilmente, posti di lavoro più remunerativi.

Quando parliamo dei lavori che oggi, sul mercato italiano, sono più richiesti ci riferiamo sia alle aziende private che agli enti privati. Ma anche alle grandi aziende di stato (che stanno quindi tra il settore pubblico e quello privato). Si potrebbe fare anche un discorso più ampio che comprenda tutta l’Unione europea, visto che per noi italiani è molto facile lavorare in un altro Paese membro. Ma atteniamoci d’ora in poi al mercato italiano.

Secondo uno studio recente pubblicato da Anpal e da Unioncamere le lauree più richieste sul mercato (nel periodo che va da oggi al 2025) sono soprattutto di quattro tipi. Di tipo economico e statistico, di tipo giuridico, di tipo medico-sanitario e infine le lauree in ingegneria.

Per chi oggi, quindi, si trova a scegliere un percorso di studi il messaggio è chiaro: per avere più opportunità lavorative una volta finiti gli studi (sia di triennale che di laurea specialistica) l’ideale è puntare su questi quattro ambiti. Il primo in assoluto è l’ambito economico e statistico, che secondo Anpal e Unioncamere da qui al 2025 richiederà di ben 40 mila unità in più.

Al secondo posto troviamo invece l’ambito giuridico che richiederà nello stesso periodo di tempo circa 39 mila unità in più; poi quello medico-sanitario che richiederà nei prossimi anni circa 35 mila unità aggiuntive totali e infine quello ingegneristico, con un fabbisogno di circa 33 mila assunti in più.

Sono dati che danno un quadro molto chiaro rispetto a quali siano le tendenze economiche del nostro Paese. E sono anche dati utilissimi a chi vuole fare oggi scelte oculate rispetto al proprio futuro lavorativo, e quindi anche economico.

Paura e delirio a Le Breuil – pardon, Cervinia

Quando, ormai vent’anni fa (dannazione) avevo il privilegio di passare qualche giorno dell’inverno a Cervinia, complice il sodalizio con un amichetto dotato di genitori assai facoltosi, di culture wars non si parlava: non avremmo quindi avuto un termine per definire la varietà e ampiezza di reazioni scatenate dalla notizia che la rinomata località valdostana avrebbe cambiato nome, diventando ufficialmente Le Breuil.

Il nome francese già allora compariva, seppure in forma leggermente diversa (“Breuil”) sulla cartellonistica del paese, tra Suv e lastroni di ghiaccio, ma non era che un tocco esotico di cui quell’enclave di privilegio sciistico poteva fregiarsi. Il passaggio alla sola denominazione francese, invece – decisa da una ricerca toponomastica avviata nel 2011 dal comune di pertinenza, quello di Valtournenche – è stato accolto come un atto di guerra, uno sfregio all’italianità, prima del dietrofront che l’ha scongiurato.

L’attuale sindaca di Valtournenche, Elisa Cicco – che è in carica da maggio, quando la decisione era già stata ratificata in consiglio comunale – aveva comunicato subito la sua contrarietà, mettendosi alla testa dei rivoltosi e spiegando che erano state «avviate le procedure per ripristinare il nome di Breuil-Cervinia».

Se ve lo state chiedendo: sì, certo, si è parlato anche di politicamente corretto e cancel culture. Perché farceli mancare? Il partito Fratelli d’Italia ha destinato alla vicenda una nota sgomenta: «Esprimiamo vivo stupore e sgomento poiché il brand Cervinia è noto in Italia e nel mondo e un così drastico cambiamento, frutto evidente di un’ideologia fuori tempo, spazio e luogo non può che nuocere al settore turistico alberghiero e all’immagine di tutta la Valle d’Aosta», hanno scritto Alberto Zucchi, coordinatore regionale per la Valle d’Aosta di FdI, e il deputato Matteo Rosso.

La ministra del turismo Daniela Santanché è andata oltre, come suo solito, adducendo in un video-commento indignato pubblicato sul suo profilo Instagram che «cambiare il nome e farlo perché risale al ventennio fascista è una cosa incommentabile. Le follie del politicamente corretto arrivano a questo».

«Politicamente corretto» o meno, è vero che il nome di Cervinia è tale dal 1934, quando la politica del Ventennio mirava a “italianizzare” i toponimi stranieri delle località di confine, ma nel dialetto locale si è sempre parlato di Breuil. Il che non giustifica lo sventato cambio di nome, ma spiega il punto d’approdo della ricerca toponomastica. L’ex sindaco di Valtournenche Jean Antoine Maquignaz, che aveva ratificato la svolta, ha spiegato che «nessuno ha mai voluto cancellare Cervinia. Tutti i cittadini vogliono mantenere Breuil-Cervinia, anche l’amministrazione precedente e quella attuale».

Insomma, una grande vittoria per il Made in Italy. E per fortuna: nelle poche ore trascorse prima della notizia del ripristino del nome di Cervinia, oltre agli appelli ministeriali in visone, erano nate petizioni su Change e una rivolta collettiva dei valligiani, compresi quelli che, racconta il Corriere della Sera, «su una Panda blu» hanno riconosciuto l’ex sindaco Maquignaz in paese e gli hanno urlato «non cambiate il nome!».

In ogni caso, all’estero, e soprattutto negli Stati Uniti, la politicizzazione della toponomastica è un tema centrale da anni: durante la presidenza di Donald Trump, il presidente stesso si è schierato apertamente contro la proposta valutata dal Pentagono di ridenominare le basi militari intitolate a generali confederati dell’epoca della guerra civile. «La nostra storia da Più Grande Nazione del Mondo non verrà manomessa. Rispettate i nostri Militari!», aveva scritto Trump sull’allora Twitter nel 2020. Chissà cosa direbbe di Le Breuil – pardon, Cervinia.

Cala l’acquisto di carni rosse, pesce, frutta e gastronomia. E la Coop “restituisce” ai soci 30 milioni di utili

Le carni rosse che cedono il posto a quelle bianche in un carrello più povero anche di pesce, prodotti del banco gastronomia, frutta e verdura. E più carico, invece, di prodotti più economici. Un cambio di scelte, quello al supermercato, che guarda al risparmio. Non una sorpresa, considerando la corsa dell’inflazione degli anni recenti e il rincaro, generalizzato, dei beni. Ma che ora ha un fondamento anche nei dati, quelli che ha raccolto Unicoop Firenze paragonando gli scontrini del 2019, l’ultimo anno pre-pandemia, col 2023.

E da cui emergono vari aspetti. Il primo è che c’è stato uno spostamento sui prodotti a marchio Coop (per i quali è stata ampliata l’offerta negli ultimi due anni), con un aumento del +26,3% rispetto a quattro anni fa. A contrarsi, invece, i beni che rientrano nella categoria dei freschissimi e quindi l’ortofrutta (-1,7%) e ancora di più gastronomia (-4,1%) e pesce (-5,1%). Sulla carne, invece, ci sono due dati contrapposti. Quelle rosse sono diminuite del — 3,1%, le bianche, sono aumentate dell’8,8%.

Un cambio di consumo importante, perché, sommandoli, è come se tutti quelli che un tempo acquistavano pesce e carni rosse si fossero “spostati” su quella bianca. Non solo. A conferma di una tendenza a spender meno c’è anche un numero legato ai prodotti primo prezzo, che nel 2023 segnano un +4,5% (e +1,9% per gli Spesotti, la nuova linea, più economica, a marchio lanciata a settembre). “C’è un dato che ci ha colpito: l’Istat ha rilevato che i consumi a commercio al dettaglio a settembre fanno registrare una regressione del — 4,4% — spiega Michele Palatresi, presidente del consiglio di gestione di Unicoop Firenze — . Questo fa il paio con un arretramento del carrello: sempre più persone si stanno rivolgendo non solo alla fascia bassa ma anche ai prodotti di private label, per noi la linea a marchio ha raggiunto un’incidenza di quasi un terzo degli acquisti, incrementando il suo movimento del 13% in un anno. Le persone fanno i conti con un’economia domestica sempre più difficile”.

A supporto di questo anche l’ultimo rapporto Caritas, che in Toscana, nel 2022, ha assistito 28.142 famiglie, cioè l’1,1% dei residenti. Non poco, considerando che la media nazionale è dell’1%. Di queste, il 30,2% sono nuove richieste. Il 18,2% ha, invece, una storia assistenziale di 1-2 anni. E nel rapporto si spiega che tra chi si rivolge ai centri Caritas (in Toscana sono 2.855) ci sono sì i disoccupati, ma anche persone che un lavoro ce l’hanno. Ma che è spesso precario o poco qualificato. “La curva di aumento, generata dalla pandemia, delle persone che si sono rivolte ai nostri centri ascolto si è leggermente attenuata ma non è calata, significa che le persone che chiedono aiuto sono ancora in crescita, c’è un 20% di crescita sull’anno precedente — spiega il direttore della Caritas Toscana don Emanuele Morelli — . C’è una percentuale di stranieri molto alta, ma aumenta anche la componente italiana. 28mila famiglie significano 43mila persone, più dei residenti di Piombino, Pontedera o Cecina. È una città intera”.

Di fronte a questi dati, allora, Unicoop Firenze ha pensato a un’iniziativa che varrà per tutto il mese di dicembre. In sostanza, per i soci, tutta la spesa verrà scontata del 10%, inclusi i prodotti già in promozione e mantenendo, in parallelo, le altre iniziative, come gli sconti del trimestre anti-inflazione e i mille prezzi bloccati fino al 31 dicembre. L’investimento per l’operazione “meno 10%” Unicoop la stima — in base agli acquisti del dicembre 2022 — in circa 30 milioni, ossia quanto l’utile (al netto delle imposte) dello scorso anno. “Volevamo dare una risposta a un’inflazione elevata. Abbiamo cercato di contenerla con varie iniziative, stavolta ne vogliamo fare una più consistente. E semplice, dal punto di vista della meccanica. Lo facciamo perché siamo una cooperativa, vogliamo restituire ai soci ciò che è necessario — spiega la presidente del Consiglio di sorveglianza di Unicoop Firenze Daniela Mori — . I numeri Caritas ci raccontano un Paese e una Toscana dove la povertà alimentare colpisce nuove fasce di popolazione e aggrava irrimediabilmente la condizione dei più fragili: più giovani e anziani, famiglie numerose, i tanti precari”.

Occhio alla busta paga di dicembre: arrivano buonus e aumenti | La guida completa

Dicembre sarà un mese particolarmente interessante per i bonus in busta paga. Sono diverse le agevolazioni che i lavoratori otterranno tra sgravi contributivi, maggiorazioni per coloro che lavorano durante le festività e l’aumento dell’indennità di vacanza contrattuale per i dipendenti pubblici. Ecco tutte le misure in arrivo.

Agevolazioni e tassazione

Sono previste alcune agevolazioni per i datori di lavoro che scelgono di dare un extra ai dipendenti. Nel mese di dicembre ci sarà la possibilità di erogare un premio di produzione che, se rientra nei 3mila euro lordi, verrà tassato al 5% e non al 10%. In merito ai premi di produttività è quindi prevista una tassazione agevolata. Anche per i fringe benefit, come il rimborso di bollette di luce e gas, è previsto uno sgravio fiscale fino a 3mila euro per i lavoratori con figli a carico

Lo sgravio fiscale

Dal mese di luglio 2023 si può usufruire di uno sgravio fiscale che contribuisce a diminuire la quota di contributi che il lavoratore deve versare. Questa viene portata dal 9,19% al 2,19% nel settore privato mentre nel pubblico passa dall’8,80% all’1,80% per gli stipendi che non superano i 1.923 euro mensili. Mentre la percentuale sale al 3,19% nel settore privato e al 2,80% nel pubblico per gli assegni il cui importo lordo va dai 1.923 euro ai 2.692 euro. La misura è confermata anche per l’anno 2024. Questa conferisce un aumento netto dello stipendio che ammonta fino a 100 euro mensili. Questa agevolazione viene applicata anche sulla sulla tredicesima di fine anno, le percentuali sono del 6,19% nel settore privato, del 5,80% nel pubblico se la tredicesima non supera i 1.923 euro lordi. Se la mensilità extra invece non oltrepassa i 2.692 euro lordi si tratta del 6,80% nel pubblico. Complessivamente chi ha un reddito di circa 25mila euro incasserà 40 euro.

Giorni festivi e maggiorazioni

Le festività dell’anno 2023, quindi l’8, il 25 e il 26 dicembre, cadono infrasettimanalmente, i lavoratori godranno di un giorno di riposo regolarmente retribuito. Mentre chi lavora nei giorni di festa otterrà la retribuzione normalmente prevista assieme a una maggiorazione specificata nel proprio contratto collettivo. Mentre il bonus più importante riguarda i dipendenti pubblici a tempo indeterminato. Infatti l’articolo 3 del decreto n. 145 del 18 ottobre 2023 prevede l’indennità di vacanza contrattuale riconosciuta nel 2023, pari allo 0,5% dello stipendio tabellare che viene incrementata di 6,7 volte arrivando così al 3,35%.

Ecco come usare al meglio il fotovoltaico anche d’inverno: i 12 suggerimenti dell’Enea

Utilizzare in modo ottimale anche d’inverno gli impianti fotovoltaici installati sui tetti delle abitazioni. È questo l’obiettivo dei 12 suggerimenti dell’Enea rivolti sia agli utenti degli oltre un milione di impianti domestici, l’82,5% dei circa 1,23 milioni totali in funzione in Italia nel 2022, sia a chi intende installare un impianto per la prima volta.

I moduli fotovoltaici funzionano bene anche durante la stagione fredda, in quanto l’energia prodotta dipende dalla luce del Sole, non dall’intensità del suo calore. Tuttavia, durante questo periodo dell’anno, l’impianto produce in misura minore perché ci sono meno ore di luce solare e la frequenza di giornate nuvolose o piovose è maggiore.

In particolare si consiglia la massima attenzione a orientamento, inclinazione e ombre che possono generare i moduli solari stessi, oltre alla corretta dimensioni delle batterie, che devono essere proporzionate alla potenza dell’impianto.

Ecco cosa conviene fare.

Per ogni edificio è fondamentale progettare l’impianto fotovoltaico adatto: determinare i componenti e la potenza necessaria in funzione dei carichi e delle esigenze degli utenti, consente di ridurre sovradimensionamenti e di contenere i costi di investimento e manutenzione.

Valori di producibilità massima si ottengono per pannelli esposti a Sud con inclinazione pari alla latitudine del luogo. È importante scegliere orientamento e inclinazione che massimizzino la produzione dei pannelli nell’edificio: l’esposizione ideale è verso Sud; la producibilità diminuisce di circa il 3% se l’orientamento è di 45° Sud-Est o Sud-Ovest e diminuisce fino al 25% per angoli maggiori.

Le ombre proiettate sui moduli fotovoltaici dagli edifici e dagli alberi riducono l’area irraggiata, modificano il comportamento delle celle e diminuiscono di conseguenza la produzione. Per evitare che i pannelli si facciano ombra tra loro è necessaria una distanza minima di circa 5 metri tra ogni fila.

Installa una batteria di accumulo per autoconsumare l’energia prodotta in eccesso e per sfasare temporalmente produzione e consumo di energia elettrica. Considera batterie correttamente proporzionate ai pannelli, in funzione della capacità di accumulo e della potenza di picco che l’accumulo è in grado di erogare.

Punta sulle zero emissioni e abbina il campo fotovoltaico ad una pompa di calore elettrica. La pompa di calore può essere utilizzata sia per riscaldare che per raffrescare l’edificio e l’abbinamento al fotovoltaico consente di contenere i consumi, i costi energetici e di sfruttare al meglio la produzione fotovoltaica anche in estate. Sostituire la vecchia caldaia a gas con pompa di calore e fotovoltaico abbatte le emissioni locali di CO2 in ambiente del 100%.

Quando puoi fai posizionare l’inverter il più vicino possibile ai pannelli fotovoltaici per evitare aumenti di costo e sprechi energetici. Fai installare gli ottimizzatori che garantiscono il monitoraggio costante della produzione e permettono all’impianto di raggiungere il punto di massima potenza per ciascun modulo, mantenendo la massima

efficienza di produzione.

Consuma quando l’impianto produce, anche se c’è un accumulo. Storicamente siamo abituati a consumare in fascia F3, durante le prime ore del mattino e la sera, quando l’energia costa meno. Con il fotovoltaico è importante cambiare queste abitudini e sincronizzare produzione e consumo di energia elettrica: consuma di più quando

l’impianto produce, ovvero nelle ore centrali della giornata. Mediamente infatti, se alle 14:45 l’accumulo è al 100%, alle 09:05 la percentuale di carica è il 4%.

Aiutati con le tecnologie in grado di avviare automaticamente gli elettrodomestici e gli impianti in pompa di calore, privilegiando le ore della giornata con la massima produzione, anche se non si è in casa.

Attraverso gli Smart Meter installati sul contatore e collegati al proprio smartphone è possibile monitorare in tempo reale i consumi. Comprendere quanta energia si sta consumando permette di identificare gli sprechi inconsapevoli e di evitarli.

La manutenzione è importante anche per i piccoli impianti. Si consiglia almeno un intervento all’anno di manutenzione ordinaria e pulizia, effettuata da personale qualificato e nel rispetto delle norme di sicurezza. La mancata pulizia dei moduli può ridurre fino al 10% l’efficienza del fotovoltaico.

Le comunità energetiche rinnovabili consentono la condivisione virtuale dell’energia. Costituire o associarsi ad una CER è una scelta sostenibile che permette di ricevere vantaggi economici per 20 anni, tra cui l’incentivo di 110 euro per ogni MWh di energia condivisa.

Se nell’edificio non è possibile installare un impianto fotovoltaico e se hai un balcone esposto a Sud, Sud Est o Sud Ovest, puoi eventualmente considerare le soluzioni Plug&Play. Questi kit da balcone consentono di risparmiare circa il 20% dei consumi da bolletta e fino a 2 pannelli non sono richieste pratiche o permessi per l’installazione.

Prezzi del legno dimezzati in Europa: colpa di Vaia e bostrico

E pensare che fino all’autunno dello scorso anno commercianti e produttori sarebbero stati disposti ad acquistare legname a qualunque cifra. La materia prima scarseggiava, a seguito della pandemia e della guerra in Ucraina, e la domanda da parte delle aziende della trasformazione (per l’edilizia e per l’arredamento, ma anche per gli imballaggi industriali) era vorticosa.

I pellet erano arrivati a costare 600 euro alla tonnellata, i segati per imballaggio 400/480 euro, il legno lamellare poteva arrivare a 1.000/1.100 euro al metro cubo. «Oggi i prezzi, mediamente, si sono dimezzati. Le segherie sono alle prese con una quantità enorme di prodotto che non riescono a vendere», racconta Francesco Zanzotto, trader specializzato in legno, confermando una tendenza al ribasso dei prezzi del legno iniziata già nella seconda metà dell’anno ma che, da circa un mese a questa parte, ha visto una forte accelerazione, con valori dimezzati (ad esempio, il legno di abete, non tagliato, è sceso a 34,2 euro al metro cubo nel terzo trimestre, contro i 75 euro del 2022). Una situazione che interessa tutta l’Europa e che sta creando perdite importanti alle segherie, che hanno i magazzini o le piazzole piene di tronchi acquistati quando i prezzi erano alti, e ora si trovano di fatto a svendere la merce.

All’origine di questo fenomeno, almeno per quanto riguarda l’Italia, c’è ancora una coda lunga degli effetti di Vaia, la tempesta che cinque anni fa abbattè circa 14 milioni di alberi dal Friuli-Venezia Giulia alla Lombardia, ma soprattutto in Veneto e Trentino. Tempeste di questo genere, anche molto più violente, non sono rare nel Centro Europa, tanto è vero che, nel gestire l’equilibrio tra domanda e offerta, i gestori forestali tengono conto di una certa quantità di legno da catastrofe. «Se il prelievo avviene rapidamente, il materiale è ancora di buona qualità, equiparabile a quello degli alberi in piedi», spiega Alessandro Calcaterra, presidente di Fedecomlegno, l’associazione di FederlegnoArredo che rappresenta i commercianti e importatori.

Il problema, nel caso di Vaia, è che i tempi sono stati lunghi, sia a causa delle difficili condizioni di sicurezza e accessibilità alle piante cadute, sia perché storicamente nel nostro Paese manca una filiera del bosco strutturata per simili quantità, come da tempo denunciano gli operatori e le aziende della filiera del legno-arredo, costrette ad acquistare all’estero l’80% del legname che trasformano. Molti alberi sono rimasti a lungo sul posto e questo fatto, unito al problema del riscaldamento globale, ha sollecitato la proliferazione del . Da qui la necessità di accelerare ulteriormente il prelievo boschivo, per salvare il maggior numero possibile di piante sane e il legname più pregiato, destinato alla falegnameria, con il risultato che è stata immessa sul mercato una enorme quantità di legname proprio nel momento in cui, invece, la domanda da parte delle aziende trasformatrici cominciava a rallentare, vista la frenata dell’economia a livello globale.

«Da mesi stiamo portando a valle quantità 4-5 volte superiori ai volumi normali – conferma Mauro Gilmozzi, presidente della Magnifica comunità di Fiemme -. Fino alla scorsa primavera la domanda ha sostenuto l’incremento dei valori di vendita, ma da giugno c’è stata una caduta, anche se ora vediamo una lieve ripresa, trainata dall’estero».

Le segherie sono rimaste in qualche modo schiacciate in questo squilibrio tra domanda e offerta, aggravato dal fatto che il bostrico ha iniziato ad attaccare anche le piante sane, perciò i prezzi del legno fresco, non intaccato, sono viceversa aumentati. «Ma il mercato non assorbe più questi valori», spiega Luigi Sartori, titolare della Sartorilegno di Trento, una delle più grandi segherie italiane. «I ricavi e margini sono crollati per tutti, anche per i nostri concorrenti – aggiunge Sartori –. Nel nostro caso dovremmo riuscire a chiudere l’anno con ricavi in pareggio, grazie alla lunga coda di ordini dei nostri clienti, che vengono da un ottimo biennio, e grazie alla diversificazione dell’azienda, che da alcuni anni produce anche semilavorati». Ma il 2024 si annuncia difficile: il rallentamento dell’economia mondiale, le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, il rialzo dei tassi di interesse e, in Italia, il depotenziamento degli incentivi sulla casa, stanno frenando la domanda nelle costruzioni e nell’arredamento.

È questo rallentamento la causa principale dei ribassi nei prezzi del legno, secondo Calcaterra. «L’offerta era bilanciata sulla domanda del mercato, ma la frenata è stata più rapida del previsto», spiega. Questa situazione difficile dovrebbe protrarsi anche nel 2024, «ma sul medio-lungo periodo la domanda di legno ripartirà, favorita anche dalle politiche europee per un’edilizia sostenibile», dice Calcaterra.

Per quanto riguarda le quotazioni del legname, è difficile fare previsioni anche nell’immediato. «Mi aspetto una progressiva normalizzazione del mercato – dice Zanzotto –. Stiamo infatti assistendo a un cambiamento sul fronte dell’offerta: le segherie si stanno adattando al mercato e stanno producendo meno, perciò credo che nell’arco di 2-3 mesi la situazione dovrebbe riequilibrarsi, dal punto di vista sia delle quantità, sia del prezzi».

Corso gratuito di Welfare Aziendale

30 novembre 2023

Attraverso il welfare aziendale è possibile creare opportunità di crescita importanti per lavoratrici, lavoratori ed aziende. Nel corso gratuito che partirà a febbraio approfondiremo il quadro normativo di riferimento, le strategie principali e le modalità di applicazione pratica

A partire dal mese di febbraio 2024 si terrà la prima edizione del corso gratuito in Welfare Aziendale.

C’è tempo per iscriversi fino alla fine del mese di dicembre di quest’anno.

Chi si volesse iscrivere può quindi già farlo oggi, compilando l’apposito form che trovate su questa pagina.

Destinatari del corso sono i lavoratrici e lavoratori dipendenti delle aziende e degli studi professionali che si occupano di risorse umane, buste paga e amministrazione aziendale.

Il corso consentirà loro di approfondire alcune conoscenze teorico-pratiche utili a:

  • conoscere il quadro normativo di riferimento, soprattutto fiscale, del Welfare Aziendale;
  • analizzare le principali teorie in materia di strategie e piani di Welfare Aziendale;
  • costruire un piano di Welfare Aziendale da applicare in azienda, con l’obiettivo di produrre vantaggi concreti, sia economici che professionali, per lavoratrici e lavoratori e azienda. Si pensi, a titolo di esempio, agli strumenti di ottimizzazione fiscale offerti da fringe benefit, rimborsi chilometri, rimborsi forfettari, ecc: si analizzeranno queste fattispecie dal punto di vista operativo.

“Welfare Aziendale”: la struttura del corso

Il corso durerà 16 ore e sarà diviso in tre moduli:

  • Modulo 1 – 6 ore – Welfare Aziendale: riferimenti normativi e principali vantaggi fiscali
    • Cos’è e perché applicare un piano welfare – Prospettiva persone e Azienda;
    • Principali riferimenti normativi in materia di Welfare Aziendale e vantaggi fiscali per lavoratori e azienda.
  • Modulo 2 – 6 ore – Strategie e modelli di Welfare Aziendale
    • Politiche strategiche di sviluppo professionale e di incentivazione del responsabile risorse umane (HR);
    • politiche retributive e politiche di welfare sotto forma di fringe benefit e di fornitura diretta di servizi;
    • Modelli di welfare aziendale e principali differenze.
  • Modulo 3 – 4 ore – Come costruire un piano di Welfare Aziendale e metterlo in pratica
    • Analisi dei fabbisogni professionali del personale in relazione agli obiettivi aziendali;
    • Come strutturare un piano di welfare aziendale.

Docenti del corso:

  • Dottor Giuseppe Guarasci – Professionista iscritto all’albo del Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma ed all’albo dei Revisori legali; esperto in consulenza fiscale e del lavoro

Coordinamento:

  • Alessia Veneziane – Referente dei progetti di formazione finanziata per Informazione Fiscale

Quando e come partecipare al corso

Il corso si terrà interamente online ed è gratuito per le aziende e gli studi professionali che vogliono fruire dell’opportunità offerta dalla formazione finanziata.

Il corso in oggetto nello specifico ha un prezzo teorico di mercato di 2.400,00 euro più IVA, non dovuto per i lavoratori dipendenti delle aziende che possono fruire dei vantaggi offerti della formazione finanziata (che, peraltro, poi possono essere sfruttati ogni anno anche per i corsi obbligatori come nel caso di privacy, sicurezza sul lavoro, haccp, ecc ecc).

Il corso si terrà interamente a distanza ed in diretta (cd FAD sincrona) e consentirà ai partecipanti di ottenere un attestato di partecipazione, la valutazione delle competenze acquisite ed il materiale didattico oggetto del corso.

In caso di interesse si prega di compilare il form, inserendo i contatti di riferimento (indirizzo email e numero di telefono del referente aziendale per il corso) e qualsiasi richiesta di ulteriori informazioni sul corso.

Manga per adulti, è reato tenerli in casa? La sentenza che fa discutere

La recente sentenza della Corte di Cassazione, pubblicata il 24 novembre con il numero 47187, ha suscitato preoccupazione nella community dei fan di manga, diffondendo la notizia che in Italia la detenzione di manga per adulti potrebbe essere considerata un reato.

Manga per adulti, la Cassazione mette un freno

Tuttavia, è importante chiarire che la sentenza in questione non riguarda tutti i manga erotici, bensì specificamente quelli che raffigurano scene esplicite di minori, classificandoli come “materiale pedopornografico“.

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La Cassazione, l’ultimo grado di giudizio in Italia, ha emesso questa decisione in seguito a un caso di pedopornografia, in cui l’imputato possedeva sia immagini reali che fumetti hentai raffiguranti minori in pose esplicite. La sentenza ha equiparato entrambi i tipi di materiale, stabilendo che il possesso costituisce un reato punibile con reclusione fino a tre anni e una multa a partire da 1.549 euro.

Un aspetto problematico di questa sentenza è la difficoltà nel determinare l’età dei personaggi di fantasia, poiché spesso non è specificata nei disegni. I giudici suggeriscono che la valutazione dovrebbe basarsi sul disegno stesso, identificando caratteristiche come statura, volto e sviluppo sessuale per determinare se si tratta di soggetti al di sotto dei 18 anni.

Si pone quindi la questione su come gestire situazioni in cui riferimenti sessuali espliciti compaiono anche in manga destinati a un pubblico più ampio. Ad esempio, nel manga Dragon Ball sono presenti scene in cui ragazze minorenni sono ritratte in situazioni borderline. La sentenza si concentra sui manga in quanto caso specifico, ma le indicazioni della Corte potrebbero estendersi a qualsiasi fumetto.

Ciò che ha sancito la Cassazione non vieta in generale i manga per adulti, ma punisce il possesso di quelli che raffigurano scene di nudo minorile, sollevando interrogativi su come applicare tale decisione a opere di più ampia diffusione.

Foto: Shutterstock

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