Porsche 911 – Il design fatto a macchina

60 anni di 911. Che vuol dire quasi tre generazioni che l’hanno sognata. O guidata. O entrambe le cose, nell’ordine che preferisci. E questo solo per dire che non è che aspettavi proprio me, buon ultimo, per capire che l’erede della 356 di Ferry Porsche, nonché la coupé più longeva della storia del design, fosse tanta roba. Ovvio. Però di Dieter Rams per spiegarti il perché di questo successo sì che ce n’era bisogno.
Il caso vuole, anche se non è per niente un caso, che quello che ha dato forma agli oggetti Braun, paradigma universale di funzionalità e semplicità (e che a loro volta hanno ispirato pure Steve Jobs) è un estimatore di 911. Tant’è che a 86 anni suonati, nel 2018, girava ancora con una 993. Funzionalista, maniaco dei dettagli, il tatuaggio che non si è mai fatto sulla schiena direbbe “Weniger, aber besser”: meno, ma meglio. Chiaro, no? Ma non basta, siccome il design è una scienza esatta, alla fine degli anni 70, stila addirittura un decalogo per stabilire una volta per tutte cosa sia, questo buon design.
Tranquillo, adesso non è che sto qui a elencare i dieci dogmi e a vedere se la 911 li rispetti o meno. Anche se la tentazione sarebbe forte, mi limito giusto a far notare qualche punto. Il due, per esempio. Ovvero che “il buon design rende il prodotto fruibile”. In questo caso basterà pensare che la richiesta di Ferry Porsche, quando suo figlio “Butzi” gli disse che stava lavorando al nuovo progetto, fu: “Mi raccomando, che ci sia posto per una sacca da golf” (l’ingombro standard per gli amici che la guidavano negli States di allora, torna utile ancora oggi per noi e i nostri trolley). Ma anche il tre, di punto, non è male. “Il buon design è estetica”. Non apparenza, attenzione. Qui ci vorrebbe il professor Zecchi, a spiegare per benino cos’è l’estetica teorizzata dal filosofo Baumgarten, cioè una conoscenza intuitiva e sensibile delle cose. Terra terra direi, guarda una 911, se ti emoziona, il designer ha fatto centro. C’è anche il quattro: “Il buon design rende il prodotto comprensibile”. La parola a un altro esperto. Un giorno stavo passeggiando con Tom Matano, il papà della Miata, e ci imbattiamo in una 911. Lui si ferma e me la descrive, da professionista delle forme qual è. “Vedi, con questo disegno, sbilanciato dietro, si è voluto evidenziare da dove viene la potenza. Qual è il punto di forza di questa macchina insomma. Che è una cosa fondamentale, soprattutto per le sportive. un linguaggio primitivo, direi quasi istintivo. Succede anche quando si guarda una bestia feroce e si capisce subito qual è la sua arma, con cosa ti colpirà: coi denti, con le corna, con la coda”.
Ecco, diciamo che ti sei fatto un’idea. Ma da appassionato italiano di macchine e motori, la domanda sorge spontanea. Sarebbe potuta nascere da noi, una 911? No. Tant’è che non c’è. Nonostante la coupé sembri una rappresentazione a quattro ruote del gattopardiano “cambiare tutto per non cambiare niente”. Morale, perché non c’è? La verità è che l’Italia, terra di santi e navigatori, è anche patria di carrozzieri. Gente di bottega, non di industria. Da noi la carrozzeria, soprattutto 60 anni fa, era ancora un gesto artistico, e chi la praticava, uno scultore avanguardista (non è un caso che prima che l’inglese ci traducesse la vita, si chiamassero “stilisti” e il loro antri, “centri stile”).
Anche Pininfarina, come Picasso, ha avuto i suoi periodi. Un esempio? Prendi una California, un’Aurelia e una Giulietta spider e dimmi che non sono figlie dello stesso “periodo”, della stessa ispirazione. Ma l’arte, come le mode, procede per rivoluzioni, mai per evoluzioni. Del resto gli artisti seguono il proprio estro, le proprie inclinazioni, non gli Excel del marketing. Prova a dire a Michelangelo la tua Cappella Sistina è stato un successo, bravo. Ma adesso devi fare la seconda serie.
E se i 50 anni della 911 erano un anniversario, i 40 furono un traguardo. Ma questi 60, che capitano a rivoluzione digitale avvenuta e non solo accennata, sono una validazione. Una riprova che se a un’industria dai un (buon) design, conquisterà il mondo. Soprattutto nell’era dei “like” e dei profili Instagram premiati da tranquillizzanti monotonie, ops, monocromie. Nel mercato digitale che ha risolto l’antagonismo post bellico inventandosi un comunismo dei consumi, vince chi rimane uguale a sé stesso (ogni riferimento all’iPhone non è puramente casuale). E pensare che sessant’anni fa nessuno in Porsche avrebbe potuto immaginare che la 911 sarebbe diventata un’icona da cliccare.