OpenAI è nel caos: 600 dipendenti minacciano di licenziarsi

«Al consiglio direttivo di OpenAI». Inizia così una durissima lettera diramata oggi pomeriggio dal Wall Street Journal e firmata da 600 dipendenti di OpenAI, i quali annunciano sostanzialmente di «poter scegliere di dimettersi e unirsi alla nuova compagnia di Microsoft gestita da Sam Altman», siccome «Microsoft ci ha assicurato che ci siano posizioni aperte per ogni dipendente di OpenAI che voglia aderire». I firmatari si dicono convinti – «We will take this step imminently» –, a meno che «tutti i membri del consiglio si dimettano, e il consiglio nomini due manager indipendenti, come Bret Taylor e Will Hurt, e reintegri Sam Altman e Greg Brockman». Il tono della lettera è deciso: «Le vostre azioni evidenziano che siate incapaci di supervisionare OpenAI. Noi non siamo in grado di lavorare con persone prive di questa competenza, giudizio e cura», siccome «OpenAI è la principale società di intelligenza artificiale al mondo» e «noi come dipendenti abbiamo sviluppato i migliori modelli e […] i prodotti che abbiamo realizzato sono utilizzati da milioni di persone in tutto il mondo». Il clima è rovente e, come scrive Luca La Mesa su LinkedIn, «questa lettera apre a scenari incredibili».

OpenAI è l’azienda che meno di un anno fa lanciò ChatGPT e che venerdì ha licenziato improvvisamente il suo CEO e cofondatore, Sam Altman, il quale a sua volta è passato a Microsoft dove guiderà un gruppo di ricerca sull’intelligenza artificiale. Se il posto di Altman è finito a interim a Mira Murati – già Chief Technology Officer –, sorprende come tra i 550 firmatari della lettera ci sia proprio Mira Murati, assieme a Jason Kwon e, appunto, 600 persone. Se si pensa che OpenAI ha settecento dipendenti, circa il 78% dell’azienda si è detto pronto ad abbandonare e seguire Sam Altman in Microsoft– che peraltro è il principale azionista di OpenAI – in una sommossa che avrebbe dell’impossibile e che di certo in pochi si sarebbero aspettati. Ma il punto sta proprio nel licenziamento dell’ex cofondatore dell’azienda, a cui evidentemente gran parte dei dipendenti erano affezionati. Nella lettera, infatti, i dipendenti scrivono senza mezze parole che la causa scatenante della loro protesta è «il processo attraverso cui avete licenziato Sam Altman e rimosso Greg Brockman (che si è dimesso, ndr) dal consiglio», processo che «ha minato la nostra mission». E c’è del clamoroso.

Oltre a Murati, tra i firmatari della lettera c’è pure Ilya Sutskever. Sutskever, nato a Nizhny Novgorod da una famiglia russa trasferitasi in Israele quando aveva cinque anni. Sutskever ha studiato in Canada all’University of Toronto, ha conseguito una laurea in matematica, un Master of Science in informatica e un dottorato di ricerca in psicologia, ha lavorato per Google fino al 2015 quando era i cofondatori della neonata OpenAI insieme a Greg Brockman, Elon Musk e Sam Altman. Inizialmente, la loro creatura – OpenAI – era un’organizzazione no-profit, per evitare la connivenza dei mercati e ripararsi da possibili derive di business avventate. Nel 2018, però, il CEO Sam Altman apriva agli investitori, tra cui Microsoft che negli anni avrebbe immesso – pare – oltre tredici miliardi di dollari nelle attività di OpenAI, nel frattempo divenuta dunque una società a scopo di lucro. L’apertura all’esterno ha velocizzato le attività e permesso ad esempio il rilascio di GPT-4, ma anche alimentato una frattura tra Altman (il CEO) e Sutskever (il Chief Scientist) – pare – legata a differenti idee su come operare. Una divergenza precipitata nel weekend con l’allontanamento del primo.

Si legge sul New York Times: «Sutskever ha contribuito a creare un nuovo team […] che avrebbe esplorato modalità con cui garantire che le versioni future della tecnologia non avrebbero causato danni. Altman era aperto a queste istanze, ma voleva anche che OpenAI rimanesse un passo avanti rispetto ai suoi concorrenti molto più grandi». Ora, invece, Sutskever sembra appoggiare i 600 dipendenti ribelli firmando la loro mozione, nonostante sia stato additato come tra i principali responsabili della cacciata di Samuel Altman da OpenAI. «Mi rammarico profondamente della mia partecipazione alle azioni del consiglio d’amministrazione», ha twittato. Consiglio di amministrazione che, oltre a lui, comprende Adam D’Angelo – un informatico già Chief Technology Officer di Facebook e fondatore della piattaforma di domande e risposte Quora nel 2009 – Tasha McCauley, imprenditrice e moglie dell’attore Joseph Gordon-Levitt, e Helen Toner, Director of Strategy del think tank Center for Security and Emerging Technology. Sono loro le quattro persone che hanno licenziato Altman, e il 25% di queste è già tornato sui suoi passi. Come si comporteranno le altre?

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