Parla il cardinale Angelo Scola: “Vi racconto la mia verità su Joseph Ratzinger”

Sa «siamo tutti dei poveretti», ci dice Angelo Scola, nato a Malgrate in provincia di Lecco 81 anni fa, figlio di un camionista e di una casalinga, cardinale di Santa Romana Chiesa del titolo dei Santi XII Apostoli, arcivescovo metropolita di Milano dal 2011 al 2017 e prima ancora Patriarca di Venezia dal 2002 al 2011, dottore in filosofia e teologia con lauree a Milano e a Friburgo. È un principe della Chiesa. Ma «sono un poveretto, siamo tutti poveretti», ci dice al momento dei saluti finali. È persona molto più semplice di quanto si possa pensare. Semplice, che non vuol dire sempliciotto: vuol dire quel realismo cristiano che ti porta a capire che, chiunque tu sia, sei un poveretto che ha bisogno della misericordia di Dio. Anche se sei un arcivescovo e merito della diocesi più grande del mondo – foto | video

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IL PAPA MENO COMPRESO – Anche se sei un Papa, come lo fu Benedetto XVI, forse il pontefice più equivocato e incompreso (dai media, soprattutto). Angelo Scola lo conosceva bene. E pochissimi come lui possono raccontarci chi è stato, innanzitutto, l’uomo Joseph Ratzinger.

Eminenza, ci racconta come lo conobbe? «Era la primavera del 1971. Con Sante Bagnoli fondatore di Jaca Book, Eugenio Corecco vescovo di Lugano e Giuseppe Ruggieri teologo catanese, avevamo pensato di partecipare alla fondazione di una rivista che sarebbe poi stata Communio. Chiedemmo consiglio ad Hans Urs von Balthasar, il grande teologo svizzero, che ci disse di rivolgerci a Joseph Ratzinger».

Era già famoso? «Certo, soprattutto come studioso. Andammo a trovarlo a casa sua a Regensburg, dove viveva con la sorella. Parlammo di quel progetto tutto il pomeriggio. Verso sera ci invitò a cena in una bella trattoria sul Danubio. Seduti a tavola ci buttammo sul menu, come fanno sempre gli italiani, per scegliere le specialità. Il cameriere raccolse le nostre ordinazioni e poi si rivolse a Ratzinger. “Il solito”, rispose lui. E noi pensavamo: chissà che cosa sarà, il solito, perché non ce lo ha consigliato? Lo scoprimmo poco dopo. Il “solito” era un toast. “Altrimenti dopo non riesco a studiare”, ci spiegò».

Quando fu eletto Papa, il Manifesto titolò: «Il pastore tedesco». «Il pastore tedesco è un’invenzione della stampa tedesca. Ratzinger ha sempre avuto molte opposizioni in Germania, perché la sua teologia era molto innovativa e però ancorata alla tradizione. Ma chi lo ha conosciuto sa che era tutt’altro che rigido. Era un uomo mite, gentile, delicatissimo, molto accogliente».

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Ma non era un reazionario, come pensano molti? «Assolutamente no. Aveva due grandi criteri di merito per elaborare il suo pensiero. Da una parte la Bibbia, la tradizione. E dall’altra la storia, la società che cambia, cui era attentissimo».

Che Papa è stato? «Ha lasciato le chiavi fondamentali per affrontare questa fase del cristianesimo».

E che fase è? «È la fase in cui la secolarizzazione è finita, ma la scristianizzazione no. Il cristianesimo viene sostituito da quello che Augusto Del Noce chiamava il nichilismo gaio. Oggi la molla è la ricerca del piacere: una condizione ridotta della felicità. Si è persa la centralità di Cristo, la possibilità dell’incontro personale con lui. Ratzinger ha detto con grande chiarezza che l’Europa sta perdendo la fede cristiana».

Non crediamo più in Dio fatto uomo? «Un sociologo francese ha scritto che fra una decina d’anni, quando all’ufficio anagrafe chiederanno “di che religione è?”, la maggioranza risponderà: “nessuna”».

Sembra un quadro fosco. Eppure Vittorio Messori, che con Ratzinger scrisse un libro, mi raccontò che gli chiese: ma allora, che ne sarà della Chiesa? E Ratzinger sorrise e allargando le braccia disse: la Chiesa la salva Cristo. «È la risposta di un uomo di fede. Per tutta la vita, prima di fare qualsiasi cosa – di studiare, di fare il vescovo, di fare il Papa – Ratzinger si prendeva un paio d’ore per pregare, come per altro fa anche papa Francesco».

Si può dire che lei, cardinal Scola, è stato uno dei grandi elettori di Benedetto XVI? «Sì, si può dire».

E come andò? «Ecco, questo non lo si potrebbe dire. Ma posso aggiungere che su quel Conclave si leggono ancora oggi numeri, sulle votazioni, completamente sbagliati. Ratzinger si impose immediatamente come l’unico candidato possibile».

Fu contento di essere stato eletto? «No. Disse che quando cominciò a capire che gli stava cadendo “una ghigliottina sul collo” fu preso dallo spavento. E dopo l’elezione chiese a tutti noi cardinali di fermarci un’altra notte in Conclave per poter stare ancora tutti insieme per una messa».

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Lei dov’era quando Ratzinger si dimise? Che cosa pensò? «A Milano. Stavo entrando nella chiesa dedicata alla Madonna di Lourdes perché era l’11 febbraio, l’anniversario dell’apparizione. Sulla porta qualcuno mi disse: Benedetto XVI ha rinunciato. Non me l’aspettavo. Celebrai la messa ma rimasi distratto per tutto il tempo».

Secondo lei perché si dimise? «Su questo credo che sia ora di essere finalmente chiari. Si trattò di una serie di cause complesse, riassunte nella sua frase “non ho più le forze”. Prevalse, in quel momento, la sua umiltà».

Quali cause? Vatileaks, la pedofilia? «Anche quelle. Lui era stato in prima fila per combattere la pedofilia con verità e giustizia».

Che cosa pensa delle polemiche subito dopo la sua morte? Quelle dichiarazioni di padre Georg… «Padre Georg è stato un servitore fedele ed encomiabile. Credo, suppongo che l’editore avesse già pensato il lancio del libro con le sue memorie. E così sono uscite frasi che sono state scambiate per un’intervista. Ma ho letto che padre Georg aveva chiesto all’editore di rinviare l’uscita proprio per evitare fraintendimenti».

Si ricorda l’ultima volta che ha visto Ratzinger Papa? «Certo. Fu qualche giorno prima della sua partenza per Castel Gandolfo. Era molto sereno. La sua era stata una scelta molto meditata e molto pregata, come usava fare quella generazione. Quella dopo, la mia, è già di più basso profilo».

Lei pensa che rivedrà il suo amico Joseph Ratzinger? «Sì, me lo dice il mio cuore con la mia mente, in forza di quella fede che ho fin da bambino, e che mi è stata trasmessa dai miei genitori e dalla mia parrocchia».

Che cos’è l’aldilà? «La cosa più sbagliata è pensarlo come un’altra vita. È la stessa vita che ha raggiunto la sua pienezza».

Michele Brambilla

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