Le 6 buone abitudini per rallentare il declino della memoria

Quella di mia nonna è una storia come tante, ma il fatto che sia, purtroppo, abbastanza comune il fatto che una quasi 90enne soffra di quella che viene chiamata demenza senile “modesta” non consola granché noi famigliari. Mia nonna è un’anziana che fino a un paio di anni fa, forse meno, usava il computer regolarmente, postava su Facebook, ricopiava su Word i miei articoli (è a tutti gli effetti la mia archivista), andava insieme a mio nonno dall’estetista e dalla parrucchiera almeno una volta al mese. Parte di queste cose, in particolare il suo amato lavoro al pc, che imparò ad usare all’Università degli anziani, non riesce quasi più a farle, e a tingersi di biondo dorato la accompagna mia mamma. La sua è una malattia che è ancora un gran casino, anche per gli specialisti: come si spiega che pensi che siamo nel mese di agosto, e poi che ricordi tutti i particolari della vita dei suoi bis nipoti? Com’è possibile che abbia bizzarre convinzioni sul fatto che quella in cui vive non sia davvero casa sua, e poi che mi domandi se voglio che mi cucini i carciofi, che mi piacciono tanto? Come scriveva qui M.C., anche noi che la amiamo e che l’abbiamo sempre vista moderna (un termine che ama moltissimo), indipendente, curiosa, sul pezzo ci abbiamo “messo del tempo a prenderne atto, perché è difficile “credere” a questa malattia: ti stupisce, ti sgomenta, ti inganna, ti deride, si infiltra nella persona che ami come un baco maligno che gioca a nascondino e salta fuori per farti degli scherzi quando meno te lo aspetti, e se cerchi di sorprenderlo al volo per guardarlo negli occhi, si ritira velocemente mimetizzandosi coi colori della normalità”. Per cercare di disinnescare anche solo per qualche ora la malattia, cosa che ci è ancora possibile grazie a quell’aggettivo “moderata” che sta a dire che mia nonna c’è ancora, è qui, certo è cambiata, ma non è sfuggita via, escogitiamo soluzioni improvvisate. Ed è stato così che qualche settimana fa, in una domenica senza particolare buon umore, dato che eravamo in quattro a farle visita, ho proposto di giocare a scala quaranta, come facevamo nella casa al mare quando ero piccola. C’è stato qualche tentennamento, ma poi ha accettato. E ha giocato benissimo. Si ricordava tutte le regole, anzi: mi ha beccata a sbagliarne un paio. Inutile dire che quella è diventata una domenica bellissima. Invece è molto utile dire che questo del giocare a carte può essere uno strumento prezioso per prevenire la perdita della memoria e il rischio di demenza. Un rischio, oggi, alto. Qualche informazione e qualche dato: dunque, la demenza senile è una condizione neurologica che determina una perdita progressiva delle funzioni cerebrali e che solitamente si verifica nelle perone di età superiore ai 60/65 anni. Raramente la demenza senile può colpire persone che hanno meno di 60/65 anni. In questo caso la malattia prende il nome di demenza senile precoce o giovanile. Attualmente, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, si contano circa 10 milioni di nuovi casi di demenza senile ogni anno nel mondo, uno ogni 3 secondi. Oggi, le persone colpite, sono circa 50 milioni. Se teniamo in considerazione l’invecchiamento della popolazione mondiale, nel 2030 i malati potrebbero essere 82 milioni. I casi salirebbero a 152 milioni nel 2050. Non esistono cure miracolose, ma ci sono, dicevamo, cose che si possono fare per cercare di prevenirla, ed oggi queste strategie che hanno a che fare con il nostro stile di vita sono state stilate in uno studio di un team di ricercatori di Pechino, durato ben dieci anni.
Un recente studio, coordinato da Kaitlin Casaletto, docente di neurologia presso il Memory and Aging Center dell’Università della California, ha evidenziato come l’attività motoria aumenti i livelli di una proteina nota per rafforzare la comunicazione tra le cellule cerebrali attraverso le sinapsi. Secondo i ricercatori questo potrebbe essere un componente determinate per prevenire la demenza. L’azione di protezione è stata rilevata anche in individui anziani attivi, il cui cervello mostrava segni distintivi di alcune malattie cognitive e dell’Alzheimer. Uno studio del 2020, coordinato da Enrique Rivero, sempre dell’Università della California e pubblicato sulla rivista scientifica the Journals of Gerontology, ha dimostrato come l’attività fisica possa diminuire il rischio di demenza dal 30% all’80%, ma i ricercatori non sono stati in grado di attestare come questo possa avvenire a livello biologico nell’uomo. La nuova ricerca è riuscita a tracciare, per la prima volta, come il funzionamento delle sinapsi sia un cammino attraverso il quale l’attività fisica sostenga la salute del cervello. Un cervello in salute fa in modo che i segnali elettrici possano essere trasmessi, attraverso le sinapsi, ai neuroni e alle altre cellule dell’organismo senza problemi. Affinché possa eseguire questa operazione il cervello deve costantemente rimpiazzare e bilanciare, le proteine consumate durante le sinapsi. Ma oggi ai benefici, arci noti, dell’attività fisica (che non significa fare sport, le due cose sono diverse) lo studio del National Center for Neurological Disorders di Pechino, in Cina, è andato ad aggiungere altre cose, finora inesplorate. I ricercatori hanno analizzato 29.000 adulti di età superiore ai 60 anni con normali funzioni cognitive che facevano parte del China Cognition and Aging Study. È stato calcolato un punteggio di stile di vita sano che combina sei fattori: una dieta sana; esercizio regolare; contatto sociale attivo; attività cognitiva; non fumatore; e non bere alcolici.
Scrivere, leggere, giocare a carte o altri giochi almeno due volte alla settimana era la seconda area di comportamento sano. Altre aree includevano il non bere alcolici, l’esercizio fisico per più di 150 minuti a settimana a intensità moderata o più di 75 a intensità vigorosa e il non aver mai fumato o essere un ex fumatore. Il contatto sociale almeno due volte alla settimana era il sesto comportamento salutare, e comprende attività come visitare familiari e amici, o andare a feste. Dopo aver tenuto conto dei fattori che possono influire sui risultati, i ricercatori hanno scoperto che ogni singolo comportamento sano era associato a un declino della memoria più lento della media nell’arco di 10 anni. La dieta sana ha avuto l’effetto più forte nel rallentare il declino della memoria, seguita dall’attività cognitiva e quindi dall’esercizio fisico. Complessivamente, le persone con da quattro a sei comportamenti sani o da due a tre avevano rispettivamente quasi il 90% e quasi il 30% in meno di probabilità di sviluppare demenza o lieve deterioramento cognitivo rispetto a coloro che erano meno sani, ha riferito il BMJ. La dott.ssa Susan Mitchell, responsabile dell’Alzheimer’s Research in UK, ha dichiarato: “Questo è uno studio ben condotto, che ha seguito le persone per un lungo periodo di tempo, e si aggiunge alle prove sostanziali che uno stile di vita sano può aiutare a sostenere la memoria e il pensiero competente man mano che invecchiamo. Troppo pochi di noi sanno che ci sono cose che tutti possiamo fare per ridurre le nostre possibilità di sviluppare demenza in età avanzata”.
Per chi, invece, ha tristemente già a che fare con malattie neuro degenerative, è utile ricordare che molte sono le eccellenze italiane impegnate nella ricerca e cura del morbo di Alzheimer, malattia neurodegenerativa caratterizzata dal deterioramento delle abilità cognitive, che colpisce 600.000 persone in Italia e oltre 40 milioni nel mondo. Tra queste, si segnalano per diagnosi precoce e programmi riabilitativi sperimentali a livello internazionale l’Istituto neurologico Besta di Milano, il Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, l’Ospedale San Raffaele di Milano, la Fondazione Ca’ Granda-Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, il centro della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs-Università Cattolica di Roma, l’Unità valutativa Alzheimer presso l’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. In libreria, invece, c’è Marco Annicchiarico, con il suo I cura cari, Einaudi, pp. 239, 17 euro. Questo libro prezioso nasce dall’esperienza di condivisione che ha salvato l’autore e confortato molti altri. Sempre M.C. su Annicchiarico ha scritto: “Marco ha smesso di chiamarla mamma (malata di Alzheimer ndr) quando si è accorto che lei non sapeva più di esserlo; adesso gli sembra più giusto chiamarla Lucia, mentre per lei, secondo i momenti, lui è “mio cugino”, “mio fratello” o “questo qui”. Marco è un “cura caro autodidatta”, che ha seguito passo passo sua madre mentre sprofondava nell’Alzheimer, tanto da lasciare il lavoro e la donna con cui viveva, fino a mettere in pausa tutta la sua vita. Poi ha iniziato a raccontare in un blog le storie di quotidiana convivenza con Lucia, ossessioni e follie, il suo sforzo di entrare in contatto con lei, la sua angoscia di uomo e di figlio, ma anche gli irragionevoli sprazzi di allegria (sì, allegria), i dialoghi surreali e le impreviste tenerezze che la demenza concede a chi rinuncia a imbrigliarla e prova “semplicemente” a seguirla”.