«Dollarizzare» l’Argentina: ecco che cosa significa e perché sarebbe uno schiaffo alla Cina

« Dollarizzazione»: è una delle riforme che il neo-presidente eletto dagli argentini ha promesso alla nazione. L’anarco-libertario-capitalista Javier Milei ne aveva fatto uno dei temi principali della sua campagna elettorale: togliere dalla circolazione il peso argentino, abolire la banca centrale, usare a tutti gli effetti la valuta degli Stati Uniti come moneta nazionale. Quindi rinunciare alla propria sovranità monetaria, diventando di fatto una propaggine degli Usa in termini valutari. Esiste un termine per descrivere questo cambiamento, è «dollarizzazione». Il termine c’è già, perché l’Argentina non sarebbe la prima nazione sovrana a farlo, i precedenti non mancano. Stando all’ultimo censimento sarebbero undici i paesi del mondo dove il dollaro Usa ha sostituito la moneta nazionale, molti dei quali proprio in America latina come Ecuador e Salvador. In Africa c’è lo Zimbabwe (che ha annunciato una parziale retromarcia). Nessuno di questi Stati ha però le dimensioni economiche e la popolazione dell’Argentina (46 milioni)… né un’economia così disastrata.

La logica che sta dietro la dollarizzazione è abbastanza semplice: è soprattutto un modo per domare l’inflazione e la perdita di fiducia nella moneta, privandosi della libertà di svalutare e di aumentare deficit e debito pubblico a dismisura. Tra gli altri obiettivi: arginare le fughe di capitali, ridurre il costo dell’indebitamento internazionale ( tutti fenomeni legati sempre alla sfiducia nella moneta), quindi rilanciare la crescita. Altre proposte del neo-eletto Milei possono apparire estreme o stravaganti, la dollarizzazione non è per forza una di queste. D’altronde fu proposta e discussagià negli anni Novanta. Poiché esistono dei precedenti, la dollarizzazione è stata oggetto di molti studi, sia teorici sia empirici. A chi voglia approfondire il tema consiglio un’analisi ormai classica fatta da due esperti del Fondo monetario internazionale ben 23 anni fa, a riprova che la dollarizzazione aveva già una ricca casistica all’inizio del millennio: “Full Dollarization. The Pros and Cons” di Andrew Berg, Eduardo Borensztein. Lo studio parte da una constatazione pragmatica: la dollarizzazione non è quasi mai uno strappo, una rottura traumatica, il più delle volte accade in paesi dove nei fatti il dollaro è già stato adottato largamente come sostituto di una valuta nazionale a cui nessuno crede più. Vale per altri paesi emergenti, così come per l’Argentina: quando l’iperinflazione riduce le banconote nazionali a carta straccia, chi può si tutela e molte operazioni avvengono in una valuta forte. Quindi la dollarizzazione rende più totale e ufficiale un processo che è già cominciato in forma strisciante nella vita di tutti i giorni.

«La sua principale attrattiva – spiegano i due esperti – è eliminare il rischio di un’improvvisa e pesante svalutazione. Questo può ridurre il premio di rischio che un paese deve pagare ai creditori internazionali. Le economia dollarizzate possono godere di un maggiore livello di fiducia tra gli investitori esteri, ridurre il servizio del debito, stimolare gli investimenti e la crescita». Nel caso dell’Argentina, l’ostacolo principale alla dollarizzazione è il salto iniziale. Per togliere dalla circolazione il peso e sostituirlo con il dollaro, una nazione deve poter… comprare dollari. Sembra un’ovvietà e una banalità, ma il problema di Buenos Aires è che la disastrosa gestione economica dei governi precedenti ha pressoché azzerato le riserve della sua banca centrale, quindi non è chiaro con quali risorse il neo-presidente Milei potrebbe procurarsi la liquidità iniziale in dollari. Può darsi che intenda destinare a questo i proventi delle privatizzazioni annunciate, ma non è chiaro quanto valgano. Un obiettivo indiretto della dollarizzazione presenta delle analogie con quel che fece l’Italia (insieme ad altri paesi europei) quando abbandonò la lira per passare all’euro nel 1999-2002. Sia chiaro, le differenze sono sostanziali.

L’unione monetaria europea nacque come una condivisione di monete nazionali, con la creazione di una banca centrale europea che gestisce la politica monetaria nell’interesse di tutti. Invece quando un paese si dollarizza cede la propria sovranità monetaria agli Stati Uniti, i quali si tengono ben stretta la propria. La Federal Reserve, la banca centrale Usa, non terrà conto della situazione economica argentina (o dell’Ecuador, o dello Zimbabwe), continuerà a prendere le proprie decisioni nell’interesse degli Stati Uniti. La somiglianza con l’euro è di altro tipo. È la speranza, o l’illusione, che privandosi della «libertà» di svalutare un paese sia anche costretto a disciplinare i propri comportamenti: che debba quindi controllare i propri costi produttivi con rigore per non perdere competitività. Sappiamo che il mito del «vincolo esterno» non ha dato tutti i risultati attesi in Italia. Per l’Argentina, è improbabile che basti l’abolizione del peso per costringere il paese a ridurre la spesa pubblica improduttiva o la conflittualità sindacale selvaggia. Il peronismo – la forma locale di socialismo e assistenzialismo – ha radici nelle abitudini di vaste categorie sociali. Milei ha vinto la presidenza ma non ha la maggioranza parlamentare né la maggioranza dei governatori locali.

È prevedibile che comincerà una stagione di agitazioni sociali contro i suoi piani drastici per ridurre la spesa pubblica. Al coro di allarmi e di catastrofismi che hanno accolto la vittoria dello stravagante Milei, è opportuno ricordare che l’Argentina è stata rovinata dalle politiche dei peronisti, altrimenti non sarebbe ridotta a sperimentare ricette così estreme. Un risvolto internazionale di questa vicenda è importante. L’Argentina era stata ammessa a far parte dei Brics, il club dei paesi emergenti che all’origine include Brasile Russia India Cina Sudafrica. L’allargamento dei Brics, deciso al vertice di agosto in Sudafrica, è stato voluto soprattutto da Xi Jinping che spera di trasformare quel club in un contro-G7 con una marcata contrapposizione agli Stati Uniti. La cooptazione dell’Argentina era stata sponsorizzata in particolare dal presidente brasiliano Lula. Sia Xi Jinping sia Lula portano avanti una campagna per ridurre il peso del dollaro nell’economia mondiale. E ora si trovano «tra i piedi» un nuovo leader argentino molto filo-Usa, che addirittura vuole il dollaro come moneta unica del proprio paese. A Pechino e a Brasilia forse è in corso qualche ripensamento.

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